Ars Bellica

Battaglia di Lepanto

7 ottobre 1571

La flotta cristiana della Lega Santa sconfigge e scaccia dal mediterraneo le forze navali turche.

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Gli avversari

Alì Mehemet Pascià

Alì Mehemet Pascià

L'ammiraglio della flotta turca era un uomo politico più che un vero e proprio militare.
Arrivò alla battaglia di Lepanto a 50 anni, con la fama di invicibilità, derivatagli dal dente destro di Maometto, che portava sempre in battaglia, rinchiuso in una capsula di cristallo. Sotto il profilo strategico, non gli si possono attribuire grandi errori: la sua sconfitta era già destinata a consumarsi prima dello scontro, visto il divario tecnologico tra le due forze in campo.
I suoi meriti maggiori sono da trovare prima dello scontro nelle acque greche. L'intelligenza che lo distingueva, lo portò a scegliere, per la sua spedizione, i "capitani" più validi, dell'intera marina ottomana: Uluch Alì, Mehemet Shoraq e Khara Kodja.
Uluch Alì, forse un ex campagnolo calabrese convertito all'Islam, era tra i più audaci e spietati (soprattutto nei confronti dei cristiani) comandanti turchi. Fu nominato addirittura Bey (sorta di governatore indipendente) di Algeri.
Shoraq, detto "Scirocco" dai cristiani, era tra i più esperti comandanti di marina di tutto il Mediterraneo, cosa che gli fruttò la signoria di Alessandria.
Infine, Khara Kodja, rappresentava la stirpe di pirati mediterranei avventati e senza paura, che erano adattissimi per le azioni più rischiose e improbabili.
La scelta degli ufficiali da parte di Alì, risulta praticamente perfetta, così come fu immenso il valore ed il coraggio islamico profuso a Lepanto. Ma la straripante superiorità cristiana lasciò ben poca gloria all'ammiraglio turco morto durante le fasi cruciali della battaglia.


Don Giovanni D'Austria

Don Giovanni D'Austria

Il comandante della flotta cristiana arrivò a 26 anni alla battaglia di Lepanto.
Figlio di Carlo V e di Barbara di Baviera, Giovanni mostrò subito come il suo indirizzo fosse verso la carriera militare, non verso quella ecclesiastica verso la quale era stato indirizzato. Prima dei 25 anni aveva già raggiunto i gradi più alti della gerarchia militare imperiale, ed era considerato uno dei più grandi ammiragli dell'intera cristianità.
Ma nonostante la grande preparazione, ed il grande valore dimostrato al fratellastro di Filippo II, gran parte del merito della sua vittoria nelle acque di Lepanto va ascritto a Sebastiano Venier, 75enne Duca di Candia, e "general de mar" della repubblica di Venezia, oltre che allo sforzo Politico di Marcantonio Colonna, comandante pontificio, unica persona in grado di smussare i contrasti tra Spagna e Venezia, e mantenere l'unità d'intenti della flotta.
I rapporti tra il Venier e Don Giovanni furono assai duri. Il ruvido carattere del Venier, mal si conciliava con l'atteggiamento "guascone" dello spagnolo, imberbe ed esibizionista secondo il comandante veneziano.
Sta di fatto che dopo la vittoria di Lepanto, Don Giovanni D'Austria divenne governatore delle Fiandre spagnole, dove morirà pochi anni dopo la vittoria contro il turco, ancora giovanissimo.

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I Turchi

Lo scontro navale che ebbe luogo il 7 ottobre 1571 nelle acque di Lepanto, segna una svolta epocale nella storia del Mar Mediterraneo e di tutti quei paesi che, fino ad allora, erano stati coinvolti nella lotta per arginare la minaccia turca sul mare.
Fino ad allora, i tentativi di arginare la potenza turca sulla terraferma si erano dimostrati assai vani (vedi la battaglia di kosovo-polje o la caduta di Costantinopoli). Le ripetute sconfitte cristiane di quegli anni, sono dovute alla preparazione di alcuni corpi scelti turchi , ai mezzi, ma soprattutto all'enorme quantità di forze, che i sultani avevano la possibilità di schierare ad ogni "appuntamento" militare.

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Battaglia di Lepanto - I percorsi delle flotte

Se nei Balcani l'opposizione agli invasori era stata comunque assai vasta, sul versante navale in pochi potevano controllare l'espansione islamica nel mediterraneo. La sola potenza che aveva i mezzi per tentare l'impresa era la repubblica di Venezia, ma da soli, i veneziani non erano abbastanza. Nel 1499 persero Lepanto stessa, e col tempo perderanno anche Naupatto, Chio e soprattutto l'isola di Cipro difesa strenuamente dal comandante Marcantonio Bragadin.
L'unica vera speranza di vittoria, contro gli uomini del sultano, era rappresentata dall'unione di tutte le maggiori flotte cristiane dell'area mediterranea.

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Le forze alleate

L'ultima roccaforte del mediterraneo orientale che rimase in mano agli europei era l'isola di Cipro. La difesa veneziana dell'isola era stretta attorno alla fortezza di Famagosta, ma schierava solo 7.000 difensori, guidati da Marcantonio Bragadin, contro i 20.000 turchi al comando di Mustafa Pascià. I turchi mostrarono in questo assedio di quali mezzi disponessero e la crudeltà che li distingueva. Sulla fortezza piombarono almeno 170.000 colpi di cannone e innumerevoli furono le mine piazzate sotto le mura della città. I veneziani, da parte loro, ressero per 72 giorni ai turchi, ma neanche l'estremo sacrificio del capitano Roberto Malvezzi (fattosi saltare in aria insieme a migliaia di turchi in un deposito sotterraneo)fu abbastanza per la vittoria. Rimasto con 700 uomini, Bragadin accettò di trattare la resa con Mustafà Pascià, che offriva ai lagunari la salvezza, il rispetto dei beni, della popolazione civile e gli onori militari. Ma i turchi non rispettarono i patti. Appena fuori dalla fortezza, l'intendente Tiepolo e il generale Baglioni furono impiccati, tutti i civili furono venduti come schiavi a Costantinopoli, mentre il Governatore Bragadin fu scuoiato vivo. L'estremo sacrificio di Famagosta e dei suoi difensori non furono mai dimenticati. Nel frattempo l'Europa cristiana era divisa da molti anni in conflitti di potere temporale (vedi la lotta tra Francia e Spagna), ed in conflitti di natura spirituale(cattolici schierati contro i luterani). Ma con la pace di Cateau-Cambresis(1559) e il concilio di Trento(1545-1563), si creò una situazione di breve stabilità politica necessaria al Papa Pio V per stringere nell'alleanza della Lega Santa la Spagna, Venezia e lo stato Pontificio.
Apparentemente improponibile come legame, vista l'alleanza che legava Venezia con la Francia, la Lega Santa creata dall'astuzia diplomatica del Papa, univa la migliore flotta del mediterraneo occidentale alla giovanile irruenza di Don Giovanni d'Austria, fratellastro del re di Spagna Filippo II. E' nota la preoccupazione con cui gli spagnoli vedevano l'avanzata islamica ad occidente, in particolare, l'espansione turca sulle coste settentrionali del Maghreb, fece arrivare voci a Madrid secondo cui era in atto un preparativo navale ottomano contro la stessa penisola iberica.
Fu con tali premesse che, nel 1571, la flotta cattolica venne riunita a Messina e al comando di Don Giovanni d'Austria salpò verso le coste della Grecia.

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I Cantieri Navali

Il termine darsena, ossia il luogo reputato per eccellenza alla costruzione marinara, proviene dall'arabo dar as-sina, ossia "casa della costruzione".
Una delle più famose e produttive "case della costruzione" navale in Europa risulta l'Arsenale di Venezia, seguito immediatamente da quello spagnolo di Barcellona. Entrambe gli arsenali avevano la caratteristica peculiare della costruzione specifica di navi da guerra, e la Repubblica di Venezia in particolare, aveva nei dintorni altri "distaccamenti" nei quali venivano costruite altre imbarcazioni di stampo mercantile, come i porti di Candia e di Canea.
Ma la produttività del cantiere veneto era sicuramente senza eguali in Europa. Basta pensare che in un'annata sola era in grado di lavorare 18 galeazze, 10 galere "bastarde" e 138 galere "sottili" per un totale di 60.00 tonnellate di legname!
Il legname era una delle discriminati maggiori per la qualità di una imbarcazione. Tra i legnami dedicati alle parti più delicate della nave(gli alberi, le antenne, il fasciame e le pulegge) venivano prediletti il legno di noce, abete e quercia, mentre per altre parti (come ad esempio paratie, ponti e scale) si utilizzavano pioppo, olmo e faggio.
Tutti coloro che lavoravano nei cantieri navali veneziani (calafati, maestri d'ascia fonditori e calatori), avevano l'uso di tramandare alle generazioni successive la propria arte, il cui perfezionamento creava il divario di qualità tra le flotte cristiane e quelle musulmane. Quando l'unione occidentale verrà messa ancor più in discussione con la divisione tra protestanti e cattolici, molti ingegneri olandesi ed inglesi, grazie agli alti stipendi promessi, andarono a realizzare opere navali nei cantieri di Istanbul.
Nonostante questo, il "gap" qualitativo tra le flotte da guerra veneziane e quelle turche non fu mai veramente colmato dagli islamici.

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La battaglia navale

La tecnica, nelle battaglie tra galee, era assai semplice: si tentava di speronare l'avversario, o di frantumare i remi dell'imbarcazione nemica, una volta immobilizzata, la nave era preda del tiro degli archibugieri e dei balestrieri avversari. Quando le armi da tiro avevano scaricato gran parte delle munizioni, partiva la fase d'abbordaggio vera e propria, effettuata tramite rampini che avvicinavano le navi e permettevano l'uso di ponti mobili per lo "sbarco". La fase successiva all'abbordaggio era sicuramente quella più cruenta. Molti combattimenti si riducevano ad una carneficina senza quartiere, determinata dagli angusti spazi; inoltre, molti di coloro che cadevano feriti in mare, finivano affogati spinti a fondo dalle loro pesanti armature. Differenza fondamentale tra i le linee turche e quelle cristiane era quella che, se gli occidentali contavano anche sul supporto militare dei rematori, questo non poteva avvenire nelle navi turche, dove la maggior parte dei rematori erano cristiani.
Per quanto riguarda l'artiglieria, si tratta ancora di una fase evoluzionistica per le marine militari. I pezzi d'artiglieria erano disposti a prora e per chiglia, ma non essendo spostabili sparavano solo in direzione di rotta. Le artiglierie erano generalmente composte da tre a sei pezzi, per nave, da 50 l'uno (la misura è il peso in libbre del proiettile che sparava il pezzo). Si tratta di batterie assai inferiori per potenza di fuoco se paragonate ai futuri velieri, che utilizzando le due murate per disporre i cannoni avevano a disposizione molta più potenza di fuoco.

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La battaglia di Lepanto - Dipinto anonimo

Tutto quanto detto finora, rientra sempre nell'ottica della flotta cristiana, in quanto, le artiglierie musulmane dopo l'assedio di Costantinopoli, erano diventate di numero ridotto e di qualità assai scadente.
Oltre alle galee, le galeazze, furono le vere sorprese della battaglia di Lepanto. Più "alte" delle galee, e con numerose artiglierie disposte anche sulle murate, vennero usate per bersagliare le navi ottomane ad una distanza dalla quale era difficile rispondere, e successivamente dopo essere state spostate a rimorchio (troppo pesanti per essere manovrate da sole) dalle altre galee, vennero utilizzate come corpo di "artiglieria galleggiante".

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Le armi da fuoco

La chiave di volta della sconfitta islamica nelle acque di Lepanto va individuata oltre il solo valore dei combattenti cristiani. La tecnologia militare occidentale aveva nettamente surclassato quella orientale, divenendo decisiva.
Le linee cristiane infatti, disponevano di affidabilissime artiglierie, provenienti dalle fonderie germaniche, che assicuravano maggiore penetrazione e precisione, ed erano di qualità sicuramente superiore a quelle turche. Gli stessi artiglieri europei avevano alle spalle una preparazione specializzata nell'uso delle macchine da guerra di cui non disponevano né i loro colleghi turchi, né i loro ufficiali, spesso inadeguati a quel tipo di ruolo.
Ma la superiorità cristiana non si fermava alle armi da fuoco. Il combattente di marina europeo utilizzava protezioni contro le quali gli efficientissimi archi turchi poco potevano. Le tondeggianti e resistenti protezioni europee garantivano la salvezza dai dardi islamici e permettevano liberamente ogni tipo di movimento.
Per quanto riguarda l'attrezzatura offensiva, gli occidentali utilizzavano balestre ed archibugi (in misura minore) per il combattimento a distanza, mentre per il corpo a corpo si servivano di alabarde, asce, spiedi e spade a lama larga.
Confrontando gli armamenti appena descritti con l'antiquata attrezzatura turca (la cui peculiare arma da distanza era rappresentata dall'arco composito), si può facilmente immaginare lo svolgimento dei combattimenti e le motivazioni di una così schiacciante disfatta per la flotta della "Sublime Porta".

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Le forze in campo

Le forze erano così divise: 210 imbarcazioni per i cristiani, per un totale di 80.000 uomini, di cui 30.000 combattenti e 50.000 tra marinai e rematori. Le imbarcazioni erano di varia nazionalità, proprio per rappresentare al meglio le forze della Lega Santa. Vi erano infatti galere spagnole, genovesi, pontificie e sabaude, oltre alle prime galeazze veneziane, dotate dell'artiglieria che avrebbe influenzato le battaglie navali del futuro.
I turchi rispondevano con una flotta da 265 navi, con 221 galere, 38 galeotte e 18 fuste al comando di Mehmet Alì Pasha.
Va notato come la "propulsione" delle navi turche fosse composta esclusivamente da schiavi cristiani, ai quali non venivano risparmiati torture e maltrattamenti prima delle battaglie. Differente fu il comportamento di Don Giovanni D'Austria, il quale, dopo aver distribuito elmi, corazze ed armi a tutti i rematori, aveva astutamente promesso loro la libertà in caso di vittoria.
Il ruolo dei rematori non può essere dimenticato assai facilmente, particolarmente in un conflitto dove erano protagonisti d'obbligo anche loro. Sta di fatto che, durante le fasi più dure della battaglia, alcuni gruppi di schiavi, liberatisi dalle catene, presero di mira i propri aguzzini turchi. Su alcune navi attaccarono gli islamici alle spalle, mentre su altre, sparsero del sego sui ponti per far scivolare i turchi quando tentavano gli arrembaggi alle navi cristiane.
Nelle acque di Lepanto (nel golfo di Patrasso) le flotte si divisero in grossi gruppi. Il comandante generale prendeva posizione nella più grande galera della flotta (detta reale), per farsi riconoscere meglio dalle proprie forze e manovrare con più cura. Vi erano comunque anche altre navi di importanza fondamentale, quelle dette "capitane", sulle quali stazionavano gli ufficiali responsabili di ognuno dei gruppi della flotta.

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Gli schieramenti

Le flotte avversarie si schierarono in direzione nord-sud per una lunghezza di circa 7 chilometri.
L'ala sinistra dei cristiani, la più vicina alla costa, era composta da 64 galee venete al comando di Agostino Barbarigo. Sull'ala destra, quella spostata verso il mare aperto, vi erano le 54 galee genovesi comandate da Giannandrea Doria. La posizione centrale era occupata da altre 64 galee ai comandi di Don Giovanni D'Austria per gli spagnoli, Sebastiano Venier per i veneziani e Marcantonio Colonna per i pontifici. In testa ad ogni settore, le galeazze veneziane avevano il compito di aprire lo scontro e di "disordinare" le linee avversarie con le loro artiglierie.
La disposizione Turca era praticamente speculare a quella cristiana. Alla destra si pose Mehemet Shoraq (detto "Scirocco") con 52 galee e 2 galeotte; alla destra Uluch Alì con 61 galee e 32 galeotte; al centro l'ammiraglio Alì con 87 galee e 2 galeotte.
La retroguardia cristiana, posizionata dietro il blocco centrale, era composta da 30 galee agli ordini del Marchese di Santa Cruz; mentre le retrovie turche erano formate da 8 galee.

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La battaglia

La cattura di Shoraq

L'immagine che abbiamo dello schieramento iniziale turco, ci fa pensare come l'intenzione ottomana fosse quella di sfruttare la superiorità numerica della propria ala sinistra (quella di Uluch Alì), nei confronti della destra cristiana (quella dei genovesi guidati dal Doria), per aggirare la flotta della Lega.

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Battaglia di Lepanto - Schieramento iniziale

Sta di fatto che la prima parte dello schieramento turco che si mosse fu l'ala destra guidata da Mehemet Shoraq, che tentò di incunearsi tra i veneziani del Barbarigo e la costa, per aggirare la sinistra nemica. La contromanovra veneta, che prenderà le imbarcazioni turche sul fianco, costerà la vita dello stesso capitano veneziano Barbarigo, ma distruggerà tutta l'ala dello "Scirocco" che verrà anche catturato.


La mischia attorno alle "ammiraglie"

Mentre la parte destra dello schieramento turco cade, le galeazze veneziane aprono il fuoco contro le navi turche, costrette ad accorciare le distanze, per non venire massacrate dall'artiglieria veneta. La nave ammiraglia turca dell'ammiraglio Alì, avanzò così tanto da speronare quella dello stesso Don Giovanni D'Austria, inaugurando un putiferio di imbarcazioni che giungevano, da ambo i lati, in soccorso dei propri comandanti.

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Battaglia di Lepanto - La mischia

Ma nonostante l'ardore profuso dai 400 giannizzeri che tentarono di conquistare la nave "reale" cristiana, gli archibugieri spagnoli ebbero la meglio. In aggiunta, con l'arrivo delle galee "Capitane" del Venier e di Colonna, la nave ammiraglia dei turchi fu presa e la testa dello stesso Alì fu issata sul pennone come monito per gli islamici. Senza più guida, il blocco centrale turco cede e viene sbaragliato. In queste fasi d'abbordaggio si copre di gloria il 75enne veneziano Venier, che combatte come un giovane leone ed è tra i primi a sfidare i dardi nemici.


Il sacrificio delle galeazze siciliane

Quando la battaglia è in corso le galee genovesi compiono una manovra che poteva mettere a repentaglio l'intero esito della battaglia. Trascinati forse dal vento o dalle correnti, le galee genovesi si allargarono ulteriormente verso il mare aperto, lasciando un varco dove Uluch Alì doveva affrontare solo le poche galee maltesi per poi ritrovarsi ad attaccare alle spalle l'intera flotta cristiana.
Ma proprio quando l'aggiramento era in dirittura d'arrivo, l'azione turca venne bloccata dall'estremo sacrificio del valorosissimo don Giovanni di Cadorna e delle sue galee siciliane, che si immolarono per dare il tempo alle galee di retrovia di accorrere.

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Battaglia di Lepanto - Verso la fine

La fine

A questo punto Uluch, per non richiare di venir stretto in una morsa dal Doria e dalle galee del centro che stavano accorrendo, decide di ritirarsi con le navi superstiti.

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Bilancio Finale

Il bilancio finale dello scontro di Lepanto è nettamente a favore dei remi cristiani.
Le perdite turche ammontarono a 25.000 morti, 30 galere affondate e 100 catturate. Sul fronte opposto, i cristiani, persero 7.500 uomini e 15 navi.
Le cifre danno la dimensione di quanto netta fosse stata la vittoria occidentale, ma forse non rendono ancora bene l'idea di quanto ampio fosse il divario tecnologico tra le due parti in conflitto.
Se infatti da una parte, quella turca, venivano ancora utilizzati gli archi e le protezioni per i membri armati dell'equipaggio erano piuttosto leggere, sul fronte cristiano la metallurgia proteggeva gli uomini con corazze ed elmi resistenti, e li dotava di armi da fuoco che avevano una efficacia sicuramente maggiore di quella turca.
Il conflitto, e la vittoria cristiana di Lepanto, risulteranno di vitale importanza per tutta la cantieristica europea. Ne è piena dimostrazione il fatto che, nei secoli successivi, le battaglie sul mare non saranno più combattute da scafi a remi, ma solo da scafi esclusivamente a vela.

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Le Conseguenze

La vittoria cristiana di Lepanto fu decisiva per l'intera comunità mediterranea dell'Europa. Se la fine ufficiale dell'impero Ottomano è databile al 1918, l'inizio della regressione dell'espansionismo islamico parte proprio dal 7 ottobre 1571.
Qualora le imponenti flotte turche fossero riuscite ad avere la meglio su quelle cristiane, gran parte dell'Italia (esclusa Venezia) sarebbe passata sotto l'egida ottomana, e col tempo anche il traffico marittimo che collegava la Spagna ai suoi domini imperiali si sarebbe fermato, portando la potenza turca ad un'espansione che nemmeno gli Asburgo sarebbero stati in grado di fermare. Francia e Principi luterani e calvinisti non sarebbero stati in grado di reggere l'urto da soli, la barriera del Danubio sarebbe stata facilmente superata, e l'intera storia europea dei secoli XVI-XX sarebbe stata mutata in maniera inimmaginabile.
In conclusione, Lepanto rappresenta lo scontro che decise il futuro di due culture incapaci di convivere pacificamente, ma soprattutto una delle poche occasioni storiche in cui, buona parte della comunità europea occidentale si è riunita sotto un'unica forza per sconfiggere un' avversario comune e garantirsi un futuro indipendente.


Pubblicato il 29/12/2004



Bibliografia:
Livio Agostini, Piero Pastoretto, Le grandi Battaglie della Storia, Viviani Editore, Il Giornale, 1999