Ars Bellica

Battaglia di Verdun

Febbraio - Dicembre 1916

Nella più sanguinosa battaglia della storia, Tedeschi e Francesi mandano al massacro i loro eserciti sperando invano in una vittoria dal valore più "psicologico" che tattico.

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Gli avversari

Philippe Pétain (Cauchy-à-la-Tour, 24 aprile 1856 - Port-Joinville, 23 luglio 1951)

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Pétain, sessantenne, assunse il comando mentre il Fort Douaumont cadeva, il 26 febbraio 1916; nonostante la polmonite doppia che minacciò di ucciderlo, il generale si rese rapidamente conto della situazione, uniformando la propria condotta alla convinzione che occorresse «combattere con il materiale più che con gli uomini» per evitare di mandare al massacro, sotto il fuoco della micidiale artiglieria tedesca, migliaia di fanti.
In 48 ore riuscì a concentrare un'artiglieria altrettanto potente di quella nemica, recuperando un minimo d'iniziativa grazie ad un sapiente impiego della fanteria, utilizzata per attacchi estremamente circoscritti ma preparati minuziosamente. Umano verso i soldati e geniale nell'organizzazione, Pétain fu l'uomo giusto al momento giusto. Dopo Verdun, chiamato a sostituire Nivelle nel comando supremo in un momento critico per l'esercito francese, logorato dalla guerra di trincea e scosso da gravi ammutinamenti, egli riuscì a riorganizzare le truppe, salvando la Francia per la seconda volta.
Ministro della Guerra nel governo Doumergue (1934), Pétain contestò la politica estera francese, tesa ad avvicinarsi all'Unione Sovietica per controbilanciare Hitler. Durante gli anni del "fronte popolare", accusando il governo di aver disarmato la Francia, si schierò a favore delle formazioni parafasciste del colonnello La Rocque. Ambasciatore presso la Madrid franchista del 1939, fu presidente del consiglio dopo l'invasione nazista del 1940.
Appoggiato dalla destra, ottenne, dall'assemblea nazionale riunita a Vichy, i poteri per una revisione costituzionale. Istituì allora un regime collaborazionista, macchiandosi poi di crimini che il popolo francese non avrebbe mai dimenticato. Dopo la liberazione di Parigi (Agosto 1944), Pétain disconobbe l'ultimo governo collaborazionista. Rimpatriato, processato e condannato a morte, vedrà commutata la condanna in ergastolo e morrà in prigione nel 1951.


Erich von Falkenhayn (Burg Belchau, 11 settembre 1861 - Potsdam, 8 aprile 1922)

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Discendente di cavalieri teutonici, pupillo del Kaiser, Falkenhayn era un uomo freddo e insensibile, tanto da approvare il primo impiego dei gas a Ypres e da appoggiare i bombardamenti aerei indiscriminati. Non si preoccupò nemmeno di comunicare al collega austriaco Conrad, che lo aveva informato della prossima Strafexpedition ("spedizione punitiva") asburgica contro l'Italia, che anche la Germania preparava un'offensiva in grande stile a Verdun. Il cinico Falkenhayn, tuttavia, perdeva tutto il suo "sangue freddo" proprio nei momenti critici.
Scegliendo consapevolmente di trascurare gli altri fronti, giudicati di secondaria importanza, dedicò tutte le sue energie al fronte francese, là dove, per un soffio, von Moltke aveva fallito. Falkenhayn argomentava la sua strategia, anziché in termini di "obiettivo prioritario", in termini di "nemico principale", individuato nell'Inghilterra per compiacere il Kaiser, e l'Inghilterra poteva essere battuta solamente con una vittoria in Francia e con la guerra sottomarina. Ministro della guerra prussiano dal luglio 1913 al gennaio 1915, succedette a Von Moltke come Capo di Stato maggiore, dopo la disfatta della Marna.
Ritenuto responsabile del massacro e dell'insuccesso di Verdun, venne sollevato dal comando di quel settore dal Kaiser Guglielmo II e inviato in Romania, al comando della 9a Armata. Le sue memorie, anziché chiarire, rendono ancor più confuse le ragioni del suo operato.

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La pianificazione tedesca

Nel 1906 esisteva già un piano del Capo di Stato maggiore prussiano von Schlieffen, che prevedeva per la Germania, nel caso fosse stata costretta a combattere su due fronti contemporaneamente, una difesa blanda contro la Russia, presupponendo che questa avrebbe impiegato almeno sei settimane per mobilitare le truppe. Il Blitzkrieg ("la guerra lampo") si sarebbe dovuto sviluppare sul fronte francese, giungendo a Parigi in quattro settimane per poi spostare sul fronte russo tutto l'esercito tedesco, grazie alle attrezzate ferrovie del Reich.

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L'Europa e i fronti di battaglia durante la Prima Guerra Mondiale

Per portare contro il nemico un'offensiva fulminea, i tedeschi avrebbero invaso la Francia dal Nord e non dal Reno, dove i francesi erano ben fortificati: 58 divisioni (su un totale di 72) avrebbero violato la neutralità del Belgio per sorprendere l'esercito francese alle spalle, inchiodandolo a nord-est di Parigi con l'ala sinistra, mentre l'ala destra avrebbe conquistato Parigi da nord-ovest, con una manovra avvolgente.
Helmuth Von Moltke, successore di von Schlieffen, aveva apportano notevoli ritocchi al piano, dato che lo considerava troppo rischioso in alcuni aspetti, anche in considerazione del fatto che l'esercito russo avrebbe comunque potuto mobilitare una parte delle sue truppe in tempi brevi e, soprattutto, che l'impostazione dell'esercito francese negli ultimi anni si era fatta sempre più offensiva con l'adozione nel 1911 del Piano XVII; ciò avrebbe comportato il rischio che un attacco francese riuscisse a dilagare in Germania in assenza di sufficienti forze difensive. Von Moltke perciò decise di aumentare a dieci le divisioni in Prussia orientale e rafforzare il fronte sul Reno ed in Alsazia per poter far fronte a un'eventuale offensiva francese. Per la "spallata" dal Belgio rimanevano, dunque, soltanto 50 divisioni.

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La mancata corsa alla manica

Il piano prevedeva che la 1a Armata di von Kluck raggiungesse al più presto la costa belga della Manica per impedire ad ogni costo lo sbarco inglese a rinforzo della Francia; successivamente von Kluck avrebbe dovuto spostarsi costeggiando scrupolosamente la Manica lungo la direttrice Dunkerque-Calais in modo che ogni soldato tedesco "sfiorasse la Manica con i bottoni della sua giubba", per poi superare la Senna e attuare, infine, la manovra avvolgente su Parigi.
La 2a Armata di von Bulow e la 3a di von Hausen si sarebbero invece attestate sull'Oise e l'Aisne per trattenervi i Francesi in difesa. Le altre quattro Armate del fronte avevano il compito di invitare il nemico all'offensiva per sbilanciarlo in avanti, mentre alle sue spalle si sarebbe abbattuto il maglio dell'ala destra germanica. A partire dal 3 agosto 1914, tre Armate, per complessivi 900.000 uomini, entravano in Belgio rispettando perfettamente i tempi.
Subito dopo, però, la 2a Armata non seppe sfruttare il fattore sorpresa, attardandosi sino al 13 agosto per prendere i forti di Liegi. Inoltre, subito dopo la caduta di Bruxelles, avvenuta precocemente il 20 agosto, von Kluck, anzichè raggiungere la Manica, piegò verso sud, convinto che il nemico non fosse in grado di opporre una forte resistenza. L'ala meridionale, infine, non assunse affatto l'atteggiamento "morbido" inteso da von Moltke, ma arrestò l'offensiva nemica, impedendo così che l'esercito francese si sbilanciasse in avanti.

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Limite della massima avanzata tedesca

Gli inglesi, quindi, ebbero tutto il tempo di sbarcare e raggiungere il fiume Marna, dove, una volta riunitisi con la 5a, 9a, 4a e 3a Armata francese, riuscirono a bloccare l'offensiva settentrionale tedesca: "la guerra lampo" voluta dal generale von Schlieffen si era conclusa in brevissimo tempo, ma certamente non con gli esiti da lui sperati.
La battaglia della Marna, nel settembre 1914, costò ai Tedeschi 185.00 uomini su 850.000 (44 divisioni); gli Anglo-Francesi vi impiegarono 56 divisioni e più di un milione i soldati, perdendone 190.000. Il fronte occidentale si sarebbe così stabilizzato per i prossimi 4 anni. Il 1915 vide la battaglia ribollire altrove in Europa, da Gallipoli all'Isonzo, da Gorlice alle acque dello Jutland. All'ovest, invece, si verificarono solo due cruente e inconcludenti offensive alleate, una a maggio sull'Artois, ed un'altra, a settembre, nella regione della Champagne. Mai campagne militari furono più inconcludenti di quelle combattute nel 1915.

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Strategie

Nel corso della Grande guerra il pensiero militare avrebbe elaborato e applicato sostanzialmente tre strategie: lo sfondamento, l'usura e la diversione; tutte si sarebbero dimostrate fallimentari. La strategia dello sfondamento, in teoria la più corretta, in quanto la più risolutiva delle tre non poteva realizzarsi in quanto si basava su due elementi, la sorpresa ed il metodo, tra loro contraddittori.
Il metodo, consistente nella preparazione dell'artiglieria, richiedeva tempi lunghi, anche fino a 4 giorni, ma tutto ciò andava a sfavore della sorpresa. Solamente in due occasioni gli attacchi di sfondamento ebbero successo: una volta contro i franco-britannici nella primavera del 1917 e l'altra contro l'Italia a Caporetto nell'Ottobre dello stesso anno, senza comunque determinare un risultato definitivo, a causa dell'eccessiva lentezza delle artiglierie e dei servizi nel seguire la fanteria che, sfondando, perdeva fatalmente il contatto con le proprie retrovie.
La strategia dell'usura, sia nella forma assunta a Verdun o alla Somme, sia nella forma della guerra sottomarina o del blocco commerciale, più che conseguire risultati, sembrò ritorcersi sempre contro l'attaccante. La strategia dell'usura, infatti, presuppone l'ipotesi che il morale dell'avversario possa collassare per stanchezza e privazioni, ma perfino i grandi ammutinamenti del 1917 in Francia e Russia, dove assumeranno la forma di rivoluzione, sembrano imputabili alla perdita della speranza di veder prossima la conclusione del conflitto, più che ai risultati di un'azione usurante dell'avversario. Il crollo del morale, insomma, non dipende dal numero di morti ma dall'inutilità del sacrificio.
La strategia della divisione, infine, si fondava sull'idea che, non potendo vincere sul fronte principale, si può tentare di vincere aprendo fronti secondari. Gli inglesi, ad esempio, già al tempo delle guerre napoleoniche avevano inviato con successo Wellington in Spagna. Esempio tipico di strategia diversiva nella Grande guerra è costituito dallo sbarco di 80.000 britannici nella penisola di Gallipoli o dall'impegno inglese in Palestina e Mesopotamia. Tuttavia, anche in questi casi non fu conseguito, direttamente o indirettamente, nessun risultato determinante per l'andamento del 1° conflitto mondiale in Europa.

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L'operazione Gericht

Tramontata la stella di von Moltke, al comando supremo germanico sorse l'astro fulgente di Erich von Falkenhayn. Il piano che il generale aveva progettato a tavolino già dal 1915 prese corpo da un'idea notevole, la quale, tuttavia, si sarebbe realizzata in maniera completamente inaspettata. Il fucile a ripetizione e la tecnica delle difese campali - comprese Falkenhayn - avvantaggiavano inesorabilmente la difesa sull'offesa, perciò la "guerra del movimento" si era trasformata in guerra statica.
Nessuna offensiva, per quanto gigantesca, avrebbe potuto superare il sistema difensivo francese. A questo punto la "diabolica" mente di Falkenhayn trovò il suo "uovo di Colombo". Così si esprime in un comunicato del Kaiser: «Se riusciremo ad aprire gli occhi al popolo francese sul fatto che dal punto di vista militare la Francia non ha più nulla da sperare, giungeremo al punto di rottura [...] Per raggiungere questo scopo non è necessario ricorrere all'incerto sistema di una profonda penetrazione nel territorio nemico, penetrazione che d'altra parte i nostri mezzi attuali non ci consentono. Possiamo, probabilmente, anche se con limitati mezzi, raggiungere ugualmente il nostro obiettivo. Dietro il settore francese del fronte occidentale vi sono a nostra portata gli obiettivi per la cui difesa lo Stato Maggiore generale francese sarebbe costretto ad impiegare fino all'ultimo uomo disponibile. Così facendo, le forze della Francia si dissangueranno, non potendo ritirarsi anche se lo volessero, senza tenere conto del fatto che da parte nostra si riesca o meno a conquistare quella zona. Se essi non si comportassero così e conquistassimo i nostri obiettivi, l'effetto morale sui Francesi sarebbe enorme. Mentre per un'operazione limitata ad un fronte ristretto, la Germania non dovrà esaurirsi completamente».
Il ragionamento prevedeva dunque che, sia che avanzassero per cedimento del nemico, sia che non lo facessero, i Tedeschi avrebbero vinto dissanguando il nemico con la concentrazione di una micidiale forza di artiglieria a Verdun. Il piano fu discusso con il Kaiser durante la notte di Natale del 1915 e venne approvato. L'inizio della carneficina fu fissato per il 21 febbraio 1916.

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Perché Verdun?

Verdun, la cittadina francese più fortificata, costituiva il fulcro della difesa francese, poiché saldava il settore settentrionale con quello meridionale del fronte. Inoltre, davanti a Verdun i tedeschi avrebbero facilmente occultato i pezzi d'artiglieria, le riserve di munizioni e le truppe destinate all'attacco nelle vaste distese boschive. Infine, per Verdun, la strada proveniente da Bar-le-Duc costituiva l'unica via di comunicazione con le retrovie e poteva essere sottoposta incessantemente ad un bombardamento concentrato.
Falkenhayn sapeva inoltre che quei luoghi avevano un grande valore ideale, oltre che strategico, perché erano stati fortificati da Vaubann sotto Luigi XIV, il Re Sole; quelle fortezze, arrendendosi ai Prussiani nel 1792, avevano scatenato la furia rivoluzionaria di Parigi; nel 1870 i Tedeschi non erano riusciti a conquistarle. A Verdun, insomma, batteva il cuore della Francia e per nessuna ragione la Francia stessa l'avrebbe lasciata al nemico, a costo di dissanguarsi.

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Il punto di vista francese

Già nel 1914 Verdun era stata incestita dalla 5a Armata del Kronprinz ("Principe ereditario") Federico Guglielmo e difesa dalla 3a Armata francese del generale Sarrail. A quell'epoca, il "generalissimo" Joffre, memore di come i giganteschi cannoni da 420 del nemico fossero riusciti a smantellare i forti belgi di Liegi, aveva già dato disposizione alla 3a Armata di abbandonare il sistema delle fortificazioni pur di non farsi intrappolare al loro interno.
Sarrail aveva invece deciso di resistervi ed alla sua ostinazione si dovette, forse, la salvezza dell'intero esercito. Lo Stato Maggiore francese continuava, tuttavia, a non "credere" in Verdun, un sistema di fortificazioni permanenti che non aveva più senso nella guerra moderna. Nel 1915 era addirittura iniziato un programma di disarmo dei forti, all'insaputa del governo. Questa azione, però, fu temporaneamente bloccata, non appena il ministro della guerra Gallieni ne venne casualmente a conoscenza. Questa iniziativa provocò la furiosa indignazione di Joffre, ignaro di quanto lungimirante fosse, invece, il punto di vista dei "politicanti" parigini.
Detto questo, dobbiamo ricordare come la vita dei soldati in trincea è fragile e provvisoria come quella delle foglie che il vento d'autunno da un momento all'altro staccherà dal ramo: è la voce di uno dei tanti intellettuali, arruolati volontari. Per il fante Ungaretti Giuseppe del XIX Fanteria, impiegato nei combattimenti sul Carso, la guerra appare ben diversa da come l'avevano descritta la retorica dannunziana o l'entusiastica esaltazione degli interventisti. La poesia abbandona la diaristica esperienza di vita ed assume in connotati di una scoperta esistenziale più profonda: il dolore. Nella guerra del poeta non c'è traccia di odio, c'è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, della precarietà della loro condizione, insieme a uno slancio vitale amplificato dalla prossimità e dalla frequentazione quotidiana della morte.

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I preparativi

I tedeschi prepararono tutto in fretta ed in segreto. In due mesi 1.300 treni scaricarono 2.500.000 proiettili per i 1.500 cannoni concentrati su Verdun, ovvero il fabbisogno dei primi sei giorni di fuoco; vennero costruite le piazzole per i colossali pezzi di grosso calibro, scavati i depositi sotterranei delle munizioni e gli immensi bunker per le fanterie sulle posizioni d'attacco.
Il segreto di tali ciclopici preparativi non poté essere mantenuto a lungo e il comandante di Forte Douaumont informò dei suoi sospetti il Comando Supremo, senza, però, essere realmente preso in considerazione: la "sana" logica di Falkenhayn. L'incarico di sferrare l'attacco fu affidato alla 5a Armata, ufficialmente al comando del Kronprinz, ma di fatto sotto la responsabilità del suo Capo di Stato Maggiore von Knobelsdorf. Due giorni prima dell'attacco, gli osservatori di Forte Douaumont videro inspiegabilmente "scomparire" le prime linee tedesche, come se i boches ( così i fanti francesi chiamavano quelli tedeschi ) fossero stati inghiottiti dalla terra.

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Veduta aerea di Fort Douaumont, 1916, prima dell'inizio della battaglia.

Non sbagliavano: infatti, le fanterie avevano raggiunto i loro profondi bunker sotterranei detti Stollen ("gallerie"), dove sarebbero rimaste per le successive 48 ore. Con la locuzione "battaglia di Verdun" si intende l'insieme dei cicli operativi legati a quel settore di fronte. Noi analizzeremo soltanto il periodo che va dal 21 febbraio al 23 giugno 1916, poiché questi mesi ne rappresentarono la fase cruciale.

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La Battaglia

Alle 7.15 del 21 febbraio, su un terreno pietrificato dal gelo, l'artiglieria tedesca aprì il fuoco con tutti i suoi pezzi: dai giganteschi "420" Krupp ai "380 navali", che miravano su Forte Douaumont, ai mortai, ai cannoni da campagna e quelli a tiro rapido, che colpivano le postazioni della fanteria francese tra il Blois des Coures e l'Herberbois. L'artiglieria francese, una parte della quale era trasferita altrove, praticamente non rispose al fuoco, poiché i Tedeschi, già da tempo avevano trovato l'ubicazione, l'avevano distrutta con le prime salve. Dopo otto ore di bombardamento calò il silenzio e le prime pattuglie tedesche, l'avanguardia delle masse di fanteria interrate negli Stollen, uscirono per prendere possesso delle trincee nemiche sconvolte.
Fu in questa occasione che i poilus ("villosi", soprannome affettuoso con cui venivano chiamati i soldati francesi nella Prima guerra mondiale) impararono a temere una nuova terribile arma del nemico: il lanciafiamme. Al tramonto, le difese della prima linea francese erano in mano alle pattuglie tedesche e le comunicazioni telefoniche erano interrotte. L'attacco in massa della fanteria tedesca, lanciato il mattino successivo, travolse tre divisioni e conquistò i boschi settentrionali, che costituivano l'ostacolo principale davanti a Forte Douaumont. Il capo del governo Briand, avvertito in serata con prudenza da Joffre che «ciò che non poteva accadere era accaduto», decise che Verdun doveva tenere a tutti i costi: la trappola di Falkenhayn era scattata perfettamente.
Il teorema di Falkenhayn era di una semplicità unica: causare il numero massimo di perdite con il minimo sforzo. La durezza della difesa, sebbene procurasse ai francesi parecchie migliaia di vittime al giorno, implicava comunque l'aumento della pressione e della densità della fanteria tedesca. La risposta di Pétain, nel frattempo nominato comandante responsabile del settore di Verdun, non si fece attendere: seppe ammassare in 48 ore un tale numero di cannoni da poter sviluppare concentrazioni di artiglieria non meno micidiali di quelle germaniche. La situazione era sfuggita al controllo della logica e la finta offensiva si ritorceva contro il suo ideatore. Così, se la via dei rifornimenti a Verdun fu battezzata dai francesi route sacreé ("via sacra") per le vittime che quotidianamente vi si immolavano, anche i Tedeschi ebbero una loro "pista dei birilli" sulla riva destra della Mosa, dove i grossi calibri nemici mietevano ricche messi di fanti in uniforme grigia.

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Verdun 1916

Pétain, all'inizio, aveva potuto schierare su Verdun solo sei nuove divisioni, troppo poche per arrestare il rullo compressore tedesco. Si preoccupò allora soltanto di rallentarlo per avere il tempo di allestire una linea fortificata, articolandola sui forti e su nuove opere campali. Anche i Tedeschi misero in linea cinque nuove divisioni e la mattina del 7 marzo avevano raggiunto l'altura strategica Le Mort-Homme. Essi iniziarono, però, a subire una serie di contrattacchi che sarebbero durati sino ad aprile. A questo punto su trenta chilometri di fronte erano ormai concentrati 5.000 cannoni, tra francesi e tedeschi: in media uno ogni 6 metri di terreno.
L'intensità dei bombardamenti era tale che la maggior parte degli uomini moriva senza aver mai visto il nemico. Quando uno dei due contendenti conquistava sanguinosamente uno dei tanti boschi di cui era ricca la regione, l'artiglieria nemica "arava" semplicemente la zona, mandando in pezzi uomini e alberi. L'inferno della battaglia era tale che Pètain decise di avvicendare a rotazione sotto il fuoco i reparti di tutto l'esercito: ogni reggimento francese doveva dare il suo contributo di sangue, gloria e morte dovevano essere equamente suddivise. Non così avveniva tra i Tedeschi della 5a Armata, che invano continuavano a chiedere l'intervento delle riserve. La sollecitudine di Pètain verso i soldati ed il suo atteggiamento difensivista non erano però graditi in alto loco.

Le Mort-Homme
La collina "Mort-Homme".

Per dare maggiore impulso dinamico al fronte, Joffre in aprile rimosse Pètain dal comando della 2a Armata, promuovendolo al comando del Gruppo di Armate di Centro, e lo sostituì, nella responsabilità del settore di Verdun, con l'offensivista Robert Nivelle. Questi sarebbe rimasto subordinato a Pétain, ma avrebbe saputo imprimere un atteggiamento più aggressivo alle truppe, sostenuto da un altro promotore dell'offensiva a tutti i costi: il generale Charles Mangin. A fine maggio, quando i tedeschi persero i loro famosi "420", finalmente smantellati dall'artiglieria francese, Forte Douaumont fu ripreso dai francesi e poi di nuovo perduto. La macchina "tritacarne", come sarebbe stato definito il campo di battaglia, funzionava ormai a pieno ritmo.

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L'offensiva anglo-francese della Somme

L'ultimo notevole successo germanico fu quello del 7 giugno, con la resa del Forte di Vaux. La sua difesa ad oltranza era costata alla guarnigione 20 morti e meno di 100 feriti, ai tedeschi il sacrificio di quattro battaglioni. Ciò nonostante, l'offensiva si sviluppò ancora fino ad investire il Forte di Souville ed a minacciare quello di St. Michel; in seguito i Tedeschi conquistarono le posizioni francesi di Cote de Poivre, giungendo a meno di cinque chilometri dal centro abitato di Verdun. Qui aggredirono la linea di resistenza preparata da Pètain con furiose "spallate" per una settimana di seguito, senza successo. Il 23 giugno lo stesso Kronprinz ordinò di sospendere gli attacchi, in attesa delle riserve che Falkenhayn si ostinava a non concedere, fedele al concetto che Verdun non doveva cadere, ma soltanto essere tenuta sotto pressione.
Per qualche mese, dunque, il "tritacarne" di Verdun lavorò a basso regime: fino al dicembre del 1916, i francesi avrebbero perso 442.000 soldati e i Tedeschi 278.000. Se ai caduti di quel periodo si aggiungono quelli del 1914 e della successiva offensiva francese nel 1917, della quale almeno Falkenhayn non era colpevole, il totale delle vittime sale a 1.492.000. Verdun è stata la battaglia più sanguinosa della storia: la concentrazione di caduti raggiunse una media di tre caduti ogni metro quadrato. Nel frattempo, però, i cannoni avevano preso ad arroventarsi sulla Somme, dove si era scatenata un'offensiva franco-britannica, che sottrasse a Verdun uomini e artiglieria. La Somme costò agli Inglesi circa 420.000 uomini, 200.000 ai Francesi e 450.000 ai Tedeschi, causando, in quattro mesi, più vittime di Verdun; ci sarebbero volute le offensive francesi della fine del 1916 e del 1917 perché questa cittadina riconquistasse il triste primato della battaglia più cruenta della storia.

Il fallimento della Somme costò il siluramento del generale Joffre (sostituito da Nivelle), quello di Verdun vide il tramonto dell'astro di Falkenhayn (cui subentrò la coppia Hindenburg e Ludendorff). Verdun aveva decretato il naufragio della psicologia aberrante di Falkenhayn, ma non la sconfitta della strategia altrettanto crudele ed inconcludente di Nivelle e Mangin, che ritenevano equo mandare all'olocausto 10.000 uomini per avanzare anche solo di 100 metri. Durante il 1917, in tutti gli eserciti i cui generali praticavano l'offensiva ad oltranza, si moltiplicarono episodi di diserzione e ammutinamento. Nel solo esercito francese, i casi di ribellione pare siano stati 30.000 (pochissime le sentenze di condanna a morte eseguite). Solo Tedeschi e Austriaci si salvarono da una tale piaga, perché ai sacrifici corrispose qualche vittoria parziale, che alimentò la speranza di una prossima conclusione della guerra.

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Le conseguenze storiche

La non vittoria di Verdun diede luogo comunque, almeno come concausa, a vari altri effetti. Sul piano strettamente militare, la Germania ne ricavò diversi vantaggi, sul piano politico-strategico, invece, ne derivò un colossale errore di valutazione. Tra i vantaggi che i tedeschi ottennero a Verdun figurano il rinvio dell'offensiva inglese della Somme e la possibilità di distogliere le truppe dal fronte francese a favore del fronte orientale. Peraltro, l'obiettivo della battaglia, sebbene non in misura eclatante, fu ugualmente conseguito dai Tedeschi che, a fronte del logoramento di 1/7 del proprio esercito, ne avevano inflitto ai francesi uno pari a 1/3 delle loro truppe.
In un certo senso, si potrebbe dire che la voluta non vittoria di Verdun propiziò la successiva vittoria sull'esercito russo e, quindi la rivolta contro lo Zar, che avrebbe causato la resa della Russia. Questi dati e i concomitanti successi conseguiti nella guerra sottomarina al traffico mercantile, convinsero lo Stato Maggiore tedesco della possibilità di concludere vittoriosamente il conflitto in sei mesi. La velocità e l'entità della reazione degli Stati Uniti, suscitata dagli indiscriminati siluramenti, furono invece sottovalutate dalle potenze dell'Intesa, con nefaste conseguenze.
All'opinione pubblica francese e internazionale sfuggì il motivo reale della battaglia di Verdun. Generalmente si ritiene che a Verdun la Francia avesse vinto in quanto la Germania non aveva sfondato. Così, malgrado l'immane tragedia, paradossalmente l'esercito francese ne uscì rafforzato nel morale, con un incrollabile fiducia nel comandante del miracolo: Pètain. Tuttavia, il pesante pedaggio pagato per la difesa e la riconquista dei forti di Verdun, portata a termine entro il 15 dicembre a prezzo di un elevatissimo numero di caduti, avrebbe concorso a produrre il pericoloso ammutinamento che si verificò nel 1917, quasi contemporaneamente alla rivoluzione in Russia, quando due reggimenti addirittura progettarono di marciare su Parigi.

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Commercio e siluri

Tra il 1913 ed il 1914, le esportazioni britanniche verso i Paesi neutrali prossimi o confinanti con la Germania aumentarono del 300% verso la Svezia, del 260% nei confronti della Norvegia, del 930% verso la Danimarca e del 290% verso l'Olanda, con il risultato di alimentare la Germania. Inghilterra e Francia presero, quindi, sempre più drastici provvedimenti per bloccare il traffico navale dei Paesi neutrali, fornitori o mediatori della Germania, ricevendone in cambio un'esplicita ostilità, in primo luogo dagli Stati Uniti.
A questa politica di blocco perseguita dagli alleati, la Germania rispose dichiarando le acque territoriali inglesi zona di guerra sottomarina. I siluri furono inizialmente indirizzati contro il traffico navale mercantile inglese, ma poi anche contro i traffici navali dei paesi neutrali. In seguito (31 gennaio 1917), i sommergibili tedeschi furono autorizzati ad effettuare anche affondamenti, senza preavviso, di qualsiasi tipo di nave in transito su quelle acque.
A questa determinazione, che le avrebbe inimicato il mondo, la Germania era giunta nella convinzione di riuscire a logorare il potenziale bellico ed il morale dei nemici nei soli primi mesi del 1917. In effetti, solamente in quel periodo, la flotta sottomarina tedesca riuscì ad affondare navi per ben 3.780.000 tonnellate. In seguito ai numerosi siluramenti delle navi americane, il 6 aprile del 1917 gli Stati Uniti dichiaravano guerra alla Germania, compromettendo inesorabilmente l'equilibrio delle forze a favore dell'Alleanza. A fine guerra i sommergibili tedeschi avrebbero totalizzato complessivamente cento affondamenti di navi da guerra e ben 6.000 mercantili.

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Un forte e un 'sergentino'

La regione di Verdun era difesa da una ventina di forti di grandi dimensioni e da circa quaranta capisaldi minori, disposti su tre cerchi concentrici intorno alla cittadina ed a cavallo della Mosa, capaci di coprire con le loro artiglierie tutto il territorio circostante per 360°. Le fortezze più importanti erano quelle di Douaumont e di Vaux, entrambe vicine alla stessa Mosa. Fort Douaumont, forse il più difficile da prendere al mondo, era stato ristrutturato nel 1913. A lavori compiuti misurava circa 400 metri di larghezza, era protetto da due reticolati profondi 30 metri, da una fila di pali metallici acuminati e da un fossato largo 7 metri.
Tutto il perimetro del fossato era nel campo di tiro delle mitragliatrici francesi ed illuminato da potenti fari. Infine, ogni parete del forte era protetta da uno spessore di 2,5 metri di cemento, intervallato da sabbia di contenimento ed elasticizzazione. Il forte era munito di numerosi accessi alle gallerie sotterranee, così da poter ricevere munizioni e rinforzi, senza portarli sotto il tiro nemico.
Al suo interno nascondeva una vera e propria città sotterranea, capace di ospitare circa un migliaio di uomini. Le ingegnosissime torri d'artiglieria retrattili, nuovamente costruite 20 anni più tardi anche per la linea Maginot, ospitavano un pezzo da 155 mm e due da 76 mm. Ognuna di queste torri era protetta da una cupola d'acciaio, spessa 80 cm, che veniva ritratta o sollevata fino a sporgere di 60 cm, mediante l'utilizzo di contrappesi da 48 tonnellate.

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Fort Douaumont al termine del 1916, devastato dai bombardamenti.

Forte Douaumont affrontò la sua prova del fuoco nel febbraio del 1915 quando una "Grande Berta" Krupp da 420 mm lo centrò per ben 62 volte. Rimasto intatto, come sarebbe accaduto anche nel febbraio dell'anno successivo, il forte non avrebbe, tuttavia, resistito all'attacco del sergente brandeburghese Kunze del 24° reggimento. Abbandonato dalla sua piccola squadra che se l'era svignata, Kunze, piuttosto che dover riattraversare la cortina di sbarramento dell'artiglieria, decise di infilarsi in una feritoia di questo forte. Ebbene, la sua azione individuale non soltanto riuscì a far tacere il cannone da 155 mm e a mettere in fuga diversi nemici, ma, al sopraggiungere di altri soldati tedeschi, questi lo trovarono a tavola, intento a pasteggiare con pane fresco e uova sode, mentre alcuni prigionieri francesi davanti a lui si affannavano intorno ad un fornello da cucina! La cattura del forte era costata ai tedeschi 32 uomini; la sua riconquista richiese ai francesi ben 100.000 caduti.


Pubblicato il 07/07/2009