Ars Bellica

Battaglia di Bouvines

27 luglio 1214

Il trionfo di Filippo II sull'imperatore Ottone IV conferma l'indiscutibile primato della cavalleria francese.

BOUVINES

Gli avversari

Ottone IV di Brunswick (Argentan, 1182 ca. - Harzburg, 19 maggio 1218)

Ottone IV di Brunswick

Fu re di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero. Figlio di Enrico il Leone duca di Baviera e di Matilde d'Inghilterra, nel 1198 fu eletto re di Germania e dei Romani dai principi guelfi del basso Reno, in opposizione a Filippo di Svevia di parte ghibellina, e fu riconosciuto da Innocenzo III nel 1201 (Convenzione di Neuss).
Morto Filippo di Svevia (1208), Ottone fu incoronato imperatore il 4 ottobre 1209 da Innocenzo III. Tuttavia, nonostante la solenne riconferma degli impegni assunti con la Convenzione di Spira (1209) a favore dei domini pontifici, Ottone rivendicò subito una serie di diritti in Italia e addirittura la corona di Sicilia, scendendo personalmente in Italia meridionale.
Scomunicato (1210) e deposto (1211) da Innocenzo III, gli fu contrapposto il figlio di Enrico VI, Federico II, incoronato re di Germania il 9 dicembre 1212 dal papa stesso.
Ottone tentò di recuperare il potere con l'aiuto dello zio Giovanni Senzaterra re d'Inghilterra, ma fu sconfitto da Filippo II Augusto re di Francia, alleato di Federico II, nella Battaglia di Bouvines (presso Lilla) il 27 luglio 1214.
Nel 1215 si ritirò nei propri feudi sassoni.

 


Filippo II di Francia (Gonesse, 21 agosto 1165 - Mantes-la-Jolie, 14 luglio 1223)

Filippo Augusto

Filippo II, noto anche come Filippo Augusto, Filippo il Conquistatore o Il Guercio, fu il settimo re di Francia della dinastia Capetingia.
Era figlio e successore di Luigi VII il Giovane e della sua terza moglie Adèle di Champagne.
Gli venne dato il soprannome di Augusto mentre era ancora in vita, in diretto riferimento all'antico titolo dato agli imperatori Romani. Potrebbe essergli stato dato perchè nato in agosto, o per il significato latino di augere, aumentare, aggiungere; infatti il soprannome potrebbe essere un riferimento al fatto che nel luglio del 1185 riattaccò al dominio reale le signorie d'Artois, di Valois, di Amiens, oltre ad una buona parte del Vermandois.
La nascita di Filippo nel 1165 (a Gonesse) fu accolta al pari di un miracolo dalla famiglia reale: infatti, Luigi VII aspettava da più di trent'anni un erede maschio, che gli fu dato solo dalla sua terza moglie, Adèle di Champagne. Così a Filippo fu dato per secondo nome Dieudonnè, ovvero "donato da Dio", che per analoghi motivi verrà attribuito più di quattro secoli dopo anche a Luigi XIV.
Il 1° novembre 1179, Filippo, associato al trono del padre, venne consacrato a Reims dallo zio, l'arcivescovo Guglielmo dalle Bianche Mani. Luigi VII morì il 18 settembre 1180, lasciando l'appena quindicenne Filippo solo al governo.
Dal 1181, il conflitto con le signorie si rianimò, fomentato dal conte Filippo I delle Fiandre. Filippo Augusto si era scontrato con i piani del conte rompendo l'alleanza con il duca di Brabante Goffredo III di Lovanio e l'arcivescovo di Colonia, Filippo di Heinsberg. Nel luglio del 1185, il trattato di Boves confermava al re i feudi del Vermandois, dell'Artois e dell'Amiénois.
I Plantageneti, che regnavano sull'Inghilterra, erano l'altro problema di Filippo II: i possedimenti di Enrico II d'Inghilterra comprendevano, oltre alla contea d'Angiò, la Normandia, la zona di Vexin e la Bretagna.
Un altro grosso cruccio per Filippo II erano infine i vicini germanici. Dopo la morte dell'Imperatore della casa di Hohenstaufen, Enrico VI, avvenuta nel 1197, due candidati erano in lizza: Ottone di Brunswick, sostenuto dallo zio Giovanni Senzaterra e favorito dal Papa, e, dall'altra parte, Filippo di Svevia, fratello di Enrico VI, sostenuto da Filippo Augusto e incoronato re dei Romani nel 1205. Quest'ultimo venne però ucciso nel giugno del 1208: ormai senza rivali, Ottone venne incoronato imperatore nell'ottobre del 1209. Innocenzo III rimpianse subito di aver sostenuto Ottone, che espresse molto chiaramente le sue ambizioni verso l'Italia (e che per questo venne scomunicato nel 1210).
Con l'appoggio papale, quindi Filippo II fu un assoluto protagonista nella lotta alla grande feudalità. In costante conflitto con i re d'Inghilterra, suoi vassalli: Enrico II, Riccardo I Cuor di Leone e Giovanni Senzaterra, ai quali strappò i feudi di Normandia, Angiò e Turenna e con la successiva vittoria di Bouvines (1214) contro l'imperatore Ottone IV (figlio di Matilda sorella di Giovanni Senzaterra), Filippo II Augusto riuscì a portare circa un terzo del territorio francese sotto la dinastia dei Capetingi.
Dopo la battaglia di Bouvines le operazioni militari si erano svolte in Inghilterra o nel sud della Francia. Il dominio reale, e più generalmente le regioni a nord della Loira, erano rimaste in pace, secondo i termini della tregua conclusa a Chinon nel 1215, originariamente di cinque anni di durata, poi prolungata nel 1220 con la garanzia di Luigi, una associazione che demarcava l'inizio della transizione da Filippo a suo figlio ed erede.
Sebbene le conquiste con le armi fossero cessate, Filippo estese nondimeno la sua influenza approfittando delle questioni di successione problematiche. È il caso della contea di Champagne all'epoca dell'accessione del pronipote Tebaldo IV, che gli permise la sicurezza della sovranità. È anche il caso del recupero da parte del re di alcune terre come Issoudun, Bully, Alencon e Clermont-en-Beauvaisis, oltre al Ponthieu.
La prosperità del reame alla fine del regno di Filippo II è un fatto certo. Si stimava l'eccedenza del tesoro a 25.210 lire nel novembre 1221. In quel momento, il Tesoro aveva nelle sue casse 157.036 lire, più dell'80% dell'entrata annuale ordinaria globale della monarchia. Il testamento di Filippo Augusto, redatto nel settembre 1222, confermava queste cifre, giacchè la somma dei suoi lasciti era divenuta di 790.000 lire parigine, circa quattro anni di entrate! Questo testamento venne redatto quando la salute di Filippo si aggravò facendo vedere la sua morte come imminente. Sopravvisse ancora dieci mesi.
Mentre si trovava a Pacy Filippo decise, contro i consigli dei suoi medici, di assistere alla riunione ecclesiastica organizzata a Parigi per la preparazione delle nuove crociate. Non sopravvisse alla fatica del viaggio e morì il 14 luglio 1223, a Mantes. Il suo corpo venne portato a Parigi e i suoi funerali furono velocemente organizzati a Saint-Denis, alla presenza delle grandi personalità del regno. Per la prima volta il corpo di un re di Francia, vestito di tutti i suoi regalia, venne esposto alla venerazione del popolo prima della sua sepoltura, in un rito solenne ispirato a quello in vigore per i re inglesi.
Filippo Augusto rimane uno dei re più studiati e ammirati della Francia medievale, non solo per la lunga durata del suo regno (quarantatrè anni), ma anche per le sue famose vittorie militari e per i suoi grandi progressi verso la fine dell'epoca feudale e verso il concentramento del potere nelle mani del re.

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La situazione internazionale

La situazione internazionale che si era venuta a creare a cavallo tra il XII e il XIII secolo era estremamente confusa. In effetti, dai tempi della conquista normanna, l'Inghilterra dei Plantageneti era una realtà di cui bisognava tener conto in Europa, dal momento che il possesso della Normandia le permetteva di avere una rilevante testa di ponte sul continente; la statura di personaggi come Enrico II e poi del figlio primogenito, Riccardo Cuor di Leone, l'eroe delle Crociate, capace di sconfiggere lo spauracchio Saladino e di mobilitare una nazione per liberarlo dalla prigionia in Austria, aveva consolidato la dinastia e reso centrale il suo ruolo nella politica europea. Le Fiandre erano terre in grande fermento, fucina di cavalieri e combattenti disposti a offrire i propri servigi a chiunque prospettasse loro compensi, e prospero mercato della lana col quale i sovrani degli altri stati ambivano ad avere un rapporto commerciale privilegiato. Il papato non era mai stato tanto forte, con un pontefice autorevole e carismatico quale era Innocenzo III, capace di imporsi come depositario di decisioni politiche decisive per lo sviluppo dei rapporti internazionali dell'epoca.

Ottone IV e Innocenzo III
Ottone IV incontra il papa Innocenzo III

E poi, c'era l'impero, il Sacro Romano Impero, passato, nei quattro secoli di esistenza, attraverso varie casate e dinastie, dai Carolingi agli Ottoni, dai franconi agli svevi. Proprio allora c'era stato un cambiamento rilevante nella sua storia, grazie alla politica matrimoniale di Federico Barbarossa, che aveva procurato alla propria casata l'eredità normanna dell'Italia meridionale, facendo sposare il proprio figlio ed erede Enrico VI all'ultima esponente dei gloriosi Altavilla. Ma il nuovo imperatore era durato poco, e la sua morte precoce, nel 1197, aveva lasciato vacante un impero che andava dalle coste lungo il Mare del Nord alla Sicilia, tagliando in due l'Europa e stritolando i possedimenti papali in Italia centrale.
Buon per Innocenzo III che Enrico VI avesse affidato il proprio figlio Federico alla sua tutela. Il papa, infatti, aveva incoraggiato la formazione italica del bambino, che per gran parte della sua brillante vita si sarebbe disinteressato della Germania, per concentrarsi sulla penisola, lasciando che nei tenitori tedeschi si affermasse il partito opposto alla casata degli Hohenstaufen, cui apparteneva, ovvero i guelfi. Nel 1209, il pontefice sancì l'elezione a imperatore del loro più prestigioso esponente, Ottone IV di Brunswick, la cui parentela con Giovanni Senzaterra, succeduto al trono inglese dopo la morte del fratello Riccardo nel 1199, creava i presupposti per un asse anglo-tedesco decisamente scomodo per il re francese.
Gli intrecci politici erano ulteriormente complicati dal sussistere del vincolo di vassallaggio che legava ancora il re inglese, in quanto duca di Normandia, al re di Francia. E quanto tali obblighi teorici fossero rilevanti lo si vide subito dopo l'avvento al trono di Giovanni, allorché, in conseguenza del rifiuto del re inglese di render conto a quello francese della sua politica matrimoniale, scoppiò la guerra tra le due nazioni. In un triennio, l'offensiva che Filippo scatenò tolse agli inglesi il controllo di quasi tutti i loro possedimenti sul continente, ovvero Normandia, Poitou, Angiò, Maine e Turenna.

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L'alleanza anglo-tedesco-fiamminga

I pessimi risultati conseguiti nel conflitto da Giovanni Senzaterra spinsero il re inglese, poco amato in patria, a rinsaldare i vincoli con il nipote Ottone IV che, da parte sua, non aveva riposto l'ambizione di unificare tutti i territori di Enrico VI. Nel 1212 l'imperatore passò a sua volta all'offensiva, cercando di impossessarsi dell'Italia meridionale, ma la sua mossa gli alienò definitivamente le simpatie papali; Innocenzo III aveva fatto di tutto per mantenere separate le due porzioni di eredità di Enrico VI, e reagì nell'unico modo in cui un pontefice poteva nuocere al nemico: scomunicò Ottone, lo depose ed elesse al suo posto il giovane Federico II.
L'azione del sovrano guelfo ebbe anche l'effetto di avvicinare Filippo e il papa, e di cementare i due blocchi che si vennero così a creare: da una parte due sovrani screditati, Giovanni e Ottone, appoggiati da parte dei principi fiamminghi, dall'altra un re in ascesa, Filippo, forte dell'appoggio papale.
L'alleanza anglo-tedesco-fiamminga sembrò evidenziarsi in tutta la sua pericolosità con l'attacco su più direttrici che Giovanni e Ottone portarono ai territori francesi. Il re inglese si fece carico della direttrice meridionale, sbarcando a La Rochelle il 16 febbraio 1214 e invadendo l'Aquitania, mentre Ottone doveva agire nel Settentrione, valendosi degli appoggi fiamminghi per puntare direttamente su Parigi mentre l'avversario era occupato a sud.
Filippo non poté far altro che accorrere già in marzo nel Meridione ad arginare Giovanni; ma Ottone indugiava nelle Fiandre, in attesa di incrementare i suoi magri effettivi tedeschi con i mercenari pagati dal denaro inglese. L'invasione contestuale non ebbe quindi luogo, e Filippo potè pertanto tornare a nord, affidando al figlio Luigi il compito di controllare i movimenti di Giovanni.
Ottone diede avvio alla sua campagna solo il 12 luglio, raggiungendo Nivelles nel Brabante e poi marciando verso sud, nell'Hainault, puntando finalmente su Parigi. Ma il re di Francia non si limitò ad aspettare l'avversario. Optò infatti per una strategia offensiva, muovendo alla volta delle Fiandre, teatro di incessanti e altalenanti scontri negli anni precedenti, prima che gli avversari potessero penetrare in profondità nel territorio parigino. Il 26 luglio espugnò Tournai, ma poi si accorse che Ottone era già più a sud, all'altezza di Valenciennes, e tornò subito indietro, prendendo la via verso occidente, in direzione di Lillà, per aggirare a sua volta il nemico. Ma Ottone non voleva lasciarselo scappare, e virò anch'egli verso ovest, col risultato che i due eserciti si trovarono a ridosso l'uno dell'altro appena a est del fiume Marcq; era il 27 luglio, una domenica, e il re francese non prevedeva uno scontro nel giorno dedicato a Dio, nel quale, come osservò uno dei suoi consiglieri, era male spargere sangue umano. Così, Filippo mostrò di voler passare a ovest del corso d'acqua, apparentemente per attestarsi in una posizione che gli permettesse di costituire uno sbarramento sulla strada di Parigi; a tale scopo si valse di un ponte situato in corrispondenza della cittadella di Bouvines, che affidò al lavoro dei genieri perché lo allargassero per permettere un più sollecito transito dei soldati.
Ottone pensò che l'avversario volesse semplicemente sottrarsi al combattimento, e in considerazione della propria superiorità numerica, strinse i tempi per arrivare a battaglia.

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L'esercito di Filippo Augusto e la cavalleria francese

Lo scarso contributo che i grandi signori del regno francese fornivano alla corona, in caso di chiamata alle armi, era lo specchio della tenue autorità che i re francesi, fino a Filippo Augusto, erano in grado di imporre ai loro vassalli. In linea di massima, ciascun feudatario era tenuto a fornire al sovrano anche meno di 1/100 dei suoi cavalieri, per un totale di 800 stimati in tutte le terre del regno; basti pensare che il conte della Champagne, che disponeva di 2300 cavalieri, ne forniva solo una ventina. Anche in caso di eribanno, la leva straordinaria cui erano tenuti ad aderire tutti gli uomini abili alle armi, come per la campagna di Bouvines, lo stesso conte non ne forniva più di 180, e tutti i vassalli in totale non più di un paio di migliaia. Il re era costretto a compensare con i combattenti forniti dalla Chiesa, con quelli provenienti dai propri domini e con i mercenari.
Tra i cavalieri di estrazione nobiliare, ve ne erano di rango diverso, a cominciare dai più facoltosi, i banneret, per proseguire con i possessori di un feudo, i chevalier engagè, ovvero i cavalieri di leva, fino agli scudieri. Il loro addestramento alle armi iniziava a sette anni, generalmente come paggi del padre, per passare ai 12 alla corte di un signore potente; questi li prendeva sotto la sua protezione e proseguiva il loro addestramento, valendosene in particolare per la caccia, fino a farne dei veri e propri cacciatori entro i vent'anni. Seguiva poi la cerimonia di investitura a scudiere, dopo la quale il giovane era incoraggiato a intraprendere la carriera delle armi, solitamente come attendente di un cavaliere, fino ad accompagnarlo occasionalmente in battaglia con il destriere di riserva e un equipaggiamento completo; in seguito, egli perveniva alla più solenne investitura a cavaliere, che comportava, almeno teoricamente, l'adesione a un rigido codice deontologico, anche nei confronti dei nemici.
L'equipaggiamento di un cavaliere era decisamente costoso, e presupponeva, prima di ogni altra cosa, l'acquisto e il mantenimento di un cavallo da guerra; i banneret disponevano di due destrieri, ovvero cavalli da guerra, e almeno di cinque seguaci (definiti scudieri, garzoni, valletti), il cui compito era, solitamente, provvedere al vettovagliamento e alle cavalcature, sebbene talvolta fossero tenuti a partecipare ai combattimenti; dai cavalieri di medio rango ci si aspettava, invece, che si portassero dietro un destriere e due cavalli ordinari (palafreni), oltre a un paio di seguaci.

Cavalieri XIII sec
Miniatura del 1250 raffigurante cavalieri in battaglia

La difesa corporea era affidata a un usbergo e, sotto di esso, al gambeson, il giaccotto imbottito di pelle o seta inspessita, oltre alle protezioni lungo gli arti; la maglia di ferro ricopriva anche le mani, mediante mezzi guanti detti guardamano, le gambe e i piedi, nonché il capo, con il cappuccio, sopra il quale si calzava un semplice casco, detto cervelliera. Sovente, la cuffia di maglia culminava con un'imbottitura per sostenere l'elmo. Sopra la corazza, si indossava una cotta di lana senza maniche, lunga fino alle caviglie, stretta in vita da una cintura e decorata a seconda del rango. Lo scudo, a forma di mandorla, era di dimensioni ridotte rispetto a quello della fanteria, per facilitare il movimento. L'armamento era completato da lancia e spada.
Il re poteva anche valersi dei contingenti comunali, per tre mesi l'anno, o in alternativa di contribuzioni in denaro con cui assoldare altri mercenari. Le milizie cittadine fornivano i cosiddetti sergenti. Letteralmente, il termine "sergente" era tratto dal latino "servente", e nei cronisti dell'epoca indicava tutti i combattenti non nobili, sia a piedi che a cavallo, ovvero tanto le milizie comunali quanto il seguito dei cavalieri di nobile estrazione, nonché i piccoli possessori di feudo. In seguito, il termine sarebbe stato progressivamente sostituito da "uomini d'armi".
Il loro armamento era più leggero di quello dei cavalieri, anche quando si trattava di sergenti a cavallo, sebbene nel XIII secolo tutti disponessero di usbergo, magari corto appena sotto la vita (in tal caso haubergon era la definizione più utilizzata), con un cappuccio a protezione della testa, sebbene non necessariamente di elmo. Spada, lancia e scudo a mandorla corto completavano l'armamento.

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Le forze in campo

Filippo, con gli effettivi raccolti grazie alla leva feudale nella Francia centrosettentrionale, poteva disporre di: 7000 tra cavalieri e sergenti a cavallo e 15.000 fanti, che convennero a Pèronne, nel Vermandois, oltre un centinaio di chilometri a nord di Parigi.
Ottone d'altra parte aveva dalla sua una superiorità numerica datagli dai suoi 18.000 fanti e 6000 tra cavalieri e sergenti a cavallo.

Filippo II a Bouvines
Filippo II a Bouvines

Questo vantaggio numerico però non cancellava la rinomata qualità della cavalleria francese. La formazione di punta dell'esercito di Filippo era ben più rinomata di quella dell'avversario e, se non altro, il re di Francia riuscì a raggiungere il nemico su uno scacchiere dove il terreno aperto vicino al fiume avrebbe meglio assecondato la spinta delle sue unità a cavallo; almeno, questo è ciò che lascia intendere almeno una fonte, la Vita Odiliae.

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Gli schieramenti

Quando ebbe notizia che gli imperiali, "come una muta di cani arrabbiati dietro una preda", secondo le parole di un anonimo cronista francese, stavano già attaccando la sua retroguardia, costituita dagli uomini della Champagne e guidata dal visconte di Melun, Filippo inviò a sostegno il duca di Borgogna e diede ordine di arrestare il trasferimento delle truppe sulla sponda occidentale, che aveva già riguardato parte della fanteria; ormai ansioso di combattere quanto l'avversario, schierò subito l'esercito a battaglia, disponendo i balestrieri in prima linea, la fanteria in seconda e la cavalleria in terza, e costituendo un fronte di tre divisioni, "in onore della divina Trinità", dice un cronista.
Il sovrano assunse il comando diretto del centro, dove stazionava insieme a una settantina di cavalieri normanni, e all'orifiamma (fiamma d'oro), il vessillo dei re di Francia in quanto vassalli dell'abbazia di Saint Denis per un feudo nel Vexin. Filippo affidò quindi l'ala destra al vescovo di Senlis, Guerino, un templare, coadiuvato dal duca di Borgogna e dal conte Gualtieri di Saint-Pol, nonchè dal conte di Melun con le sue unità reduci dalle scaramucce iniziali. Il responsabile della sinistra, costituita dai soldati del settentrione, fu Filippo di Beauvais, insieme al fratello, il conte Roberto di Dreux, e ai conti del Ponthieu e di Auxerre.

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Bouvines - Schieramenti

Un po' sconcertato, Ottone si affrettò a disporsi a sua volta a battaglia, schierando le sue truppe man mano che sopraggiungevano, e ponendo la fanteria in prima linea. Anch'egli si pose al centro, accompagnato dallo stendardo con l'aquila imperiale e da Ugo di Boves, un capitano di ventura, dalle truppe tedesche e da quelle del Brabante e di Namur; affidò poi il fianco destro, costituito in gran parte da mercenari, a Guglielmo di Salisbury, fratello di Giovanni Senzaterra, e a Rinaldo di Boulogne, mentre la sinistra, formata in massima parte da fiamminghi, fu assegnata a un altro ex vassallo di Filippo, Ferrante di Fiandra. L'imperatore scomunicato aveva avuto perfino l'accortezza di far cucire croci sul petto e sul dorso dei suoi soldati, affinché si distinguessero dagli avversali una volta accesa la mischia.

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La battaglia

Fu Filippo a dare avvio allo scontro, probabilmente quando l'esercito nemico non aveva ancora completato lo schieramento, con parte della fanteria ancora lungo la strada. Il primo attacco fu portato, a mattino avanzato e col sole alle spalle dei francesi, da un'unità di 300 sergenti a cavallo di Soissons, agli ordini del vescovo Guerino; costoro ebbero tutto l'agio di arrivare a ridosso dei cavalieri fiamminghi di Ferrante, i quali ritenevano di non doversi sporcare le mani affrontando combattenti di lignaggio inferiore al proprio.

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Bouvines - Attacco dell'unità di 300 sergenti a cavallo

Gli uomini di Fiandra reagirono in ritardo, contrattaccando infine, al grido di "Morte ai francesi!" con lo stesso comandante, che diede ordine di puntare ad abbattere i cavalli avversari.
Intanto, il resto dell'ala francese, guidata da Gualtieri di Saint-Pol - che doveva fugare dubbi sulla sua lealtà -, intervenne a supporto dei commilitoni, mentre anche il resto dei due schieramenti arrivava al contatto con il fronte opposto.

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Bouvines - Intervento degli altri schieramenti

La mischia divenne così serrata che in più di un'occasione i fendenti delle spade calarono su appartenenti alla stessa armata.

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Bouvines - Gli schieramenti arrivano al contatto

Comunque, l'intervento del conte di Saint-Pol permise ai francesi della destra di operare uno sfondamento, che portò il conte stesso oltre le linee avversarie. Questi ne approfittò per caricare da tergo i fiamminghi, rendendosi anche protagonista di azioni valorose, come il salvataggio di un suo amico prigioniero degli avversari, e stimolando l'emulazione del conte di Melun, che iniziò anch'egli a passare attraverso le linee fiamminghe.
Viceversa, negli altri due settori dello schieramento i francesi sembravano subire la superiorità numerica degli imperiali. I fanti di Ottone potevano fruire di una maggiore profondità, e ciò permise loro di vincere l'impatto con i francesi; inoltre, la maggiore estensione del fronte imperiale sulla destra consentì agli alleati di schiacciare anche il fianco nemico. Filippo si ritrovò così addosso i tedeschi, mentre la sua cavalleria, che avrebbe dovuto proteggerlo, era impegnata in una serie di scontri con i cavalieri avversari; sembrava dunque prossimo a realizzarsi l'obiettivo di Ottone, che aveva ingaggiato battaglia col preciso scopo, condiviso dai suoi maggiori alleati e consiglieri, di raggiungere Filippo e provocarne la morte.
Il re francese fu così alla mercè dei fanti germanici, che lo disarcionarono e lo aggredirono a più riprese; solo la robustezza dell'armatura consentì a Filippo di resistere ai colpi avversari fino a quando non sopraggiunse la sua guardia del corpo. Il re dovette probabilmente la vita al suo portastendardo, Galone di Montigny, che si mise ad agitare come un forsennato la sua bandiera, col giglio dorato in campo azzurro - che solo allora irrompeva sul palcoscenico della Storia -, per attirare l'attenzione dei cavalieri francesi.
Pare di poter individuare in quest'episodio la chiave di volta del combattimento. La riscossa della guardia di Filippo consentì al re di rimontare a cavallo e di condurre un contrattacco alla testa della cavalleria pesante; i picchieri tedeschi si erano ormai spinti talmente in profondità da aver perso qualunque parvenza di coesione, e si fecero cogliere del tutto impreparati.

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Bouvines - La riscossa della guardia di Filippo e la cintura difensiva disposta in cerchio

Anzi, in breve tempo furono proprio i francesi a spingersi fino alle linee occupate dall'imperatore; in particolare un cavaliere, Pietro Mauvoisin, si fece strada tra i tedeschi e arrivò proprio davanti a Ottone, riuscendo perfino ad afferrare le briglie del suo cavallo e a tenerlo bloccato per un bel pezzo. Un altro soldato di Filippo, tale Girardo Scrofa, cerco di trafiggere l'imperatore al petto, ma anche in questo caso l'armatura salvò il comandante supremo di uno dei due eserciti. Il colpo finì per prenderlo il suo cavallo, che si accasciò a terra obbligando Ottone a cercarne un altro, prontamente offertogli da tale Girardo di Hostmar; questi, per giunta, si frappose tra il suo signore e i sopravvenenti francesi, ritardandone l'inseguimento.
Esortati dallo stesso Filippo, i cavalieri transalpini continuarono però a star dietro all'imperatore, e nuovamente lo raggiunsero; Guglielmo di Barres, famoso campione di tornei, tentò di disarcionarlo, ma Ottone riuscì a resistere, fino a quando l'intervento di alcuni sassoni non gli permise di trarsi d'impaccio e di abbandonare definitivamente il campo di battaglia.
A destra, invece, gli anglo-fiamminghi non ne vollero sapere di cedere. Col supporto del fratello del re inglese, l'inesauribile Rinaldo di Boulogne conduceva fin dall'inizio della battaglia continui assalti alle file avversarie, per poi riparare dietro la cintura difensiva allestita da 700 picchieri disposti in cerchio; costoro gli permettevano ogni volta di rifiatare aprendo dei varchi per farlo entrare e operando da schermo con le lance nei confronti degli assalti nemici.

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Bouvines - Ottone abbandona il campo di battaglia e la conversione verso gli anglo-fiamminghi rimasti

Decisivo fu l'intervento del vescovo di Beauvais, che arrivò a disarcionare il conte di Salisbury con un colpo di mazza ferrata, lasciando poi che un altro cavaliere si prendesse il merito dell'impresa.
A combattere rimase solo l'irriducibile Rinaldo, consapevole che il suo cambiamento di campo e le successive imprese contro il re di Francia non gli lasciavano speranza di perdono. Tuttavia, man mano che il tempo trascorreva, le sue forze si assottigliavano, mentre sempre maggiori erano quelle che Filippo poteva mandargli contro, e che arrivarono ad assommare 3000 combattenti.
Determinato a cercare la morte, Rinaldo si ridusse a uscire dal cerchio di fanti con soli cinque cavalieri, e con la prospettiva di affrontare pressoché l'intero esercito avversario. Finì disarcionato e immobilizzato dalla carcassa del suo cavallo, ma prima che la soldataglia francese potesse finirlo il vescovo Guerino, per solidarietà di casta, lo dichiarò prigioniero; Filippo non l'avrebbe fatto giustiziare, ma di prigione non sarebbe più uscito.

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Le perdite

Non si hanno notizie precise sul numero di caduti. I cronisti ci forniscono un "resoconto da Iliade", secondo le parole di Duby, un racconto fatto di singolar tenzoni tra nobili, gli unici a godere del palcoscenico della Storia. Le perdite tra la soldataglia, comunque, dovettero essere elevate, poichè di sergenti a cavallo ne rimasero sul campo, da parte alleata, ben 170, una cifra assai consistente; di veri e propri cavalieri, tuttavia, ne caddero solo un paio, in un'epoca in cui il mutuo rispetto tra nobili imponeva la tendenza a dimostrare la propria superiorità sull'avversario costringendolo alla resa, semmai per ricavare un riscatto dalla sua prigionia. Non a caso, altri 140 cavalieri e un migliaio di fanti finirono nelle mani dei francesi - che, a quanto risulta, ebbero perdite relativamente lievi -, i quali allestirono un imponente corteo trionfale fino a Parigi, esibendo un numero di prigionieri quale non si era mai visto.

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Le conseguenze

La battaglia di Bouvines screditò l'imperatore ma anche l'impero. Scomunicato, sconfitto, ridicolizzato dalla sua fuga, Ottone IV fu deposto l'anno seguente e uscì dal novero dei protagonisti della Storia, per morire quattro anni dopo, braccato e solo; ma il suo epilogo rappresentò anche il fallimento del suo intento riformista, che lo aveva trasformato nel più acerrimo avversario della Chiesa; ecco cosa gli fa dire Guglielmo il Bretone nella sua Filippide: Perché tanta gente che prega? La maggior parte non serve Iddio: rimandiamola a lavorare. Lasciamo solo due persone nelle chiese piccole e quattro in quelle grandi. Saranno più che sufficienti. E quei pochi che restano, vivano, come loro si addice, in vera povertà. Così potremo spartirci le ricchezze della Chiesa.
L'impero, invece, resse ancora per qualche decennio grazie alla straordinaria personalità di Federico II, che però agì più come un sovrano regionale che come monarca universale. Poi, decadenza e interregno, prima della cauta e graduale rinascita con gli Asburgo.
Non se la cavò meglio Giovanni Senzaterra, la cui somma incapacità non gli aveva neanche consentito di partecipare alla battaglia decisiva; nei due anni che gli restavano da vivere, il re inglese dovette sottoscrivere, con la pace di Chinon, le perdite territoriali che gli aveva inflitto Filippo, e con la Magna Charta, la perdita del potere assoluto, che da allora i sovrani inglesi dovettero condividere con i baroni, aprendo la via alla monarchia costituzionale.
Chi invece trasse da Bouvines i vantaggi più cospicui fu Filippo II, da allora soprannominato "Augusto", "re di Francia" e non più "dei franchi". La vittoria gli permise di completare le annessioni al suo regno con ulteriori campagne lungo il Reno, triplicando il territorio che aveva ricevuto dal padre, che trasformò da un agglomerato di feudi in uno stato centralizzato, inaugurando il secolo di fulgore della Francia medievale. Inoltre, egli non aveva solo vinto, ma aveva anche difeso la Chiesa da un imperatore scomunicato il quale, per giunta, aveva osato attaccare di domenica. E poco importa che Filippo avesse accettato ben volentieri la battaglia, o che anni prima fosse andato alla crociata solo per tornarsene in tutta fretta a casa dopo aver constatato che la difesa della fede comportava qualche sforzo in più del previsto. La sua vittoria diede avvio all'epoca dei re "cristianissimi" - e perfino santi, come Luigi IX -, dei Capetingi visti come il naturale sostegno del papato, tanto da fare di quest'ultimo, con il trasferimento della sede pontificia ad Avignone nel XIV secolo, una propaggine della corona francese.


Pubblicato il 07/12/2010

BOUVINES

Il Libro

Bouvines 1214

Copertina Bouvines

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Sinossi

 

La battaglia di Bouvines fu lo scontro decisivo del primo grande conflitto tra coalizioni europee. Filippo Augusto di Francia inflisse ad Ottone IV di Germania e al conte Ferdinando di Fiandra una sconfitta così pesante che Ottone venne deposto e sostituito da Federico VII di Hohenstaufen, mentre Ferdinando venne catturato e imprigionato. Quanto a Filippo, dopo la battaglia, con il trattato di Chinon riuscì ad avere il controllo completo e indiscusso sui territori di Angiò, Bretagna, Maine, Normandia e Turenna, che aveva da poco strappato al re inglese Giovanni Senzaterra, alleato di Ottone.
L’intrepido Filippo diede avvio allo scontro mandando all’attacco un un'unità di 300 sergenti a cavallo di Soissons, probabilmente quando l'esercito nemico stava ancora completando lo schieramento.






Indice argomenti:
 • Introduzione
 • L'alleanza anglo-tedesco-fiamminga
 • Gli avversari (Ottone IV di Brunswick - Filippo II di Francia - Giovanni Plantageneto)
 • L'esercito di Filippo Augusto e la cavalleria Francese
 • L'armamento
 • L'ostinazione del cavaliere
 • Le avversità atmosferiche
 • Le forze in campo
 • Gli schieramenti
 • La battaglia
 • Le perdite
 • Le conseguenze

libro1
Anteprima
libro2
Anteprima con schema battaglia

Pubblicato a Maggio 2012
Libro di 74 pagine (copertina a colori, brossurato, formato tascabile)
ISBN 978-88-96522-90-5

Disponibile in catalogo su Edizioni Chillemi