Ars Bellica

Battaglia di Hattin

4 luglio 1187

La sconfitta riportata dai crociati decretò la fine del Regno crociato e la riconquista islamica di buona parte della Palestina.

HATTIN

Gli avversari

Guido di Lusignano (Poitou, 1150 - Nicosia, 1194)

Guido di Lusignano

Guido di Lusignano è stato un cavaliere crociato francese. Per via matrimoniale divenne Re Consorte di Gerusalemme e condusse il regno crociato al disastro della battaglia di Hattin del 1187.
Figlio del conte Ugo VIII di Lusignano, nacque in una regione all'epoca appartenente al ducato francese di Aquitania, retto dalla regina Eleonora d'Inghilterra insieme al terzo figlio Riccardo e al marito Enrico II.
Guido lasciò la terra natale e giunse a Gerusalemme fra il 1174 e il 1180. Proprio nel 1174 suo fratello Amalrico sposò la figlia di Baldovino di Ibelin ed ebbe accesso alla corte reale di Gerusalemme. Su di lui cadde presto la protezione di Agnese di Courtenay, madre divorziata di re Baldovino IV di Gerusalemme, detentrice della contea di Giaffa e Ascalona e risposata con Reginaldo di Sidone.
Secondo alcune fonti (in particolare Guglielmo di Tiro) Agnese era preoccupata del fatto che i suoi rivali politici, capeggiati da Raimondo di Tripoli, fossero determinati ad esercitare un sempre maggiore controllo sulla corte di Gerusalemme, facendo pressioni affinché la principessa Sibilla, figlia di Agnese, accettasse di sposare un uomo di loro gradimento. Giocando d'anticipo, Agnese mise in guardia il re suo figlio dai piani degli avversari e lo convinse dell'opportunità di dare Sibilla in moglie a Guido di Lusignano.
Guido e Sibilla furono frettolosamente uniti in matrimonio la domenica di Pasqua del 1180, a quanto pare per prevenire un colpo di mano della fazione di Raimondo, che tentava di imporre il matrimonio di Sibilla con Baldovino di Ibelin, cognato di Amalrico di Lusignano, o con qualche altro nobile alleato. Dall'unione con la sorella del re, Guido ottenne anche il titolo di conte di Giaffa e Ascalona e quello di bailli di Gerusalemme (il reggente in assenza del re). La coppia mise al mondo due figlie, Alice e Maria. All'epoca, Sibilla aveva già un figlio, Baldovino, avuto dal primo marito Guglielmo Lungaspada del Monferrato.
Ambizioso com'era, Guido convinse re Baldovino a nominarlo reggente all'inizio del 1182. Ma il rapporto di fiducia fra lui e il sovrano era destinato a vita breve: il regno di Gerusalemme viveva un periodo di tregua col Saladino, al quale Guido, insieme a Reginaldo di Chatillon, lanciò ripetute provocazioni. La reazione non si fece attendere, ma le doti di Guido sul campo di battaglia lasciarono molto a desiderare, soprattutto in occasione dell'assedio di Krak. L'episodio contribuì a spegnere definitivamente la fiducia del re nei suoi confronti, al punto che tra la fine del 1183 e il 1184 Baldovino IV cercò ostinatamente di ottenere l'annullamento del matrimonio fra Guido e la sorella, il che dimostrava anche quanto il re tenesse a cuore Sibilla. Baldovino aveva desiderato un cognato leale e fu perciò fortemente contrariato dal temperamento caparbio e spesso disobbediente di Guido. In questi anni, Sibilla rimase relegata ad Ascalona, ma forse non contro la sua volontà.
Fallito il tentativo di forzare la sorella ed erede al proprio volere e di allontanarla da Guido, il re e l'Alta Corte si risolsero a modificare la linea di successione, ponendo il piccolo Baldovino in precedenza rispetto alla madre Sibilla. Inoltre, istituirono un processo col compito di individuare la legittima erede fra Sibilla e l'altra sorella Isabella, alla quale Baldovino e l'Alta Corte riconobbero pari diritti di successione. Guido fu sostanzialmente tenuto ai margini della famiglia reale e tale rimase fino al 1186, anno dell'ascesa al trono di sua moglie.
Nel 1185 Baldovino IV, già da tempo malato, morì di lebbra, e il nipote Baldovino V divenne re. Di appena sette anni e di salute cagionevole, il giovanissimo sovrano morì appena un anno dopo, nell'estate del 1186. Guido e Sibilla giunsero a Gerusalemme per i funerali, accompagnati da una scorta armata che Guido pose a guarnigione della città. Mentre Raimondo III di Tripoli, intenzionato a difendere ad ogni costo la propria influenza, avviava trattative per convocare l'Alta Corte con l'appoggio della Regina Madre Maria Comnena, Sibilla fu incoronata regina di Gerusalemme dal Patriarca Eraclio.
Reginaldo di Chatillon fece raggiungere alla nuova sovrana un vasto consenso popolare affermando che ella era "li plus apareissanz et plus dreis heis dou rouame" (la più evidente e legittima erede del regno). Col manifesto appoggio della Chiesa, Sibilla fu sovrana indiscussa.
Restava però da chiarire la posizione di Guido: prima della sua incoronazione, infatti, Sibilla aveva concordato con gli oppositori interni alla corte che avrebbe annullato il proprio matrimonio con Guido per venire incontro alle loro richieste, purché avesse avuto piena libertà nello scegliere il successivo consorte. Ma proprio in forza del suo diritto a scegliere un nuovo marito, con grande stupore della fazione rivale, Sibilla sposò di nuovo Guido. Con un gesto dal grande significato simbolico, la regina rimosse la corona dal proprio capo e la pose nelle mani del marito, permettendogli di incoronarsi da solo.
La prima e più immediata urgenza da affrontare per i nuovi sovrani fu la necessità di tenere sotto controllo l'avanzata di Saladino. Nel 1187, contro i consigli di Raimondo III, Guido tentò di rompere l'assedio dei musulmani alla città di Tiberiade, ma le sue milizie furono circondate e tagliate fuori dai rifornimenti di acqua. Il 4 luglio, l'esercito di Gerusalemme fu completamente annientato in quella che passò alla Storia come la battaglia di Hattin. Guido fu uno dei pochissimi prigionieri catturati dai nemici dopo la battaglia, insieme al fratello Goffredo, a Reginaldo di Chatillon e Unfredo di Toron.
Mentre Guido restava in prigionia a Damasco, Sibilla affrontò la difesa di Gerusalemme, ma il 2 ottobre la città cadde nelle mani del Saladino. La regina pregò allora il suo nemico di rilasciare il marito, che fu infatti riconsegnato nel 1188. Guido e Sibilla trovarono riparo a Tiro, l'unica città rimasta nelle mani dei Cristiani grazie alla difesa opposta da Corrado del Monferrato, fratello minore del primo marito di Sibilla.
Guido di Lusignano morì nel 1194 senza lasciare eredi e fu sepolto a Nicosia, nella Chiesa dei Templari. Gli successe il fratello Amalrico, che ottenne la corona dall'imperatore Enrico VI. I discendenti della Casa di Lusignano continuarono a reggere il trono di Cipro fino al 1474.


Salah ad-Din (Tikrit, 1138 - Damasco, 3 marzo 1193)

Saladino

Saladino, o più correttamente Salah ad-Din Yusuf ibn Ayyub, è stato un condottiero e sultano curdo, tra i più grandi strateghi di tutti i tempi e fondatore della dinastia ayyubide in Egitto, Siria e Hijaz.
Da giovane Saladino studiò a lungo e con brillanti risultati tanto le materie giuridiche quanto quelle letterarie, secondo uno schema affermatosi nell'ambito islamico dell'epoca, per il quale chi era chiamato a governare doveva presentarsi con un ottimo corredo conoscitivo ai propri sudditi. Malgrado la sua formazione da erudito, entrò al servizio della famiglia zengide nell'area settentrionale siro-irachena dalla Jazira. Con suo padre Ayyub e con suo zio Shirkuh, acquisì un'ottima preparazione anche militare, pur se sembra che egli preferisse lo studio dal quale si sentiva particolarmente attratto.
Fu mandato da Nur al-Din ibn Zanki (Norandino) al seguito dello zio nel teatro palestinese, allora conteso da Crociati, Fatimidi, Selgiuchidi e da un vario numero di signori locali.
Nel 1168 fu inviato in Egitto, dove era scoppiata una grave crisi sotto gli Imam fatimidi (di fede sciita-ismailita), della quale avrebbero potuto facilmente approfittare il re "crociato" di Gerusalemme Amalrico o il basileus Manuele I Comneno. Il califfo al-Adid nominò Saladino vizir (una sorta di primo ministro), ma nel 1171 Saladino depose lo stesso califfo, ponendo fine alla dinastia sciita che aveva regnato dal X secolo. L'Egitto divenne così sunnita e si affrancò dal servizio degli atabeg selgiuchidi (turchi). Saladino ne divenne il sultano e avviò una dinastia che, dal nome di suo padre, prese il nome di ayyubide.
Alla morte di Norandino, di cui egli era rimasto ufficialmente vassallo (anche se in modo abbastanza ambiguo), iniziò la sua personale opera di conquista dell'area siro-palestinese.
Attaccò il Regno di Gerusalemme e, grazie alla sciocca smania aggressiva del Reggente del regno, Guido di Lusignano, di Rinaldo di Chatillon, di Umfredo II di Toron e del nuovo Patriarca Eraclio, arcivescovo di Cesarea (che erano riusciti a vanificare l'assennata linea strategica del defunto re lebbroso di Gerusalemme, Baldovino IV, orientata a un accordo con le forze musulmane dell'area), Saladino attaccò e conquistò la Siria. L'esercito del Regno di Gerusalemme, mossosi dalla Città Santa in direzione nord per contrattaccare, fu distrutto durante la battaglia di Hattin (4 luglio 1187), nella quale vennero catturati sia il re Guido, sia il Maestro templare, che vennero usati come ostaggi da rilasciare in cambio della consegna di piazzeforti. La reliquia della vera Croce, portata in battaglia dai crociati come miracolosa insegna, fu presa e di essa si persero le tracce. Saladino decapitò di propria mano Rinaldo di Chatillon, adempiendo al voto solenne che aveva espresso in precedenza di vendicare una carovana di pellegrini musulmani diretti alla Mecca e spietatamente trucidati da Rinaldo. Tutti gli Ospitalieri e i Templari catturati vennero uccisi, perché la loro regola vietava di pagar riscatti per la loro liberazione e imponeva ai guerrieri liberati di tornar subito a combattere.
La strada per Gerusalemme era ormai aperta per Saladino, ed egli pose l'assedio alla città ma non ebbe bisogno di espugnarla: il suo difensore, Baliano di Ibelin, ebbe la saggezza di negoziare una resa onorevole in cambio di un'evacuazione ordinata dei circa 16.000 abitanti cristiani che vi erano asserragliati, i quali vennero fatti uscire e imbarcare senza subire perdite. Saladino entrò trionfante nella città il 2 ottobre 1187.
Sotto il suo potere caddero poi altre città cristiane di Outremer, come Giaffa, Beirut e San Giovanni d'Acri, quest'ultima, riconquistata dai cristiani, divenne il principale centro di resistenza all'avanzata musulmana ancora per circa 90 anni. Sconfitto da Riccardo Cuor di Leone ad Arsuf ebbe col sovrano plantageneto rapporti di stima ma il re d'Inghilterra non rimase in Terra Santa abbastanza a lungo per mettere a frutto le sue indubbie qualità guerriere.
Saladino governò con energia ed efficienza l'Egitto, la Siria e lo Yemen, tenendo sotto il proprio controllo anche le due principali città sante dell'Islam: Mecca e Medina.
Dante Alighieri pose secoli dopo Saladino tra i valorosi non cristiani del Limbo, a testimoniare la sua duratura fama di uomo retto ed esempio di virtù cavalleresca. Questo non vuol dire, naturalmente, che Saladino non operasse con la durezza tipica dei suoi tempi verso i suoi avversari, senza però scadere nell'efferatezza fine a se stessa o nella crudeltà gratuita.

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Divisioni cristiane e unione musulmana

Il regno di Gerusalemme non fu mai forte, come non lo sarebbe stato l'impero latino di Costantinopoli. Poté svilupparsi e darsi una parvenza di ordinamento, nonostante le sue mille incongruenze e contraddizioni, solo grazie al vuoto di potere che si era creato in Medio Oriente nell'epoca delle prime crociate, per soccombere al primo impatto con un avversario potente e determinato e a stento sopravvivere per un altro secolo come potentato locale.
Le forze cristiane giunsero allo scontro di Hattin, fondamentale per le sorti dei regni crociati in Terrasanta, divise e travagliate da aspre lotte di successione al trono del regno di Gerusalemme. Col prestigio acquisito dopo aver condotto le proprie truppe alla vittoria in battaglia su una lettiga, il giovane re lebbroso Baldovino IV era riuscito a tenere avvinte alla corona le molteplici componenti del regno, diviso in principati retti dai discendenti dei primi comandanti crociati. Varie generazioni dopo, i nomi (Boemondo, Raimondo, Baldovino) erano sempre gli stessi, nè era venuta meno la litigiosità e lo scarso rispetto per il bene comune che aveva caratterizzato la prima generazione di conquistatori.
Alla morte del sovrano, da tempo malato, nel 1185, si scatenò una lotta serrata per la reggenza in nome del piccolo Baldovino V e poi, dopo la morte di questi l'anno seguente, per la successione. Le due fazioni in lotta facevano capo l'una al conte Raimondo di Tripoli, di illustre casata e di grande esperienza, e l'altra a Guido di Lusignano, screditatissimo cognato del sovrano defunto, da poco giunto dall'Europa e considerato un uomo di paglia già dallo stesso Baldovino. Prevalse Guido, che era appoggiato da due personaggi di primo piano: Gerardo di Ridefort, gran maestro dei templari e acerrimo nemico di Raimondo, e Rinaldo di Chatillon, una sorta di "criminale di guerra" che aveva scontato una lunga prigionia nelle prigioni musulmane.
Proprio mentre da parte cristiana si era sull'orlo della guerra civile, in campo musulmano si respirava un'atmosfera ben diversa. Già a metà del secolo l'atabeg di Damasco, il selgiuchida Nur-ad-Din, aveva dato inizio al processo di riunione dei vari potentati musulmani in Medio Oriente; subito dopo di lui, il curdo Salah ad-Din, poi conosciuto in Occidente come il Saladino, aveva finito di completare l'opera, riunendo sotto lo scettro del califfo di Baghdad gli emirati siriani e i domini del califfato fatimida d'Egitto, divenendone il sultano. In questo modo, i potentati islamici del sud e del nord si congiungevano lungo la strada del deserto Aleppo-Damasco-Amman-Aqaba, circondando e isolando, di fatto, i territori franchi.
Fin dal 1183 vigeva un armistizio tra i due blocchi, ma Rinaldo di Chatillon non si fece scrupolo, nella primavera del 1187, di assalire le carovane di pellegrini musulmani dalla sua roccaforte di Kerak. Le richieste di soddisfazione di Saladino, che aspettava solo un pretesto per avventarsi sulla Palestina, vennero rigettate dal re Guido (il quale, peraltro, non era in grado di imporre alcunché a Rinaldo), e immediatamente Raimondo di Tripoli colse l'occasione per prendere le distanze dalla fazione avversa; pertanto, insieme a Boemondo di Antiochia, si dissociò dagli altri baroni e stipulò una tregua unilaterale con il sultano.

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I musulmani si muovono

dipinto
Dipinto della battaglia da un manoscritto medievale

I movimenti di Saladino lasciarono subito trasparire una mobilitazione generale del mondo islamico in vista di una "guerra santa". I suoi emiri solevano dire che "in Oriente la gente ci maledice dicendo che abbiamo smesso di combattere gli infedeli, e cominciato a voler combattere i musulmani. Dobbiamo quindi far qualcosa che ci giustifichi, e faccia tacere le critiche che ci muovono", scrive Ibn al-Athìr.
Fin dalla metà di marzo, mentre operava nella zona di Damasco, il sultano chiese al governatore d'Egitto, suo fratello al-Adil, di inviare delle forze in Siria, mentre suo nipote Taqi al-Din sorvegliava la zona di Aleppo lungo la frontiera con Antiochia. Quindi lasciò le sue truppe al comando del figlio al-Afdal e si spostò a sud di Busra per proteggere le carovane di pellegrini che si muovevano verso La Mecca in occasione del mese musulmano di Muharran. Il passo successivo del Saladino, a fine aprile, fu di operare scorrerie sulla riva opposta del Giordano, cui fecero seguito operazioni di disturbo dello stesso tenore da parte di al-Afdal. Il primo istinto di Guido di Lusignano e della sua cricca, lungi dal prendere provvedimenti per fronteggiare l'evidente minaccia che incombeva sul regno, fu di punire il "traditore" Raimondo, marciando contro i suoi domini in Galilea.
Nel frattempo, al-Afdal chiedeva a Raimondo il permesso di far passare sul suo territorio un contingente di 7000 mamelucchi diretti in Palestina; il conte, per rispetto degli accordi, si trovò costretto ad acconsentire, con grande imbarazzo e ponendo molte condizioni. Informato della faccenda dallo stesso Raimondo, Gerardo di Ridefort (inopportunamente inviato dal re a trattare una riconciliazione tra i due partiti) raccolse 130 cavalieri (un decimo delle forze pesanti a disposizione del regno) 200 turcopoli (mezzosangue o convelliti) e 400 fanti, con la ferma intenzione di dare battaglia.
Come sostiene Giacomo di Vitry: "Quando i Templari venivano convocati in battaglia, non chiedevano quanti fossero i nemici, ma dove fossero". Il primo di maggio, nonostante le risentite proteste dei suoi sottoposti, il gran maestro decise di assalire i musulmani mentre si dissetavano alle sorgenti di Cresson, a pochi chilometri da Nazareth, ma dal terribile scontro uscì vivo soltanto lui. Se non altro, il massacro servì a riunire Raimondo, conscio degli eccessivi rischi cui conduceva la sua politica equivoca, al partito reale: dopo la disfatta, infatti, il conte di Tripoli si precipitò a Gerusalemme per fare atto di sottomissione a Guido, lasciando la moglie Eschiva nella sua roccaforte di Tiberiade.

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Le forze in campo

Le forze del Saladino e del figlio si congiunsero il 27 maggio 1187 oltre il confine con gli stati crociati, a Tal'Ashtarah, in attesa di rinforzi. Dall'altra parte del Giordano il re, riuniti i baroni del regno ad Acri, decise di radunare tutte le forze a disposizione a Seforia, sette chilometri a nord-ovest di Nazareth.

Dipinto arciere
Dipinto di un arciere-cavaliere da un manoscritto
medievale turco

Quando il 24 giugno 1187 il sultano passò in rivista le proprie truppe a Tal Tasil, vicino al campo di Tal'Ashtarah, poteva contare su un esercito "numeroso quanto i granelli di sabbia di una spiaggia", si legge nel De expurgatione Terrete Sanctae per Saladinum: 45.000 uomini, ben 12.000 dei quali erano cavalieri professionisti, giunti da ogni parte del mondo islamico. Le truppe scelte del sultano erano composte da ascari mamelucchi, soprattutto turchi, ma anche da curdi dell'Iran, da armeni e da arabi, quasi tutti ex-schiavi addestrati alle armi; si distingueva, tra questi, il reggimento dei mamelucchi del sultano con le uniformi gialle, archi, mazze e la tipica ghaddara, una verga d'acciaio lunga circa 80 centimetri. Vi erano cospicui contingenti di cavalieri e fanti egiziani, con o senza la cotta di maglia e il turbante, armati di lance e spade i primi, di archi e scudi i secondi; al loro fianco gli arcieri sudanesi, armati anche di pesanti mazze.
Con lui erano schierate le armate degli emirati siriani e iracheni, di Aleppo, Mosul, Damasco e Homs, contro cui Saladino aveva combattuto fino a poco tempo prima. Tra di esse, si distinguevano gli arcieri-cavalieri turchi e la cavalleria pesante di stirpe araba, imponente nelle sue vesti trapuntate, le armature lamellari e gli elmi dorati. Integravano gli effettivi i reparti ausiliari della Mesopotamia, i mercenari turcomanni e curdi, i beduini e alcuni reparti di fanteria di volontari, i muttawiyah.
La leva cristiana, invece, portò a Seforia da 1200 a 1500 cavalieri pesantemente armati, che erano stati forniti dai vassalli feudali e dagli ordini cavaliereschi, ospitalieri e templari. Si contavano poi alcuni reparti di turcopoli nonché i sergenti forniti dalle città, per un totale di 4/5000 elementi di fanteria leggera. La fanteria, che assommava a circa 15/18.000 effettivi, scaturiva dal pieno impiego delle risorse umane disponibili: "Non un uomo adatto a combattere rimase nelle città o nei castelli".
Le truppe di maggior qualità erano i balestrieri mercenari che venivano assoldati tra gli europei e i nativi - tra questi ultimi, i maroniti erano considerati degli ottimi arcieri - grazie alla cosiddetta "tassa per Saladino" e al denaro versato da Enrico II d'Inghilterra. Questi si era impegnato a condurre una sua futura crociata, a espiazione dell'assassinio dell'arcivescovo Thomas Becket, e intanto provvedeva a finanziare i franchi in Oriente. Infine, si contavano nel campo cristiano molti marinai italiani che difendevano i propri interessi economici nelle città della Terrasanta e un gran numero di semplici cittadini armati di bastoni e archi.

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La marcia crociata

A oriente di Seforia, che sorgeva in prossimità dell'ultima consistente riserva d'acqua prima del lago di Tiberiade, si estendeva un altopiano brullo e inospitale. L'evidenza suggeriva ai franchi di attendere l'attacco del Saladino il quale, oltretutto, non poteva contare a lungo sulle sue forze estremamente eterogenee, irrequiete e poco disponibili a una lunga ferma.
Infatti, il sultano mosse verso occidente spostando dapprima il proprio campo sulle alture del Golan il 26 giugno, quindi installandosi il 30 tra il lago e il campo cristiano, a Kafr Sat, tentando poi di stanare gli avversari a Seforia. La sua mossa successiva fu, il 2 luglio, di attaccare Tiberiade, con l'unico scopo, afferma Ibn al-Athìr, "di far lasciare ai franchi le loro posizioni per poterli combattere"; la città cadde la notte stessa e l'esigua guarnigione lasciata da Raimondo a protezione della moglie si rifugiò nella cittadella.
Nel campo cristiano, le valutazioni strategiche vennero profondamente influenzate dallo spirito di fazione. Attraversare quella zona desertica in piena estate era chiaramente una follia, e in un primo momento venne dato credito all'opinione di Raimondo di Tripoli che, nonostante fosse in gioco il destino della moglie, sosteneva ancora la difesa passiva. La notte tra il 2 e il 3, però, Gerardo di Ridefort si lavorò il sovrano ricordandogli la disfatta di Cresson, la dubbia nomea di Raimondo, lo spreco del denaro del re d'Inghilterra usato per assoldare mercenari, e l'onore che imponeva a dei cavalieri di salvare una dama in pericolo. Ma soprattutto, il gran maestro rimarcò a Guido il peso che avevano avuto i templari nella sua elezione, minacciando di ritirare all'irresoluto re il loro appoggio.
Il giorno seguente l'esercito, costernato per l'improvviso cambiamento di strategia, si incamminò all'alba per l'altopiano inframezzato da mille piccoli avvallamenti e dagli uadi, corsi d'acqua modellati nella roccia e prosciugati nella stagione calda. Poche volte, nella Storia, uno scacchiere avrebbe avuto tanta rilevanza per l'esito della battaglia di cui fu teatro. L'avanguardia era guidata dallo stesso Raimondo, in qualità di signore del territorio, mentre al centro seguivano il re Guido e i vescovi di Acri e Lidda, custodi di una porzione della Vera Croce. Chiudeva il convoglio la retroguardia, con i templari e gli ospitalieri, guidata da Baliano d'Ibelin, secondo marito della regina madre, la bizantina Maria Comnena. Nelle tre colonne la cavalleria pesante si manteneva al centro, protetta da turcopoli e balestrieri, fin dall'inizio bersagliati da reparti di arcieri turchi e assordati dal rombo dei tamburi avversari che, su entrambi i lati, si mantenevano a ridosso dell'esercito cristiano.

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La Battaglia di Hattin

Giunto all'altezza del monte Turan, Guido trascurò la possibilità di deviare verso delle sorgenti poco lontane e così, a metà giornata, dopo 18 chilometri di marcia, i crociati si ritrovarono sotto la calura estiva con le borracce vuote, molti dei cavalli uccisi dagli arcieri turchi, i corsetti dei soldati pieni di frecce. Nelle parole di un cronista musulmano, Imad al-Din, ormai "i leoni si erano trasformati in porcospini".
Il lungo corteo cominciò allora a sfaldarsi. In coda, Gerardo fu costretto ad arrestare la propria colonna per contrastare i continui attacchi dell'ala sinistra dello schieramento musulmano, comandata dall'emiro Gokbori. Raimondo, pervenuto al bivio di Meskenah, distante ancora 12 chilometri dal lago, reputò troppo rischioso il tragitto per Tiberiade lungo la strada verso Lubiyah e preferì deviare a nord-est; a sei chilometri si trovava un'altura rocciosa con due cime, alta una trentina di metri, detta Corni di Hattin, presso la quale i soldati si sarebbero potuti dissetare e accampare per la notte.

spostamenti
Hattin - Gli spostamenti

La mossa venne però anticipata dal Saladino, appostato sulle colline all'altezza di Kafr Sat. Il sultano ordinò all'ala destra comandata da Taki al-Din di sbarrare la strada per le sorgenti, costringendo Raimondo ad accamparsi tra Meskenah e Nimrin, dove il conte venne raggiunto in serata dalle altre due colonne. La notte tra il 3 e il 4 luglio, scandita dalla solita angosciante colonna sonora delle percussioni, fu un vero supplizio per i cristiani, circondati al punto "che non poteva passare neanche un gatto".
I musulmani erano appostati sulle colline alberate: Saladino a Lubyiah, il figlio a Nimrin e Gokbori a Meskenah. Scrive il continuatore di Guglielmo di Tiro: Saladino ordinò ai suoi uomini di raccogliere sterpaglie, erba secca, stoppia e qualunque altra cosa potesse essere usata per accendere fuochi, e di erigere una palizzata intorno allo schieramento cristiano. Questo comando fu eseguito completamente. La mattina presto egli ordinò di accendere i fuochi. Ciò fu fatto rapidamente. I fuochi arsero rapidamente e fecero un gran fumo, e ciò, in aggiunta al calore del sole, causò nei cristiani considerevole disagio e danno.
I turchi lanciavano dardi che cadevano senza preavviso, "come sciami diffusi di cavallette", sul campo crociato e l'arsura dei guerrieri venne accentuata dal logorio cui li sottopose il Saladino, maestro assoluto di strategia: "Egli dispose che venissero allestite carovane di cammelli carichi di acqua attinta dal lago di Tiberiade, e che gli otri d'acqua venissero posizionati vicino al campo. Essi furono svuotati davanti agli occhi dei cristiani, col risultato di far soffrire a loro e ai loro cavalli tormenti perfino maggiori per via della sete", scrive il continuatore di Guglielmo di Tiro.
Il sultano, intanto, approfittò della pausa per rinforzare le proprie schiere, facendo arrivare 70 dromedari carichi di frecce.

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Hattin - Schieramenti

I principali comandanti cristiani, cui l'irresoluto re chiedeva sempre il da farsi, si risolsero a dar battaglia, se non altro per aprirsi un varco alla volta del lago. Col morale a terra, le poche forze residue e la consapevolezza di andare incontro al suicidio, l'esercito cristiano riprese l'assetto di marcia, dirigendo alla volta dei "Corni di Hattin". Alcuni cavalieri disertarono, raggiungendo il Saladino al quale consigliarono di attaccare subito, perchè "non possono fare più nulla per se stessi. Sono tutti già morti", gli dissero. Lo scontro fu preannunciato dai fuochi accesi a settentrione dai guerrieri muttawiyah, i quali approfittarono del vento per mandare il fumo direttamente sui franchi, stavolta non per ostacolarne la marcia ma per rallentarne la reattività in vista dello scontro. L'esercito cristiano "ebbe insieme addosso la sete, la calura della stagione, l'ardore del fuoco e del fumo, e la vampa della battaglia", scrive Ibn al-Athìr.

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Hattin - Attacco dei musulmani e tentativo di Raimondo

Quando i musulmani attaccarono, parte della fanteria cedette prima ancora dell'impatto e cercò rifugio alla volta dell'altura più impervia, solo per essere raggiunta e sterminata in seguito.

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Hattin - Tentativo dei crociati e seconda carica di Raimondo

Gli ordini militari della retroguardia si trovarono ben presto isolati da un attacco congiunto di Gokbori e di parte delle truppe del Saladino; le loro cariche, ormai prive di mordente, si infransero contro lo schieramento degli ascari mamelucchi.
Raimondo tentò di proseguire verso le alture che lo separavano dalle sorgenti, ma i fanti e i balestrieri cui era affidata la copertura dei cavalieri si sparpagliarono alla disperata ricerca dell'acqua, e verso mezzogiorno al re, privato anch'egli della fanteria, non restò che piantare un campo improvvisato, costituito da sole tre tende, alle pendici dell'altura di Hattin. Invece Raimondo, raccolte le proprie truppe, tentò un'ultima, disperata carica scavalcando lo schieramento avversario. Una volta al di là delle linee il conte di Tripoli, che non aveva mai creduto alla vittoria fin dalla partenza da Seforia, decise di proseguire alla volta di Tiro.
Nel primo pomeriggio, mentre i fanti cristiani isolati sul pendio venivano scaraventati giù o fatti prigionieri, il combattimento era ormai incentrato intorno alla tenda rossa di Guido, completamente circondata e sottoposta ai continui assalti degli arcieri-cavalieri turcomanni. Alla morte del vescovo di Acri, custode della Vera Croce, seguì un attacco ordinato da Taki al-Din, che fruttò agli islamici il possesso della reliquia, di importanza simbolica inestimabile: "I musulmani si impadronirono della loro gran croce - scrive Ibn al-Athìr - detta "la Vera Croce", dove dicono che c'è un pezzo del legno su cui, secondo loro, fu crocifisso il Messia; e quella cattura fu per loro uno dei colpi più gravi, che li rese certi di morte e rovina". E un altro cronista, Imàd ad-Din: l'avevano incastrata in una teca d'oro, e coronata di perle e di gemme, e la tenevan preparata per la festività della passione, per la solennità della ricorrente lor festa. Quando i preti la cavavan fuori, e le teste (dei portatori) la trasportavano, tutti accorrevano e si precipitavano verso di lei, nè ad alcuno era lecito rimanere indietro, né chi si attardasse a seguirla poteva più disporre di sé. La sua cattura fu per loro più grave che la cattura del Re, e costituì il maggior colpo che subirono in quella battaglia.

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Hattin - Accerchiamento di Guido e fuga di Baliano

I cavalieri rimasti intorno a Guido, non più di 150, trovarono la forza per condurre altre due cariche arrivando a minacciare direttamente il sultano; Ibn al-Athìr riporta la testimonianza del figlio di Saladino, al-Afdal: "Guardavo mio padre e vedevo che era agitato, pallido e che teneva lo scudo". Alla seconda replica musulmana, il giovane esclamò: "Li abbiamo sconfitti!", ma il padre lo zittì, replicando: "Silenzio, non li avremo battuti sin quando non sarà caduta la tenda del re". E proprio allora la tenda rossa di Guido cadde, e l'evento, occorso intorno alle tre, sancì la fine della battaglia.
Oltre al contingente di Raimondo di Tripoli, erano scampati solo alcuni cavalieri della retroguardia al comando di Baliano d'Ibelin, per un totale di soli 3000 effettivi. "La strage e la cattura furono così grandi fra loro che chi vedeva gli uccisi non credeva possibile che ne avessero catturato anche uno solo, e chi vedeva i prigionieri non credeva possibile che anche uno solo fosse stato ucciso", scrive Ibn al-Athìr.
Più che sui morti, le cronache si soffermano sui prigionieri, il cui numero fu talmente elevato da far crollare i prezzi del mercato degli schiavi di Damasco, dove un uomo finì per costare quanto un paio di sandali. Quasi tutti i notabili del regno caddero in mano musulmana, dal re a suo fratello, il conestabile Almarico, dai maestri degli ordini ai principali vassalli della corona. Saladino trattò tutti con cortesia e li liberò in un secondo momento, a eccezione dell'odiato Rinaldo di Chàtillon, che provvide a giustiziare di persona. Il sultano infierì solo sui cavalieri templari e ospitalieri, il cui fanatismo religioso ne faceva le vittime predestinate della guerra santa: coloro che non accettarono di convertirsi all'islamismo vennero martirizzati dai muttawyah, i loro equivalenti musulmani.
Mai il mondo cristiano aveva conosciuto una disfatta simile ad opera di quello islamico: nè Manzikert nè lo Yarmuk, prescindendo dalle conseguenze, furono sconfitte sul campo altrettanto rilevanti. "I cristiani dell'Oriente avevano già subito dei disastri in passato - scrive Steven Runciman - e i loro re e principi erano già stati catturati altre volte, ma allora erano stati fatti prigionieri da piccoli signorotti in cerca di modesti profitti. Sui Corni di Hattin venne annientato il più grosso esercito che il regno avesse mai radunato, venne perduta la Vera Croce, e il vincitore era il capo dell'intero mondo musulmano".

HATTIN

Le conseguenze

Dopo la disfatta, i territori cristiani erano quasi totalmente indifesi di fronte all'avanzata del Saladino. Il sultano era consapevole di doverne approfittare subito per occupare, prima di una nuova crociata, le città costiere che potevano fungere da basi di approdo per i rinforzi occidentali. Fece presto, in effetti. Il 5 luglio gli veniva consegnata Tiberiade, il 10 Acri venne presa d'assalto, Sidone si arrese il 29 luglio, Beirut fu conquistata il 6 agosto e Ascalona il 4 settembre, dopo un assedio, cui seguì anche la resa di Gaza. Toccava a Gerusalemme.
A organizzare l'estrema difesa fu proprio quel Baliano d'Ibelin che era riuscito a fuggire da Hattin. Nella città erano confluite, anche a seguito delle conquiste del Saladino, circa 60.000 persone, ma di queste solo un decimo erano soldati; inoltre, molti cristiani ortodossi avevano ragione di aspettarsi un regime più tollerante dai musulmani, e non si poteva contare sulla loro piena collaborazione. Baliano armò cavalieri tutti i ragazzi sopra i quindici anni e alcuni borghesi; inoltre, per pagare i mercenari, fece fondere i metalli preziosi che ornavano le chiese.
Il 20 settembre il sultano giunse davanti alle mura, e posizionò le proprie forze a ovest, tra la Torre Quadrata, allora definita "di Tancredi" e quella di Davide, supponendo erroneamente che in quel punto la cinta fosse più debole che altrove. Dopo alcune offerte di resa respinte da Baliano, Saladino attaccò senza tregua le mura nei cinque giorni seguenti, approfittando spesso del vento a favore per catapultare sugli spalti polvere e sabbia che accecavano i difensori; ma i cristiani non diedero mai segni di cedimento, anzi si avventurarono anche in sortite fuori le mura.

Saladino e Guido di Lusignano
Saladino e Guido di Lusignano dopo la battaglia (dipinto del 15° secolo)

Il 26 settembre il sultano cambiò radicalmente fronte d'attacco e si accampò a nord-est, presso il Monte degli Ulivi, intensificando i lanci dei suoi 40 mangani lungo tutto il settore che andava dalla posteria della Maddalena alla porta di Josafat. L'azione degli sterratori nello scavo di gallerie per minare i bastioni si concentrò sul saliente nordorientale - che già aveva visto l'ingresso di Goffredo di Buglione nel 1099 -, mentre un contingente di 10.000 cavalieri bloccava la porta di Santo Stefano. Dopo l'apertura di una breccia, Baliano si vide costretto a trattare e, il 2 ottobre, le truppe musulmane poterono entrare in città.
Saladino concesse quaranta giorni ai cittadini per trovare i soldi del riscatto che aveva fissato, e in tutto quel tempo le sue truppe sorvegliarono la città senza commettere alcun atto di violenza. "Dove ottantotto anni prima i franchi avevano sparso fiumi di sangue - scrive ancora Runciman - nemmeno un edificio venne allora saccheggiato, né una persona colpita". Va tuttavia specificato che, a quei tempi, era abbastanza istituzionalizzata la distinzione tra il destino da riservare, rispettivamente, a una città conquistata combattendo, e a una occupata a seguito di trattativa.
La tassa, che all'inizio era individuale, venne poi mutata in collettiva, per facilitare l'enorme massa di nullatenenti che avevano trovato rifugio entro le mura; ciononostante, alla scadenza del termine il patriarca Eraclio partì portando con sé, sotto lo sguardo scandalizzato degli emiri, carri pieni di ricchezze della chiesa, mentre circa 15.000 poveri finivano in catene per essere venduti come schiavi a Damasco.
La sorte degli scampati non fu però benigna. In quasi tutte le enclaves cristiane della Terrasanta i profughi, considerati solo delle bocche in più da sfamare in vista di prevedibili assedi, vennero rifiutati; a Tripoli furono accolti solo quelli che erano in grado di combattere, e le autorità egiziane dovettero minacciare di chiudere i loro porti alle navi italiane se queste non li avessero presi a bordo gratuitamente.
Saladino graziò Antiochia e Tripoli, ma non riuscì a conquistare Tiro. Quest'ultima costituì pertanto la testa di ponte per la terza crociata, nella quale l'azione di Riccardo Cuor di Leone, vincitore in battaglia sul sultano ma da lui sconfitto in termini strategici, riuscì a ricostituire un nucleo territoriale meno disarticolato, che avrebbe permesso al regno franco di sopravvivere ancora un secolo.


Pubblicato il 06/12/2010