Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Preneste

485 o 487 a.C.

Gli avversari

Caio Aquilio

Generale e politico romano, sale alla ribalta nella storia di Roma per la sua elezione al consolato, insieme a Tito Sicinio nel 485 a.C. Nella descrizione dei due nuovi consoli Dionigi di Alicarnasso premette subito che si tratta di due "uomini periti di guerra", ossia di due uomini a favore dell'uso della forza militare dell'Urbe per poter chiudere il prima possibile le contese con i popoli italici confinanti. In considerazione di questa ratio, in seguito all'elezione al consolato, e ad un brevissimo tentativo diplomatico, Caio Aquilio sconfisse gli Ernici, presso Preneste nel 485 a.C. La sua impresa bellica venne però oscurata dalla vittoria a Velletri del collega Sicinio, che secondo il popolo, aveva compiuto un impresa ben più ardua sconfiggendo i Volsci. Aquilio dovette accontentarsi dell'ovatio anziché del trionfo e sfilare a piedi invece del fastoso carro su cui aveva sfilato Tito Sicinio.

La genesi

Come già accennatpo nel 485 a.C. (o nel 487 a.C.) il consolato venne affidato a due uomini la cui ratio era tutt'altro che pacifista, come ci descrive Dionigi di Alicarnasso «Presero l'anno appresso il consolato Cajo Aquilio e Tito Siccio , uomini periti di guerra». Non si trattava di una mossa casuale: i due consoli erano stati eletti per dare un segnale forte, soprattutto dal punto di vista militare alle "scomode" popolazioni confinanti. Gli Ernici, antica popolazione italica, il cui territorio era situato nel Lazio fra il Lago del Fucino ed il fiume Sacco, in realtà, fino a quel momento, erano conosciuti come popolo «amico e confederato», che però si era macchiato dell'onta di aver effettuato scorrerie in territorio romano durante la guerra dell'Urbe con i Volsci e gli Equi.

Ma la soluzione militare non fu la prima opzione del senato romano contro questa popolazione. Presso gli Ernici furono inviati degli ambasciatori per chiedere risarcimenti in proposito a quelle azioni, ma gli stessi ex-confoederati «diceano non esservi pubbliche convenzioni tra loro e tra' Romani , e che pensavano già sciolte quelle che vi furono tra loro e tra Tarquinio , come detronizzato , e morto in terra straniera: che le prede e le incursioni non furono ingiustizie del pubblico, ma di privati intesi al guadagno: e che non doveano però nemmeno gli autori di quelle consegnarsi al supplizio: e lamentandosi che avessero anche gli Ernici patito altrettanto; significavano che volentieri accetterebbero la guerra».

Il senato in realtà aveva già mobilitato mezzi e uomini prima ancora che gli ambasciatori partissero. Le forze di Roma vennero così divise in tre parti una sotto Tito Sicinio doveva occuparsi dei Volsci, una seconda ad Aquilio cui spettava il compito di sconfiggere gli Ernici ed una terza, affidata a Spurio Largio, uomo di fiducia dei consoli stessi, con compiti di presidio e pattugliamento delle zone circostanti la città. In aggiunta a queste forze venne formata una sorta di milizia cittadina, composta in gran parte dai veterani delle campagne precedenti («esenti già da' registri militari , ma buoni ancora a portare le armi») sotto la guida di Aulo Sempronio Atratino, con il compito di presidiare le mura dell'Urbe.

Pochissimi giorni dopo la partenza, Aquilio trovò l'esercito degli Ernici che lo aspettava nei pressi di Preneste («in suolo Prenestino»); quindi decise di accamparsi esattamente di fronte a loro.

Le forze in campo

Le fonti a nostra disposizione non indicano il numero preciso dei combattenti a Preneste. In coincidenza con il passaggio alla forma di governo repubblicano, l'esercito fu diviso in due legioni, ognuna al comando di un console, e solo in caso di estremo pericolo le due legioni venivano unificate e veniva eletto un solo capo, in carica sei mesi, detto dictactor. Ma in questo caso, Dionigi ha specificato che le forze romane vennero divise addirittura in tre parti, quindi è probabile che il numero di combattenti a disposizione di Aquilio fosse inferiore alle canoniche cifre delle legioni a ranghi pieni della prima epoca repubblicana. Possiamo ipotizzare quindi un numero compreso tra i 3000 e i 4000 legionari con il supporto di 150 cavalieri.

Sul fronte opposto non vi sono numeri né citazioni che ci fanno pensare ad un vantaggio quantitativo sufficientemente importante per gli Ernici. Per il loro esercito possiamo quindi stimare un totale di combattenti uguale o poco inferiore a quello a disposizione di Aquilio.

La battaglia

Tre giorni dopo che i romani si erano accampati vi furono i primi segni della battaglia. Approssimatisi verso il nemico i romani alzarono il grido di battaglia, mentre gli arcieri e i frombolieri iniziavano il loro tiro da entrambe le parti. Subito dopo fu la volta dell'impatto, secondo Dionigi prima tra cavallerie e poi tra le opposte fanterie: «Era l'azione vivissima , sostenendola gli uni e gli altri con ardore; e gran tempo si restarono nel luogo dove si erano schierati senza che gli uni cedessero agli altri. Se non che cominciò poi la legione Romana ad abbandonarsi come astretta, afiora dopo molto tempo, a combattere».

Vedendo questo segnale di lieve cedimento, Aquilio fece pervenire nello scontro milizie fresche, che aveva predisposto in precedenza, che subentravano nei ranghi dove la legione pericolava, dando anche la possibilità ai feriti di ritirarsi dietro di essa. Gli Ernici, osservando questo movimento, insistettero nei punti in cui pensavano che la lagione potesse vacillare; ma li attendeva una brutta sorpresa: «Li riceverono i Romani freschi delle riserve, e ritornò forte, come in principio la battaglia, accalorando visi animosamente ambedue; tanto più che gli Ernici ancora erano rintegrati da' capitani con schiere fresche da supplire le affaticate».

Il tentativo degli Ernici di sfaldare la legione era fallito, nonostante l'inserimento, anche da parte loro di forze fresche e così, verso sera il console spronando la sua cavalleria «ne prende il comando egli stesso, e si avventa contro l'ala destra de'nemici. Questi tengono fronte alcun tempo, ma poi piegano; e grande si fa quivi la strage». Il fronte destro destro degli Ernici cedette, ritirandosi dal campo di battaglia. La parte sinistra degli italici invece teneva ancora ma dovette cedere il passo anch'essa poiché una volta sbaragliata la destra nemica, «Aquilio accorse ancor ivi col fiore de' giovani animandoli ed eccitandoli [...] a segnalarsi ne' conflitti». Scoperti i fianchi, il centro crollò, e gli Ernici si diedero alla fuga verso il proprio campo. I Romani, presi dalla foga, li inseguirono quasi fino al vallo di protezione del loro campo, ma visto il potenziale rischio di quest'azione, Aquilio decise di far tornare indietro i propri uomini per non rischiare nulla in una battaglia ormai già vinta: «Allora dunque i Romani, essendo già il sole per tramontare, tornarono esultando e cantando agli alloggiamenti».

Dionigi poi sottolinea come, presi dal panico, gli Ernici, durante la notte si diedero ad una ulteriore fuga senza curarsi di lasciare i feriti nell'accampamento al loro destino. I romani, erroneamente allarmati dal clamore nel campo degli Ernici «diedero di piglio alle arme; e cingendo gli alloggiamenti perché tra la notte non se ne tentasse l'assalto, ora destavano fragore d'arme, ed ora come se attaccassero, alzavano il grido cupo della battaglia». Queste mosse spaventarono ancora di più gli Ernici che si diedero ad una fuga disordinata. All'alba, quando gli esploratori informarono Aquilio della disordinata fuga nemica, egli «invase gli alloggiamenti nemici, pieni di giumenti, di vettovaglie e di arme; impadronendosi insieme de' feriti , numerosi nommeno dei fuggitivi. Quindi spedendo la cavallerìa su quelli ch'erravano sbandati per le strade e per le selve, fece molti prigionieri: e poi scorse depredando impunemente le terre degli Ernici, senza che alcuno osasse più di contrapporsegli. Or ciò è quanto fu operato da Aquilio».

Le conseguenze

Gli Ernici non potevano rappresentare da soli una minaccia per Roma. Ma inquadrati nello scacchiere dei popoli italici confinati con l'Urbe, potevano ingrossare le file di Volsci ed Equi con cui già era in guerra aperta. La decisione del senato di inviare i consoli separatamente appare così ancora più azzeccata. Con la vittoria a Preneste, gli Ernici sottomessi potevano ingrossare le file degli alleati potenziali di Roma che così poteva concentrare più forze nello scontro con i Volsci.

Questa vittoria però, non fu colta dal popolo di Roma come sperava Aquilio. La contemporanea, o quasi, vittoria di Tito Sicinio sugli stessi Volsci a Velletri, oscurò il suo successo sugli Ernici a Preneste: «Giunta in Roma la nuova pe' messaggieri spediti da' consoli inondò gioja vivissima il popolo, e ben tosio decretò sagrifizj di ringraziamento agli Iddii , e la gloria del trionfo ai consoli; non già eguale per ambedue, ma la più grande a Siccio, il quale sembrava di aver liberato la città da pericolo maggiore, annientando l'esercito insolente dei Volsci, ed uccidendone il comandante. Adunque entrò costui la città con le prede, co'prigionieri, colle milizie compagne, cinto di regia clamide, com'usa ne'trionfi più insigni, e seduto su carro tirato da'cavalli adorni di freni di oro. Aquilio ebbe il trionfo minore che chiamasi ovazione. Egli entrò a piedi in città conducendo il resto della sua pompa».