Ars Bellica

Affondamento dell'USS Indianapolis

30 luglio 1945

Dopo la consegna della bomba che a Hiroshima segnerà definitivamente il corso del secondo conflitto mondiale, l'equipaggio dell'USS Indianapolis vive una delle più grandi tragedie della storia della Marina Militare Statunitense.
A cura di Giuseppe Bufardeci

USS INDIANAPOLIS

Prologo

Il 6 novembre del 1968, a Litchfield Connecticut, il capitano di vascello Charles Butler Mc Vay III, ex comandante dell'incrociatore della II guerra mondiale USS Indianapolis, a 70 anni d'età pose fine alla sua vita sparandosi un colpo di pistola al capo.
A Litchfield pochi capirono perché si fosse ucciso, non si sapeva molto di lui prima del suo trasferimento in quella piccola comunità.
Egli era sopravvissuto al peggiore disastro navale della storia degli Stati Uniti e questo fatto lo aveva perseguitato per tutta la vita.

Charles Butler Mc Vay III
Il capitano di vascello Mc Vay

L'USS Indianapolis fu affondata da un sommergibile giapponese (I-58) il 30 luglio 1945, fu la prima nave silurata dal suo comandante e l'ultimo affondamento importante della seconda guerra mondiale.
L'USS Indianapolis ha un posto nella storia per altre due circostanze: trasportò alle isole Marianne (Tinian), l'involucro e la carica di uranio della prima bomba atomica (Little Boy), sganciata poi su Hiroshima e registrò la più alta perdita di vite umane in un singolo attacco in mare nella storia della Marina degli Stati Uniti.
Dei 1196 uomini di equipaggio solo 317 sopravvissero.
Il comandante Mc Vay fu accusato di negligenza, e unico, tra tutti i comandanti di navi affondate per un'azione bellica nella storia della marina statunitense, sottoposto a corte marziale e condannato.
Nonostante i superstiti non attribuissero nessuna responsabilità al comandante, molti familiari di scomparsi invece lo fecero, montando un clima di linciaggio morale che alla fine lo portò al suicidio.

USS INDIANAPOLIS

Partenza

L'USS Indianapolis, varata nel 1932, era un incrociatore pesante, una vera e propria città galleggiante, ammiraglia della 5a Flotta della Marina Americana al comando dell'ammiraglio Raymond Spruance.
All'entrata in servizio, era stata scelta dal presidente Roosevelt come nave per i viaggi di stato.
Il 26 luglio 1945, proveniente da San Francisco, dove aveva subito delle importanti riparazioni a causa di un attacco di kamikaze a largo di Okinawa, l'USS Indianapolis attracca a Tinian, (Pacifico meridionale, isole Marianne), per consegnare una cassa di cui ben pochi erano al corrente del contenuto, tra questi: il presidente Truman, Winston Churchill, Robert Oppnheimer e i colleghi del progetto Manhattan1, il capitano James Golan (radiologo) e il maggiore Robert Furman (ingegnere).
Questi ultimi due imbarcati sulla nave.

USS Indianapolis
La USS Indianapolis a Pearl Harbor (1937)

Liberatosi dal carico, gli ordini provenienti dal quartier generale del comandante in capo della Flotta del Pacifico, ammiraglio Chester Nimitz, altrimenti noto come CINPAC (Commander in Chief, Pacific Fleet) dicevano che da Tinian, l'Indianapolis doveva spostarsi a Guam (isole Marianne), dove avrebbe ricevuto altri ordini sulla rotta da seguire in previsione di uno spostamento a Leyte, Filippine, per unirsi alla Flotta del Pacifico.
Sabato 28 luglio alle 9:00, l'USS Indianapolis salpa da Guam con destinazione Leyte, senza scorta, nonostante fosse stata richiesta dal comandante. Da ricordare inoltre che L'USS Indianapolis non era fornita di sonar, infatti non era tra le funzioni di un incrociatore cacciare i sommergibili, cosa invece nei compiti dei cacciatorpediniere che abitualmente viaggiavano di scorta agli incrociatori e che ne erano appunto equipaggiati.
Il comandante tra gli altri ordini apprese che avrebbe dovuto seguire una rotta a zig-zag durante le ore del giorno, e a discrezione di notte nei periodi di buona visibilità. Si trattava di una manovra precauzionale: si pensava che, se un bersaglio in movimento era difficile da colpire, uno con dei movimenti imprevedibili lo fosse ancora di più. La manovra non era in realtà molto efficace, ma era richiesta dai regolamenti della Marina.
Il rapporto dei servizi di informazione non sembrava contenere nulla di insolito. Affermava che tre sommergibili erano stati avvistati nella zona della rotta, due di loro non confermati come nemici. Di questi uno era solo un "contatto sonar", l'altro un battello non identificato che mostrava un "possibile" periscopio.
Il rapporto però non conteneva due informazioni di vitale importanza.
Tre giorni prima, il caccia di scorta USS Underhill era stato affondato da un kaiten2 giapponese mentre navigava tra Okinawa e Leyte. Il rapporto trascurava di citare un altro fatto: si sapeva che un gruppo di sommergibili giapponesi operava al momento nelle acque intorno alla rotta che l'incrociatore si accingeva a percorrere.
Queste mancate informazioni erano dovute al fatto che la presenza di sommergibili nemici era stata dedotta da ULTRA, un programma di penetrazione dei codici nemici della massima segretezza che aveva operato con brillanti esiti per tutta la durata della guerra. Il sistema era stato tenuto dal comando americano super segreto, per una serie di circostanze e come risultato di questi provvedimenti di sicurezza, Mc Vay fu lasciato all'oscuro di quello che avrebbe potuto trovare lungo la rotta.

Rotta USS Indianapolis
La rotta dell'USS Indianapolis, l'affondamento e i soccorsi

A bordo di un sommergibile giapponese, 60 metri sotto la superficie del Pacifico, il capitano di corvetta Mochitsura Hashimoto era agitato. Nei quattro anni trascorsi in mare, non aveva mai affondato una nave, adesso la guerra volgeva alla sconfitta e temeva di tornare a casa senza nemmeno una preda.
L'I-58 era un sommergibile tecnologicamente molto avanzato, portava 19 siluri e 6 kaiten, pilotati da uomini che avevano deciso di morire per l'onore della patria. Questi guerrieri suicidi si infilavano in tubi metallici lunghi poco più di 14 metri, si sedevano su seggiolini di tela davanti alla ruota del timone, una volta lanciato, il kaiten sfrecciava verso l'eternità. Quando riusciva a colpire il bersaglio, cosa che non avveniva molto spesso, il pilota veniva vaporizzato nell'impatto, spesso mentre pregava con ardore. Se il pilota mancava il bersaglio il sommergibile madre non era in grado di recuperarlo, alla fine rimaneva senza carburante e scivolava fatalmente verso il fondo dell'oceano.

I-58
I-58

Tra le 19:30 e le 20:00 di domenica, 29 luglio, il comandante dell'Indianapolis aveva dato l'ordine di cessare l'andatura a zig-zag. Gli ordini di viaggio affermavano chiaramente che il comandante poteva farlo a sua completa discrezione durante i periodi di scarsa visibilità. Il mare era sempre più mosso con onde alte e lunghe, e nel cielo incombevano nuvole basse e pesanti.
La decisione di Mc Vay si basava anche sul rapporto dei servizi di informazione, in cui si diceva che lungo la rotta i corridoi erano sgombri da traffico nemico.
A circa 12 miglia dalla zona in cui navigava l'Indy, il comandante Hashimoto fu svegliato in esecuzione degli ordini da lui emanati. Il sonar dell'I-58 aveva colto qualcosa, identificato poi come un rumore di piatti sbatacchiati (secondo l'addetto al sonar provenienti dalla cucina della nave nemica). Questo suono aumentava e si avvicinava sempre più. Alle 23:00 il comandante giapponese alzò il periscopio notturno e lo fece ruotare in un rapido arco. Non individuando nulla ordinò l'emersione, l'ufficiale di rotta perlustrando l'orizzonte con il binocolo individuò un possibile bersaglio.
Il sommergibile scivolò sotto la superficie. La caccia era iniziata.
Alle 23:39 ordinò di caricare sei siluri e di prepararsi al lancio. Un pilota si sistemò a bordo di un kaiten, mentre a un altro fu ordinato di rimanere in attesa.
Il sommergibile manovrò in modo da mettere la prora sul fianco dell'Indy per il colpo mortale. Da quel punto di vista il comandante giapponese constatò che il bersaglio, illuminato da un frammento di luna che faceva capolino tra le nuvole, era in realtà una grande nave da guerra. Anzi era enorme.
Mentre la procedura d'attacco continuava, i quattro piloti di kaiten chiedevano con insistenza adamantina di essere lanciati, ma il comandante disse loro che, grazie alle buone condizioni atmosferiche, con il bersaglio in avvicinamento, sarebbe stato quasi impossibile non affondare il bersaglio e che quindi la loro vita sarebbe andata persa senza alcuna utilità se li avesse usati.
Alle 0:04 diede l'ordine di lanciare. Un siluro portava 605 chili di esplosivo ed era regolato per un raggio d'azione di 1600 metri, poco meno di un miglio. Aveva una potenza sufficiente ad abbattere un intero isolato di edifici. Ne furono lanciati sei.
Meno di un minuto dopo i primi due siluri intercettarono l'incrociatore e scoppiò l'inferno.
Il primo siluro colpì la murata di prua e la squarciò per una ventina di metri, il secondo colpì a mezza nave e fu ancora più devastante (i restanti quattro siluri mancarono il bersaglio). Il primo siluro aveva distrutto un serbatoio contenente 13.230 litri di carburante avio ad alto numero di ottani, provocando un fiume di fiamme, con la prua immersa, la nave cominciò imbarcare acqua a tonnellate.

Spaccato USS Indianapolis
Spaccato dell'USS Indianapolis

Erano le 0:06, un minuto dopo il siluramento. La nave era quasi tagliata in due. Le restavano pochi minuti prima di affondare, e chi era a bordo aveva pochi secondi per decidere del proprio destino.
La situazione era così confusa, gli uomini frastornati, che nei primi minuti dall'esplosione il comandante non riusciva a capire da cosa fossero stati colpiti, quali danni avesse subito la nave e soprattutto l'entità.
Il nostromo Gause lo informò che la sala radio nr. 1 non c'era più e non si sapeva nulla dei danni della sala radio nr. 2.
Il comandante in seconda, Joseph Flynn, informò del continuo peggioramento della situazione. L'Indianapolis era sbandato a un'angolazione pericolosa. Il comandante in seconda suggerì di abbandonare la nave.
Mc Vay ancora frastornato acconsentì. Erano passati solo 8 minuti da quando i siluri avevano colpito l'incrociatore.
La procedura di abbandono nave avrebbe dovuto svolgersi nel massimo ordine. Ma, a conti fatti, l'addestramento alla sopravvivenza al centro reclute era stato lacunoso (alcuni non avevano nemmeno imparato a nuotare), e nel caos e nella confusione, aggravati dall'interruzione del sistema di comunicazione della nave, le procedure in vigore erano state dimenticate o eseguite in modo casuale. A tutto questo bisognava aggiungere che durante la veloce crociera alla volta di Tinian, le reclute di bordo non avevano avuto molto tempo per familiarizzare con le procedure di abbandono nave.
Nella parte bassa della nave, la battagliola3 di dritta4 era ormai al livello dell'acqua e per gli uomini lasciare la nave non era problematico. Bastava un passo e cominciavano subito a nuotare. Fu lì che gli uomini decisero il loro destino, in base al lato da cui abbandonarono la nave. Chi si allontanò da sinistra entrò in un mare pressoché privo di attrezzature di salvataggio: dal momento che la nave era sbandata a dritta, tutte le attrezzature erano scivolate in acqua da quella parte.
Ma, indipendentemente dal lato da cui si erano gettati, i marinari dovevano nuotare in un mare annerito dalla nafta fuoriuscita dallo scafo. Era appiccicosa come la melassa e non potevano evitare di inghiottirla mentre si agitavano tra le onde alte. Li avvolse in un abbraccio micidiale, tappando loro orecchie, occhi e bocca, e divorando con la sua intensa attività le mucose più sensibili.
Molti si lasciarono trasportare dalle onde in preda allo shock. Il caos era al culmine.
Dalla sala radio numero 2, prima di abbandonarla precipitosamente, riuscirono a mandare segnali di soccorso con la latitudine e longitudine della nave, essi furono trasmessi su frequenze controllate da navi in mare e da stazioni a terra.
In effetti, il messaggio era giunto in una sala radio sull'isola di Leyte, 650 miglia a ovest. Fu ricevuto da un marinaio di nome Clair B. Young, in servizio di guardia vicino agli alloggi di un certo commodoro Jacob Jacobson. Il messaggio annunciava che l'USS Indianapolis era stato silurato e forniva le sue coordinate. Il marinaio capì subito l'importanza del messaggio e svegliò il commodoro informandolo, poi chiese: "C'è una risposta, signore?"; il commodoro rispose, "Al momento nessuna, se ricevi altri messaggi, vieni a dirmelo di corsa". E lo congedò.
Confuso, il marinaio tornò al suo posto di guardia. Non fu fatto nessun tentativo di confermare o negare l'autenticità del messaggio.
Un secondo messaggio fu ricevuto a Leyte, stando a quanto sostenne un marinaio di nome Donald Allen. Era l'autista del facente funzione di comandante della Frontiera Marittima delle Filippine, il commodoro Norman Gillette.
Poco dopo la mezzanotte del 30 luglio, nella baracca dell'ufficiale di giornata, dove Allen era di guardia, un radio telegrafista annunciò di aver appena ricevuto un messaggio di soccorso dall'Indy in cui erano indicate le coordinate. In risposta, un ufficiale di servizio aveva inviato due veloci rimorchiatori oceanici sul luogo dell'affondamento. Più tardi, secondo Allen, nel corso di quella notte, avendo saputo che i rimorchiatori erano salpati senza la sua autorizzazione, Gillette li aveva richiamati in porto, anche se avevano già completato quasi sette delle loro 21 ore di crociera. Non furono fatte ulteriori indagini per stabilire se la nave stesse davvero affondando.
Un terzo messaggio, infine, fu ricevuto a bordo di un mezzo da sbarco nel porto di Leyte durante la guardia del marinaio Russell Hetz. Gli uomini della sala radio avevano cercato di mettersi in contatto con l'Indy, ma non avevano ottenuto risposta.
Il messaggio fu inoltrato "tramite i canali autorizzati", ma era stato ignorato.
Il protocollo in vigore al comando navale prevedeva che i messaggi non confermati da risposta dovevano essere considerati inesistenti. Simili risposte erano più o meno semplici formalità.
A quel punto della guerra nel tentativo di confondere i servizi di informazione americani e di attirare le unità in ricerca, i giapponesi avevano l'abitudine di inviare messaggi di soccorso fasulli, nei primi tempi della guerra si sarebbe indagato su un messaggio del genere, ma quella sera fu liquidato come un potenziale pericolo nel gioco di guerra.


1 Il Progetto Manhattan (più propriamente Manhattan Engineering District) era il criptonimodel programma di ricerca condotto dagli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche.
2 Il Kaiten era un siluro guidato da un uomo quindi modificata come arma suicida ed utilizzata dalla Marina Imperiale Giapponese nelle fasi finali della seconda guerra mondiale. Kaiten significa rivolgersi al paradiso.
3 Battagliola: ringhiera dei ponti delle navi costituita da paletti mobili tra i quali è tesa una catena o una corda.
4 Dritta: il lato destro dell'imbarcazione guardando verso prua.

USS INDIANAPOLIS

Primo giorno: lunedì 30 luglio 1945
Speranze alla deriva

Fu stimato, in seguito, che gli uomini morti immediatamente nel siluramento e nelle successive esplosioni furono 300. Circa 900 riuscirono ad abbandonare la nave.
I naufraghi videro la poppa alta verso il cielo, a quel punto cominciò ad affondare, dapprima lentamente, poi acquistando velocità, trascinata per la prua, nella profondità dell'oceano. In 15 secondi l'intera nave era scomparsa, aveva impiegato 12 minuti a scomparire e circa cinque minuti a raggiungere il fondo in uno dei punti più profondi del pianeta.
I novecento superstiti si trovavano fra Leyte e Guam in una terra di nessuno di circa 10.000 miglia quadrate.
Molti sanguinavano, raccavano5 ed erano sopraffatti dalla diarrea. Alcuni avevano braccia e gambe spezzate, altri fratture alla schiena e al cranio. Chi era rimasto ferito dall'esplosione in modo grave era già affogato.
Circa metà dei superstiti era riuscita ad abbandonare la nave con un giubbotto salvagente o una cintura gonfiabile. Queste ultime erano, però, risultate inservibili perché la nafta corrodeva le giunture e le sfilacciava. Chi le indossava cominciò da affondare e se era troppo debole per nuotare, ad affogare.
Chi non aveva né l'uno né l'altra si dibatteva guardandosi in giro: non appena un uomo moriva gli altri si gettavano su di lui per rubargli il giubbotto.
I naufraghi erano riuniti in gruppi, chi in acqua, chi su alcuni zatteroni, sparsi lungo una linea di 3 miglia, alla deriva in direzione sud-ovest, grosso modo verso il Borneo, scarrocciando6 a diverse velocità. Il fenomeno dello scarroccio coinvolge il rapporto tra superficie esposta del corpo, corrente oceanica e vento. Ciò significava che gli uomini avvolti nei giubbotti salvagente erano più interessati dalla corrente, mentre quelli che sedevano negli zatteroni erano spinti con maggiore forza dagli alisei.
Gli ufficiali in acqua tentavano per quanto possibile di radunare i marinai intorno a loro, tutti erano difficilmente riconoscibili perché ricoperti di nafta.
Il comandante Mc Vay rimasto isolato si era issato su una cassa di patate, poi aveva incontrato uno zatterone vuoto, salito a bordo aveva raccolto altri naufraghi. Poco dopo incontrarono un altro zatterone con altri superstiti. Tutti vomitavano per la gran quantità di nafta ingoiata.
I vari gruppi di uomini rimasti in mare cercavano di rimanere più uniti possibile, finalmente usciti dall'enorme macchia di nafta, si ritrovarono nel verde dell'oceano, ma il sollievo fu di breve durata. Il mare pullulava anche di dozzine di batteri e organismi aggressivi che presero ad attaccare le loro carni. La stessa acqua era una miscela caustica. Ogni volta che si levava uno spruzzo gli uomini inghiottivano piccole quantità d'acqua. Gli alti livelli di potassio presenti in ogni sorsata entravano nella circolazione sanguigna e cominciavano a danneggiare i globuli rossi, creando la prima maglia di una catena che, lasciata a se stessa, poteva condurre all'instaurarsi dell'anemia e di una sempre maggiore debolezza fisica.
L'inalazione di spruzzi salati poteva causare un inizio di edema polmonare, quindi difficoltà respiratorie. Anche gli occhi, causa riverbero, cominciavano a bruciare, erano i primi stadi della fotofobia.
Il comandante Mc Vay e il suo disastrato equipaggio trascorsero il lunedì mattina in una situazione tutto sommato confortevole. I nove uomini scoprirono che la nafta che per poco non li aveva avvelenati serviva da eccellente protezione solare.
Diverse volte lungo la giornata apparvero degli aerei che però non li avvistarono.
Fecero l'inventario delle razioni disponibili, trovarono diverse scatolette e biscotti, un paio di scatole di tavolette e di latte al malto, una cassetta del pronto soccorso, razzi con pistola lanciarazzi e una scatola contenente lenze e ami. Trovarono alla deriva un preziosissimo barilotto di legno pieno d'acqua dolce.
Furono organizzati dei turni di guardia.
Sotto di loro, squali, salendo dalle profondità, attirati forse dal rumore delle esplosioni o dalla scia di sangue lasciata dai feriti e dai morti, fecero sì che i timori più intensi dei naufraghi prendessero corpo a poco a poco. Al tramonto di quel lunedì centinaia di squali li circondarono. Erano squali tonno, tigre, azzurri e bianchi. Mentre il calore del giorno si stemperava in una serata relativamente fresca, gli uomini stesi sugli zatteroni, appesi alle reti galleggianti o ballonzolanti nei giubbotti salvagente incominciarono a sentire qualcosa sotto di loro: spinte e calci scambiati per collisioni con i compagni che si muovevano in acqua. Si appisolarono e piombarono in un sonno profondo almeno quelli cui le ferite permettevano di riposare. Si svegliarono spesso di soprassalto, fissando il buio e domandandosi: "Chi c'è là sotto?".


5 Raccare: termine marinaro per vomitare.
6 Scarrocciare: deviazione ovvero scivolamento laterale di un'imbarcazione rispetto alla rotta, causata dall'azione del vento o del mare.

USS INDIANAPOLIS

Secondo giorno: martedì 31 luglio 1945
Squali all'attacco

Gli squali attaccarono all'alba di martedì.
Il marine Giles Mc Coy (uno dei 31 marines imbarcati sull'incrociatore) dal bordo dello zatterone li vide avvicinarsi in gruppi frenetici. Avevano cominciato ad attaccare nella notte di domenica, ma nel buio molti superstiti disorientati non se n'erano accorti. Allo spuntare del giorno di lunedì Mc Coy aveva visto un uomo avvolto nel giubbotto, apparentemente addormentato, scomparire all'improvviso.
Con ogni probabilità gli squali che adesso si stavano riunendo intorno ai naufraghi avevano seguito l'Indianapolis per giorni. È abitudine degli squali andare appresso alle navi e cibarsi dei rifiuti che vengono regolarmente gettati fuori bordo.
Sino a quel momento, a quanto pareva, gli squali si erano cibati essenzialmente di cadaveri, sbranando i corpi quando affondavano verso il fondo dell'oceano. Oppure si erano concentrati sui naufraghi solitari, adesso, invece, si dirigevano verso i grandi gruppi che si erano costituiti nelle ultime 36 ore. I marinari senza indumenti erano quelli che correvano i rischi maggiori. I pesci rilevavano i contrasti di colore, come quello di un corpo sbiancato dall'acqua scagliato contro il mare azzurro intenso.
Mentre gli attacchi degli squali si moltiplicavano, l'ottimismo dei marinari cominciò a colorarsi di un senso di impotenza. Il marinaio Jack Cassidy si era trovato di fronte a uno squalo tigre, da cui era stato infastidito così a lungo che gli aveva anche dato un nome, Oscar. Lo colpì con il coltello di fortuna e infilò la lama per alcuni centimetri nel muso dell'animale, ma Oscar se ne andò come se non fosse successo niente.
Un marinaio fu trascinato sott'acqua come il galleggiante di una canna da pesca potrebbe essere trascinato da una grossa carpa. La vittima, chiusa tra le mandibole dello squalo all'altezza della vita, fu sospinta urlante sulla superficie dell'acqua. Altri scomparivano tranquillamente e senza lasciar traccia, mentre i loro giubbotti tornavano a galla con le cinghie a pezzi. Gli squali si eccitavano sempre più, intensificando gli attacchi, capaci di scatti che raggiungono i 43 nodi all'ora.
Attaccavano usando quella che è nota come la tecnica urta e mordi. Si tratta di una forza applicata, è stato calcolato, di 15 tonnellate per pollice quadrato; il processo di masticazione è stato perfezionato nel corso dell'evoluzione. Le mandibole sospese a un muscolo intrecciato, permettono agli incisivi di strappare pezzi di carne senza mollare la presa sulla vittima. Gli urti stordiscono la preda, mentre i morsi la consegnano all'eternità.
Lo zatterone di Mc Coy era spezzato a prua e lì infatti c'era la possibilità di entrare. Lui e i compagni si ammucchiarono a poppa mentre uno squalo cercava di passare sotto il legname rotto strisciando contro il fondo.
Mc Coy indietreggiò quando il muso dello squalo morse freneticamente i bordi del buco, lo colpì con un calcio in un occhio, lo squalo batté in ritirata, ma pochi secondi dopo un altro squalo si presentò davanti allo squarcio dello zatterone. Altrove, nel gruppo in acqua del medico di bordo, dottor Haynes, alcuni uomini diventavano perfettamente catatonici durante gli attacchi, mentre altri si agitavano in modo scomposto. Abbarbicato a una rete galleggiante un marinaio guardò in basso e vide centinaia di squali nuotare in cerchio.
Poi, con la stessa rapidità con cui erano cominciati, gli attacchi cessarono. Le orrende forme tornarono nel buio dei fondali. Il mare era cosparso di indumenti e di uomini con le braccia e le gambe amputate, in procinto di affogare.
Le modalità degli attacchi in condizioni di luce bassa, in particolare nelle ore del tramonto e dell'alba, arrivò ben presto a marcare il ritmo delle giornate dei naufraghi: gli squali attaccavano la mattina, poi passavano in mezzo ai feriti e ai morenti per tutto il giorno, e assalivano di nuovo i vivi al calar della notte.
A metà mattinata del martedì, cominciarono anche a manifestarsi i primi effetti della disidratazione con desiderio di bere acqua salata, gli uomini in acqua in più erano anche esposti agli effetti dell'ipotermia. A quella latitudine il Pacifico aveva una temperatura costante di 29,5°, molto alta per i parametri degli oceani. Tuttavia era inferiore di 7,5° rispetto a quella interna del corpo e dal momento dell'affondamento i marinari erano diventati ipotermici. Tale disturbo influiva in maniera diversa su di loro, in relazione alla percentuale di grassi corporei e alla quantità di indumenti indossati (più ne avevano meglio era in termini di detenzione di calore). Ma gli uomini perdevano in media mezzo grado per ogni ora di esposizione in acqua durante le ore notturne, quando la temperatura dell'aria calava intorno ai 26°. Durante la notte, sembrava molto fredda in paragone agli oltre 37° del giorno, la temperatura corporea scendeva di 7°. Non appena il sole calava, gli uomini cominciavano a tremare in modo irrefrenabile. Si trattava di un espediente del corpo per generare calore, ma quadruplicava il tasso di ossigeno consumato. Il corpo rallenta i suoi ritmi per conservare energia, e a una temperatura interna di 34°, tre sotto la norma, diventa difficile parlare, s'instaura una sorta di afasia insieme con una caratteristica amnesia. A circa 30° i reni arrestano la loro opera di filtraggio, si smette di urinare, e inizia l'ipossia, ovvero la mancanza di ossigeno al livello dei tessuti. Il respiro si fa faticoso, il cuore batte irregolarmente e la coscienza diminuisce. Il malato cade in uno stupore disorientato.
Il dottor Haynes calcolò che la temperatura corporea dei naufraghi si aggirasse intorno ai 33° e si elevasse di 1 - 3 gradi quando il sole li riscaldava. In sostanza gli uomini si trovavano adesso in una situazione in cui le energie scemavano e tornavano con sbalzi improvvisi. Ma, in ogni caso, si stava creando un deficit organico che nemmeno il calore del giorno sarebbe stato in grado di compensare.
A Leyte c'erano due comandi centrali, uno subordinato all'altro. Nel villaggio di Tolosa risiedeva la Frontiera Marittima delle Filippine, sotto il comando del commodoro facente funzione Norman Gillette (lo stesso che aveva fatto rientrare i rimorchiatori mandati a cercare l'Indy). A 12 km di distanza c'era la base navale operativa del Golfo di Leyte, sotto il comando del commodoro Jacob Jacobson, lo stesso che nelle ore notturne del 30 luglio era stato svegliato con la notizia che l'Indianapolis era stato appena affondato. A rapporto da lui c'erano due ufficiali, il capitano di corvetta Jules Sancho, direttore del corpo della base navale, e l'ufficiale addetto alle operazioni dello stesso Sancho, tenente di vascello Stewart Gibson. Erano ambedue ufficiali nuovi e inesperti. Il loro compito era sorvegliare le rotte del traffico navale in entrata e in uscita nella baia di San Pedro. Il ritmo era frenetico, solo nell'ultimo mese era stata fissata la rotta di oltre 1500 navi.
Anche Gillette era nuovo per l'incarico, a rapporto da lui c'era un ufficiale addetto alle operazioni, il capitano di vascello Alfred Granum, e teneva quello che veniva chiamato un grafico di rotta.
Negli ultimi giorni Granum lo aveva usato per il difficile compito di instradare le navi lontano dalle zone dei tifoni a nord, vicino a Okinawa.
Quella mattina, dopo le 11:00, ora prevista dell'arrivo dell'Indy, Granum spostò sul grafico il cartellino con il nome della nave nel settore delle unità "arrivate". Pensò che il viaggio fosse andato nel migliore dei modi, o almeno non aveva sentito dire nulla in contrario. Si presume invariabilmente che le unità combattenti fossero giunte alla loro destinazione, a meno che non venissero date notizie in senso opposto.
Quello stesso giorno, a 1300 miglia di distanza, alla Frontiera Marittima delle Marianne di stanza a Guam, il comando da cui era salpato l'USS Indianapolis, un cartellino analogo a quello usato da Granum fu rimosso da un grafico di rotta dell'ufficio. Adesso entrambi i comandi, erano sicuri che la nave avesse portato a termine la crociera. I minuti si trasformarono in ore, e nessuno notò che non aveva attraccato nella rada.
Nessuno a parte il tenente di vascello Gibson.
La base navale teneva un suo elenco in cui venivano annotati i nuovi arrivi in porto. Tali informazioni erano raccolte da un'imbarcazione alla fonda nella baia di San Pedro il cui compito era quello di identificare ogni nave che entrava in porto. Ma l'Indianapolis non era compreso tra le 17 navi arrivate quel martedì.
Il tenente di vascello Gibson, invece di informare i suoi superiori del mancato arrivo, segnò l'Indy come "in ritardo" e lo mise nell'elenco degli arrivi e partenze previsti per mercoledì 1 agosto. Gibson agì così perché le unità combattenti non erano sotto la giurisdizione dei direttori di porto, ma sotto quella dell'alto comando. Certo che l'unità fosse stata dirottata da nuovi ordini verso un'altra destinazione.
La risposta al perché non avesse confrontato la sua supposizione con i suoi superiori si può individuare in una direttiva navale apparentemente innocua denominata 10CL-45.
Promulgata sei mesi prima dal capo delle operazioni navali, ammiraglio Ernest King, allo scopo di ridurre la montagna quotidiana di dispacci di navigazione e anche nella speranza di rafforzare la sicurezza riguardante i movimenti delle navi, la direttiva prevedeva che "da quel momento in poi l'arrivo delle unità combattenti non deve essere notificato". Quello che ciò implicava, senza intenzione, era che nemmeno il mancato arrivo sarebbe stato notificato. E in questo modo il tenente di vascello Gibson aveva interpretato la direttiva quando aveva scoperto che l'Indianapolis non era arrivato quella mattina.
In mare il vice ammiraglio Oldendorf, comandante della task 95, presso la quale l'Indy doveva presentarsi, non aveva motivo di essere preoccupato poiché i particolari dell'ora d'arrivo non erano ancora in preparazione. Anche il contrammiraglio Mc Cormick, dal quale il comandante dell'Indy doveva andare a rapporto prima di raggiungere Oldendorf, non aveva motivi di preoccupazione, suppose semplicemente che la nave avesse cambiato rotta. Sapeva che le unità combattenti subivano regolarmente modifiche nelle rotte originali.
Per raggiungere i naufraghi sarebbero bastate due ore di volo dalle piste di Leyte, o una crociera di un giorno di una nave di salvataggio dal suo porto, ma nessuno si mosse.
Alla fine del pomeriggio di martedì molti uomini erano già periti per le ferite, altri erano semplicemente affogati perché non avevano più avuto la forza di nuotare.
Erano a galla senza cibo, acqua e sonno da più di 40 ore. Dei 1196 membri dell'equipaggio erano rimasti vivi probabilmente non più di seicento.
Chi era ancora abbastanza lucido osservava incredulo alcuni compagni slacciarsi con calma il giubbotto, dare una bracciata e affondare senza dire una parola. Altri all'improvviso si allontanavano dal gruppo e cominciavano nuotare in attesa che uno squalo li attaccasse, sollevando poi uno sguardo orrendamente soddisfatto quando ciò accadeva. C'era chi tuffava il volto in acqua e rifiutava di tirarlo fuori.
Il dottor Haynes cercava di aiutare e tenere svegli gli uomini. Il sacerdote, padre Conway, non smetteva di nuotare tra i ragazzi per impartire estreme unzioni e ascoltare confessioni.
Al calar della notte gli uomini disidratati, con la lingua gonfia, la gola serrata e la mente sconvolta, presero a bere acqua salata. Haynes urlò cercando di impedirlo, ma fu ignorato, alla fine il medico esasperato, capì che non poteva fare altro che stare a guardare e prepararsi all'imminente apocalisse psicologica.
Bevendo l'acqua salata gli uomini si sottoponevano una complessa serie di reazioni chimiche.
Il mare contiene il doppio del sale che il corpo umano possa ingerire senza danni e quando si beve acqua salata le cellule si restringono, poi si espandono ed esplodono mentre sacrificano quella che in gergo medico viene chiamata acqua libera. Si tratta del tentativo della cellula di abbassare il diluvio di sodio nella circolazione sanguigna, ma in quella situazione era del tutto inutile.
I reni degli assetati non erano in grado di opporsi a quella marea di sodio. Il medico sapeva che gli uomini stavano accumulando un eccesso di sale. L'attività elettrolitica era del tutto danneggiata, era un circolo vizioso di autodistruzione e l'unica cosa che l'avrebbe interrotto era una massiccia reidratazione. Il medico cominciò a chiudere un occhio con chi sapeva non avere moglie né legami stretti a terra. Chi aveva famiglia, scoprì, combatteva la tentazione di bere dal mare.
Quelli che invece cedevano avevano violenti spasmi e infine cadevano in coma.
A tutto ciò si aggiungeva che il limite di galleggiabilità dei giubbotti era stimato di 48 ore e ormai vi si stavano avvicinando. A quel punto gli uomini avrebbero galleggiato Dio solo sa come.
Haynes ordinò ai naufraghi di dar volta insieme i giubbotti e formare una massa protettiva.
Obbedirono riunendosi in piccoli gruppi mentre la temperatura calava. Ben presto tutti presero a tremare in modo incontrollabile.

USS INDIANAPOLIS

Terzo giorno: mercoledì 1 agosto 1945
Genocidio

Nelle primissime ore di mercoledì mattina, gli uomini cominciarono ad ammazzarsi tra loro. Il dottor Haynes udì un grido: "C'è un muso giallo qui! Vuole ammazzarmi! Prendetelo!"
Gli uomini cominciarono ad armeggiare con i nodi che tenevano uniti i giubbotti sciogliendoli, una volta disuniti si sparsero in tutte le direzioni, alcuni armati di coltelli presero a colpire alla cieca chi era ancora legato a loro. Altri si scagliavano a mani nude contro i compagni di sventura cercando di affogarli. Un marinaio strappò con le proprie mani gli occhi di un commilitone. Si vide un marinaio che tentava di pugnalarne un altro, il quale, a sua volta, fu salvato da due vicini. Saltarono addosso all'uomo con il coltello e lo tennero sott'acqua. Mentre lo affogavano, emettevano lunghe e angosciose urla di sfida. Poi si scagliarono l'uno contro l'altro.
L'ipotermia e lo squilibrio elettrolitico sconvolgeva la mente dei naufraghi. In una manciata di minuti una cinquantina di uomini rimase uccisa. Il medico stesso fu assalito e si salvò a stento.
I marinai erano diventati un branco di cani furiosi.
Il dottor Haynes aveva il giubbotto così zuppo che stava per annegare, svenne, ma fu salvato dal farmacista John Schmueck.
Sui vari gruppi di zatteroni la situazione era pure precaria, tendevano a scoppiare delle risse, era anche apparsa minacciosamente una pistola.
Quel mercoledì mattina erano ormai in mare da 55 ore, poco più della metà dei 900 naufraghi che avevano lasciato la nave era ancora viva. L'acqua del mare stava divorando vivi gli uomini in acqua. Braccia e gambe bruciate dal sole e impregnate d'acqua presentavano macchie rosse, note come ulcerazioni da acqua salata, alcune grandi come bruciature di sigarette altre come un pallone da basket. L'acqua salata era giunta persino a dissolvere i peli.
Cominciarono ad avere allucinazioni di massa, vedevano vere isole, magazzini di drogheria, vecchie fidanzate, mogli, automobili e montagne di gelato materializzati sull'acqua e intorno a loro, e stavano a guardare pieni di gioia sbalorditi.
Era l'inizio dell'atto finale.
Gli zatteroni di Mc Coy e di Mc Vay andavano alla deriva davanti a ciò che restava degli altri gruppi. Il marine e il comandante erano separati da otto miglia d'acqua ed ognuno stava a circa sette miglia da Haynes.
L'equipaggio di Mc Vay, cosa sorprendente, non era stato assalito dalla follia. La tensione, però, era quasi intollerabile. Avevano più volte avvistato degli aerei, ma pur usando i bengala non erano stati notati.
Verso sera padre Conway delirando entrò in coma e morì, Haynes che si era ripreso, lo tenne con sé fino all'ultimo.
Il direttore del porto di Leyte notò ancora una volta che l'Indianapolis non era arrivato, e ancora una volta lo segnalò doverosamente in ritardo. Nell'ufficio pensavano che sarebbe arrivato il giorno successivo, giovedì 2 agosto.

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Quarto e quinto giorno: giovedì 2 e venerdì 3 agosto 1945
Deriva mortale e salvataggio

Verso le 9:00 del mattino, il tenente di vascello William A. Green ricevete un rapporto in cui la base operativa navale comunicava il mancato arrivo dell'Indianapolis. Era il secondo rapporto di un mancato arrivo che Green riceveva, uno simile era giunto mercoledì.
Ancora una volta si pensò che l'Indy fosse stato semplicemente dirottato verso altri porti.
Il tenente di vascello Chuck Gwinn, pilota di marina, era, più o meno alla stessa ora, di pattuglia sul Mar delle Filippine con il suo bombardiere, quando avvistò una macchia di nafta, si abbassò e cominciò a seguirla finchè non avvistò un gruppo di uomini che sembravano salutarlo. Diminuì la quota ancora, contò rapidamente 30 teste e registrò la posizione.
Il suo aereo aveva a bordo una zattera di salvataggio, barilotti d'acqua, salvagente e altre apparecchiature per il recupero dei naufraghi, quando l'aereo passò a bassa quota l'equipaggio lanciò dal portello posteriore una zattera, alcuni salvagente e una boa idrofonica.
La boa idrofonica era un microfono galleggiante unidirezionale usato nella guerra sottomarina.
L'ufficiale sperò che gli uomini che aveva scorto, indipendentemente da chi fossero in realtà, si avvicinassero alla boa e urlassero un nome, un'identità, qualsiasi cosa. Non fu raggiunto da alcun suono.
Alle 11:25 inviò via radio un messaggio al quartiere generale del Comando di Ricerca e Ricognizione di Peleliu (Palau): avvistati 30 superstiti, 011-30 Nord 133-30 Est.
Era il primo rapporto sul disastro dell'Indianapolis.
Il gruppo avvistato era quello del dottor Haynes.
Informati, i vari comandi cominciarono a investigare finalmente sulle navi ancora non giunte a destinazione.
L'USS Indianapolis brillava per la sua assenza.
Fu organizzata una delle più grosse operazioni di salvataggio della storia della Marina con intervento di idrovolanti e cacciatorpediniere, nel giro di 24 ore tutti i naufraghi furono recuperati, inclusi 91 corpi senza vita.
Gli squali continuarono imperterriti i loro attacchi anche durante le operazioni di recupero.
Il comandante Mc Vay salì sulla nave salvatrice, l'USS Ringness, con le proprie forze e spedito con i suoi uomini in infermeria, si sentì pieno di gratitudine, ma le notizie della gravità del disastro lo sconvolsero.
Il comandante della Ringness, capitano di vascello William C. Meyer, aveva preparato un dispaccio in cui descriveva il siluramento dell'USS Indianapolis da mandare al comando della Marina a Pearl Harbor. Vi era inclusa la frase: non navigava a zig-zag, Mc Vay non appena la udì, chiese che fosse omessa. Meyer capì il problema, ma cercò di persuaderlo a lasciare la frase così com'era, gli ricordò che la verità su quanto era successo sarebbe venuta alla luce in ogni caso e che una corte inquirente avrebbe di sicuro indagato, cosa che come sapevano entrambi, sarebbe stato imminente. Mc Vay si disse d'accordo. Era come se avesse perduto la testa per un istante: volle che la frase restasse nel messaggio, era la cosa giusta da fare. Il comandante dell'Indy rimase solo con i suoi pensieri e i suoi timori: ciò che lo aspettava dopo essere scampato al disastro. Quello che un comandante teme di più era accaduto con l'affondamento della sua nave, pensava che anche la sua carriera sarebbe potuta svanire nel nulla.
Le perdite erano spaventose e il tasso di mortalità stupì i veterani degli equipaggi di salvataggio.
Dei 1196 marinari salpati solo 321 erano sopravvissuti al siluramento e alla lunga ordalia in mare.
Degli 81 ufficiali della nave 67 erano scomparsi e fra i marinari 808 erano morti. In meno di una settimana altri quattro sarebbero morti all'ospedale militare, facendo scendere il numero dei superstiti a 317. Dei quasi 900 uomini morti, 200 erano stati probabilmente vittime di attacchi di squali, una media di 50 perdite al giorno.

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Da agosto a dicembre 1945
Conseguenze

Domenica 5 agosto il comandante indisse una conferenza stampa. Ma tutto quello che disse fu sottoposto all'esame della censura militare, ciò che aveva espresso alla conferenza sarebbe stato bloccato in attesa di venire pubblicato dopo la guerra.
"Quale lasso di tempo deve passare normalmente prima che una nave sia considerata in ritardo?" chiese un giornalista al comandante.
"E' una domanda alla quale vorrei che qualcuno rispondesse", sbottò Mc Vay. "Una nave di quelle dimensioni funziona secondo un orario rigido, pensavo che entro mezzogiorno di martedì avrebbero cominciato a chiamarmi via radio per sapere dove eravamo o se c'era qualcosa che non andava, questa domanda la vorrei fare io a qualcuno: perché non si sono mossi prima?"
Questa frase fu la cosa più vicina a una pubblica condanna della Marina che il comandante si permise di pronunciare in tutta la sua vita.
Il 15 agosto venne tolta la censura militare sulle notizie di guerra e di conseguenza i giornali si riempirono di articoli riguardanti l'Indianapolis. Il New York Times definì l'affondamento "una delle pagine più oscure della storia navale degli Stati Uniti". Il pubblico era rattristato e incredulo. Come era potuta succedere una simile disgrazia poco prima della fine della guerra?
Ma questi articoli vennero presto sepolti dai titoli a caratteri cubitali sulla vittoria degli Stati Uniti. Il pubblico dimenticò rapidamente il disastro. Tuttavia le famiglie degli uomini che erano periti nell'affondamento cominciarono a esigere spiegazioni. La Marina non aveva ancora risposte da dare, ma le stava cercando.
La commissione d'inchiesta attribuì a due elementi principali l'affondamento e la lunga scia di morti che ne seguì: il fatto che Mc Vay non avesse proceduto a zig zag in condizioni che la stessa commissione aveva valutato come buone e con luce lunare intermittente e il fatto di non essere riuscito a mandare un messaggio con la richiesta di soccorso.
Lo stesso Mc Vay depose a questo proposito dicendo di non essere sicuro che un messaggio con una richiesta di soccorso avesse lasciato la nave durante il breve lasso di tempo trascorso dal siluramento. Non venne presa in considerazione la deposizione del radio tecnico Jack Miner, l'uomo che era presente quando il messaggio di SOS aveva lasciato la trasmittente. La commissione fece sua l'ipotesi di Mc Vay. Considerò responsabile lo stato maggiore del contrammiraglio Mc Cormick per non aver decodificato correttamente il messaggio in cui si notificava l'imminente arrivo dell'Indianapolis a Leyte, e in particolare il tenente di vascello Stewart Gibson per non avere riferito che la nave non era in orario rispetto alle previsioni di arrivo. La commissione raccomandò di intraprendere un'azione disciplinare nei confronti dello Stato maggiore di Mc Cormick e di ammonire per iscritto Gibson.
Quanto a Mc Vay, chiedeva che fosse sottoposto a corte marziale.
Gli ammiragli Nimitz e Spruance avevano dichiarato di non essere d'accordo con il suggerimento della commissione d'inchiesta di sottoporlo a corte marziale e avrebbero preferito chiudere il caso con una lettera di biasimo. Ma il capo delle operazioni navali, ammiraglio King, uomo ligio al regolamento e molto poco duttile, insistette per sottoporlo a processo, e il segretario della Marina James Forrestal cedette.
Incredibilmente la Marina non aveva ancora presentato i capi di imputazione. In realtà il pubblico ministero della Marina (JAG, Judge Advocate General) aveva mandato a Forrestal un memorandum in cui gli spiegava che poteva essere provato solo uno dei capi di imputazione. Dal momento che Mc Vay aveva già ammesso durante le indagini di non aver navigato a zigzag prima del siluramento, non era necessario un processo per addossargli questa imputazione. Tuttavia lo chiamarono capo d'imputazione numero uno.
Consultandosi con Forrestal, il JAG omise il capo d'imputazione della commissione d'inchiesta secondo il quale Mc Vay non aveva inviato un messaggio di soccorso. Al posto di questo convennero di accusarlo di "non aver abbandonato tempestivamente la nave".
Era il capo d'imputazione numero due. Ma attuare questo cambiamento risultava problematico. La nave era affondata molto in fretta e sarebbe stato difficile dimostrare la differenza tra un abbandono intempestivo e uno tempestivo.
In realtà non avevano molta scelta. Senza un secondo capo di imputazione sostenibile, non potevano indire il processo. La sentenza sul primo caso di imputazione era implicito in modo automatico nelle ammissioni di Mc Vay.
"Pertanto si richiede rispettosamente" spiegò il JAG a Forrestal, "che il capo di imputazione numero due (non aver abbandonato tempestivamente la nave) non venga omesso, nonostante il fatto che le prove possano risultare insufficienti. La piena giustificazione del secondo capo d'accusa deriva dal fatto che il caso è di vitale interesse non solo per le famiglie di coloro che hanno perso la vita ma anche per il pubblico in generale".
Il processo iniziò lunedì 3 dicembre 1945.
Come poi risultò, il problema del perché i novecento marinai americani fossero stati lasciati in acqua per tanti giorni in un oceano ostile, non venne preso in considerazione dalla corte. In poche parole il comportamento della Marina non era sotto processo. Questo trucchetto legale era riuscito perché la Marina aveva scelto con cura i capi d'imputazione, secondo la procedura, tutte le domande alla corte dovevano vertere solo sui due capi d'imputazione formulati. In tal modo non era possibile stabilire se vi fosse colpevolezza da parte della Marina. Ma nel suo insieme il pubblico americano si accorse che a Mc Vay era stato riservato un trattamento ingiusto. La rivista Time scrisse che la tragedia dell'affondamento rappresentava un colossale svarione da parte della Marina.
Processi del genere erano di solito affari più o meno privati, eseguiti in fretta al riparo dagli occhi del pubblico.
La mattina del processo l'aula rigurgitava di fotografi, giornalisti e semplici curiosi che volevano dare un'occhiata al primo comandante della storia della Marina americana ad essere processato per aver perso la sua nave in conseguenza di un'azione di guerra.
I testimoni chiamati a deporre sulla visibilità di quella notte, dichiararono tutti che essa era scarsa, la pubblica accusa sostenne invece che le condizioni del tempo erano sufficientemente buone perché l'Indy venisse affondato; di conseguenza almeno in certi momenti la visibilità era buona. La pubblica accusa era quasi riuscita a dimostrare la fondatezza del primo capo d'accusa.
Mc Vay e il suo avvocato non sapevano niente delle informazioni ULTRA che non erano state comunicate al comandante dell'incrociatore. Un rapporto classificato segreto e inviato all'ammiraglio King dall'ispettore generale della Marina accusava la Marina di non avere fatto buon uso delle informazioni ricevute tramite ULTRA. Spiegava inoltre che la pubblica accusa sarebbe dovuta tornare a Guam per esaminare a fondo la situazione. Nella sua fretta di avviare il processo, King aveva scelto di non prendere in considerazione il rapporto. Dal punto di vista della Marina le informazioni ULTRA non dovevano essere messe in gioco perché erano talmente segrete che in pratica non esistevano.
Durante la seconda settimana sembrò che il destino di Mc Vay potesse cambiare. La Marina prese la decisione, assurda da un punto di vista procedurale, di far arrivare in volo Mochitsura Hashimoto dal Giappone per deporre contro il comandante americano. La sua presenza in tribunale suscitò un vespaio tra i politici e i semplici cittadini, un deputato della camera dei rappresentanti, definì la presenza del capitano giapponese un oltraggio alla giustizia e chiese che la sua deposizione venisse invalidata. Ma il pubblico ministero spiegò che la deposizione era necessaria per stabilire se la notte dell'affondamento il capitano Mc Vay navigava a zig-zag. L'ufficiale giapponese, visibilmente a disagio, salì sul banco dei testimoni, dove non perse tempo a mettere in imbarazzo la Marina, sostenendo che l'andatura a zig-zag non avrebbe cambiato il modo in cui lanciare i siluri. Avrebbe affondato l'Indianapolis indipendentemente dal tipo di navigazione.
Pochi giorni più tardi il comandante di sommergibile pluridecorato, Glynn Donaho, testimoniò che quella procedura a zig-zag non aveva una grande efficacia. Ma dopo due settimane di deposizioni, il 19 dicembre, Mc Vay fu giudicato colpevole di "aver messo in pericolo la sua nave non procedendo a zigzag". Come aveva sospettato il JAG, fu assolto dall'accusa di "non aver abbandonato tempestivamente la nave". Gli vennero tolti 100 punti nella graduatoria permanente e altri 100 in quella provvisoria, il che significava che non sarebbe mai diventato ammiraglio. Ma in considerazione del suo eccellente stato di servizio l'ammiraglio King e lo stesso Nimitz raccomandarono la sospensione della sentenza.
Altri quattro ufficiali furono puniti. Il tenente di vascello Stewart Gibson ricevette una lettera di biasimo, mentre il suo superiore, il direttore del porto di Leyte, capitano di corvetta Jules Sancho, ricevette una più blanda lettera di ammonimento. Il capitano di vascello Alfred Granum e anche il suo superiore, commodoro Norman Gillette, facente funzione di comandante della Frontiera Marittima delle Filippine, ricevettero una lettera di biasimo7.
Mc Vay ricevette l'annuncio della sua sentenza restando perfettamente sull'attenti e senza manifestare nessuna emozione. Era un uomo della Marina e avrebbe vissuto secondo le regole della Marina. Ma la sua carriera navale era finita. Non avrebbe mai più avuto il comando di un'altra nave.
A casa, nel periodo delle vacanze di Natale, cominciò a ricevere lettere piene di rancore, "Buon Natale! Le festività della nostra famiglia sarebbero state molto più felici se lei non avesse ucciso nostro figlio", e avrebbe continuato a riceverle per tutta la vita.
Tre mesi dopo il processo lasciò Washington.
L'ex marine Mc Coy, come quasi tutti i superstiti ha continuato ad essere a volte assalito da incubi, incoraggiato da uno psichiatra, riuscì a rintracciare 220 dei 317 superstiti e nel luglio 1960 ad organizzare un raduno in un hotel di Indianapolis. La riunione fu per tutti un'esperienza sconvolgente.
I superstiti si liberarono di anni di ira repressa e di timori, si sbarazzarono della vergogna di non essere riusciti a salvare i loro compagni, una colpa che li marchiava a fuoco. A molti la sopravvivenza sembrava un miracolo piuttosto che un trionfo della volontà su ostacoli insormontabili. Dopo il naufragio, si erano sentiti come risorti.
Parlarono per ore, sistemati in modo da ricreare esattamente la situazione in cui si erano trovati nel mar delle Filippine 15 anni prima. Uscirono dalla riunione pubblica scossi ma anche con un grande senso di liberazione. Mc Coy sapeva di aver creato un legame con questi uomini come non avrebbe mai potuto stabilirlo con nessun altro.
Il comandante Mc Vay lasciò il servizio nel 1949 dopo 30 anni e partecipò alla riunione dei superstiti nel luglio 1960.
Aveva trascorso gli ultimi 15 anni chiedendosi se il suo vecchio equipaggio lo ritenesse responsabile del naufragio, si commosse fino alle lacrime quando scese dall'aereo e trovò i superstiti allineati sulla pista dell'aeroporto, la mano levata nel saluto, il volto rigato di lacrime.
Mc Coy gli disse: "Comandante, sono stati ingiusti con lei. E io voglio porvi rimedio. Vorrei tanto vedere riabilitato il suo nome".
Mc Vay ci pensò un po' e poi si rabbuiò in volto. "No, va bene così. Ho avuto quello che prevedevano i regolamenti ... insomma, ho avuto quello che mi meritavo".
Quando la riunione terminò, gli uomini si trovarono davanti all'hotel per applaudire e salutare il comandante mentre la sua auto partiva per l'aeroporto. Fu l'ultima volta che li vide.
Tornato a casa, iniziò una lenta discesa nella spirale della disperazione. Perse improvvisamente la moglie Louise nel 1961, poi, quattro anni dopo suo nipote, per il quale nutriva grandi speranze. Lettere piene d'odio da parte delle famiglie dei marinai morti continuarono a perseguitarlo fino all'epilogo tragico di quella mattina del novembre 1968 in cui il comandante Charles Butler Mc Vay III uscì in giardino con una pistola e si consegnò alla storia.
Le sue ceneri furono sparse in mare.


7 Ma tutte queste lettere alla fine furono annullate dal segretario Forrestal. Il ruolino di servizio di questi quattro ufficiali uscì indenne dalla vicenda dell'Indianapolis.

USS INDIANAPOLIS

Epilogo

All'inizio degli anni 90 i rapporti dei servizi di informazione che avrebbero potuto dimostrare l'innocenza di Mc Vay furono finalmente resi di pubblico dominio. Ma dopo averli esaminati la Marina rifiutò di riprendere in esame la propria decisione.
A 28 anni dalla morte del comandante, in risposta a una richiesta avanzata nel 1997 di nuove indagini da parte dei superstiti dell'Indianapolis, il JAG rilasciò questa dichiarazione: "La conclusione raggiunta è che la corte marziale cui venne sottoposto il comandante Mc Vay è assolutamente valida dal punto di vista legale; non sono state commesse ingiustizie e non si vede il motivo di un'azione riparatrice".
Teorie di cospirazioni hanno abbondato tra alcuni superstiti ogni volta che cercarono di spiegarsi perché il comandante Mc Vay fu processato. Tutto sommato queste teorie non servono a molto, l'effetto di quel processo fu di rovinare la carriera di Mc Vay e oggi rimane solo da chiedersi se sia stato giusto e corretto.
La risposta, spiega il capitano di vascello Bill Toti, ex comandante di sommergibili della Marina americana, è negativa. In un'attenta e pungente critica al trattamento riservato dalla marina a Mc Vay, apparsa su una pubblicazione dell'accademia navale, Toti sostiene: "Ecco un uomo che, a causa della natura unica e assoluta della sua responsabilità di comando, fu considerato colpevole della sfortuna che capitò alla sua nave. Le dichiarazioni dello stesso comandante evidenziano il fatto che aveva capito benissimo questa verità". "Ciò nonostante, non poté far niente per impedire che gli capitasse tale sfortuna e non avrebbe mai dovuto essere processato. La lezione in questo caso è che la decisione può essere corretta dal punto di vista legale e pur tuttavia essere ingiusta".
Negli anni successivi all'affondamento molti superstiti del disastro tentarono instancabilmente di riabilitare il nome del comandante8.
Nel corso di un'udienza nel settembre 1999 davanti alla commissione del Senato sui servizi armati, l'ex marine Giles Mc Coy disse con aria di sfida agli ammiragli riuniti nella sala: "E' stato calpestato l'onore del comandante Mc Vay. Voi state seduti qui a dirmi che il comandante ha messo in pericolo la nave non procedendo a zig-zag? Vi voglio dire una cosa: la nostra nave era in pericolo molto prima che il comandante Mc Vay lasciasse il porto". In seguito, dice Mc Coy, un ammiraglio mi si parò davanti, mi prese la mano e mi disse: "Voglio dirle che ha ragione". Ma poi aggiunse: "Buona fortuna" e se ne andò. "Penso che abbiamo vinto una battaglia", ammette Mc Coy, "ma certo non la guerra".

Ufficiali USS Indianapolis
Ufficiali dell'Indianapolis sul ponte nel 1945. Del gruppo sopravvissero solo il comandante Mc Vay (prima fila, terzo da sinistra) e il capitano di corvetta Lewis Haynes, Ufficiale medico (seconda fila, terzo da sinistra).

Il 12 ottobre 2000 questa guerra si avvicinò alla fine quando il Congresso degli Stati Uniti votò una risoluzione che discolpava il contrammiraglio Mc Vay. Raccomandava anche una citazione globale per l'ultimo equipaggio dell'USS Indianapolis, 55 anni dopo che era tornato a casa dalla sua solitaria parata della vittoria a San Diego.
Nella risoluzione si legge:
1) alla luce della remissione della sentenza della corte marziale da parte del segretario della marina e del rientro del capitano di vascello Mc Vay in servizio attivo per intervento del capo delle operazioni navali, ammiraglio Chester Nimitz, il pubblico americano deve ora essere informato dell'innocenza del capitano di vascello Mc Vay per la tragica perdita dell'USS Indianapolis e per la vita degli uomini che morirono come risultato dell'affondamento di quella unità; e
2) alla luce del fatto che certe informazioni discolpanti non erano disponibili all'ufficio della corte marziale e che di conseguenza si giunse a un verdetto di colpevolezza, ne deriva che il ruolino di servizio del capitano di vascello Mc Vay deve ora riportare l'assenza di colpevolezza del comandante né la tragica perdita dell'USS Indianapolis e della vita degli uomini che vi perirono in seguito all'affondamento di quell'unità.
Il presidente Bill Clinton stesso firmò la risoluzione. Ma quel che la risoluzione trascurò di fare è di cancellare questa sentenza dal suo ruolino di servizio.
In risposta la Marina sostenne ancora una volta che "riesami interni ed esterni hanno confermato la correttezza e la legalità del processo della corte marziale e del ricorso in appello riguardante la corte marziale di Mc Vay".
Come poi risultò, la giustizia nel caso del capitano di vascello Mc Vay arrivò molto più rapidamente di quanto non si aspettassero i superstiti dell'Indianapolis.
Il 13 luglio 2001 il Dipartimento della Marina, in una sorprendente tornata di eventi, rese pubblica la decisione di prosciogliere il comandante già sottoposto a corte marziale.
Il segretario della marina, Gordon R England, ordinò che le seguenti dichiarazioni fossero allegate al ruolino di servizio del comandante Mc Vay.
"Il popolo americano dovrebbe ora riconoscere l'assenza di colpevolezza del comandante Mc Vay per la tragica perdita dell'USS Indianapolis e della vita degli uomini che vi perirono in seguito all'affondamento di quell'unità. Nel ruolino di servizio del capitano di vascello Mc Vay è stato inserito il proscioglimento dalla responsabilità della perdita dell'unità e della vita di tanti dei suoi uomini".
In questo capovolgimento dell'ostinato rifiuto di riesaminare il caso di Mc Vay, la Marina riprese le parole scelte dal Congresso degli Stati Uniti nella sua risoluzione dell'ottobre 2000 in cui si dichiarava l'assenza di colpevolezza del comandante Mc Vay nella tragica perdita dell'USS Indianapolis e della vita degli uomini che vi perirono.
L'annuncio della decisione della Marina attirò immediatamente l'attenzione del Paese, in un articolo del 14 luglio del 2001 del New York Times, un esultante Mc Coy spiegò che il comandante Mc Vay non era stato ritenuto colpevole "di niente se non delle alterne vicende della guerra".
L'esatta posizione del relitto dell'USS Indianapolis è ancora sconosciuta. Nel periodo di luglio- agosto 2001, una spedizione scientifica ha cercato di trovarlo tramite l'uso di sonar a visione laterale (Sidescan Sonar) e videocamere subacquee montate su un veicolo a comando remoto (ROV). Una seconda spedizione è stata organizzata nel giugno del 2005. Essa è stata seguita da National Geographic che ha messo in onda il materiale raccolto in luglio. Nell'ambito della seconda missione, sono stati lanciati dei sommergibili alla ricerca di tracce del relitto. Gli unici ritrovamenti attribuibili con certezza all'Indianapolis consistevano di diversi grossi pezzi di metallo rinvenuti nella posizione in cui dovrebbe essere affondato l'incrociatore.
Molti ritengono ed hanno dichiarato che il ritrovamento del relitto è impossibile. La nave trasportava discreti quantitativi di esplosivo a bordo e i rapporti dichiarano che durante l'affondamento si era incendiata. Molti ipotizzano che sia esplosa non appena discesa al di sotto della superficie dell'oceano. Oltretutto, il braccio di mare della battaglia è uno dei più profondi del mondo.


8 Ai tentativi dei superstiti di riabilitare il nome di Mc Vay collaborò con diligenza uno studente della Ramson Middle School, in nome Hunter Scott, che si interessò alla causa come parte di una tesina di storia. Laddove i superstiti del naufragio dell'Indianapolis avevano fallito, il giovane Scott riuscì a farsi ascoltare dai politici di Washington.

Giuseppe Bufardeci


Tratto da:
Il Comandante e gli Squali, titolo originale: In Harm's Way di Doug Stanton, Longanesi 2003

Altre fonti: en.wikipedia.org, it.wikipedia.org, www.ussindianapolis.org


Pubblicato il 07/12/2012