Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Caravaggio

15 settembre 1448

Gli avversari

Francesco I Sforza duca di Milano (San Miniato 1401 - Milano 1466)

Figlio di Muzio Attendolo Sforza e della sua concubina Lucia; avviato all'arte militare dal padre, ventenne fu viceré di Calabria, poi riconquistò, al comando delle truppe ereditate dal padre (1424), Napoli per la regina Giovanna II, partecipando quindi alla lotta finale contro Braccio da Montone. Passato al servizio di Filippo Maria Visconti, batté i Veneziani, poi, d'accordo col duca, ostile a Eugenio IV, si trasferì nello Stato pontificio, impadronendosi della Marca d'Ancona e di varie terre dell'Umbria, sicché il papa, per evitare il peggio, lo fece marchese della Marca e gonfaloniere della Chiesa per le terre umbre occupate. Creatosi così uno stato proprio, fu al servizio dei Veneziani, preoccupandosi però di non colpire a fondo Filippo Maria, alla cui successione mirava. Ma il duca, che gli aveva promesso in moglie la propria figlia naturale Bianca Maria, tentò di sbarazzarsi di lui, spingendolo alla conquista dell'Abruzzo contro Alfonso d'Aragona, mentre incaricava Niccolò Piccinino di invadere le Marche. Lo Sforza però riuscì a risolvere la situazione a suo favore alleandosi con Venezia, in guerra col Visconti, liberando Brescia, attaccando il dominio visconteo, e obbligando infine Filippo Maria a dargli la figlia in sposa (ottobre 1441). Ma ancora Filippo Maria fece invadere le Marche dal Piccinino; e lo Sforza si trovò contro, oltre il duca, Alfonso d'Aragona e il papa. Allora, puntando tutto sul ducato, rinunciò alle Marche (1447). Morto Filippo Maria e creatasi la Repubblica Ambrosiana, ebbe da questa affidato il comando dell'esercito milanese, col quale batté a Caravaggio i Veneziani (14 settembre 1448). Ma, avvertendo la diffidenza dei governanti della Repubblica, si accordò con Venezia e si volse contro Milano, che occupò il 26 febbraio 1450. Continuò poi la guerra contro Venezia, staccatasi da lui già nel 1449, finché la pace di Lodi del 1454 gli assicurò definitivamente il dominio di Milano. In seguito occupò Savona e tutta la Riviera, e nel 1464 s'impadronì di Genova, giovandosi dell'alleanza col re di Francia Luigi XI. Grande condottiero, fu anche principe capace; abbellì Milano, favorì la cultura e fece costruire il naviglio della Martesana (1457-60).


Michele Attendolo (Cotignola, 1370 - Pozzolo Formigaro, febbraio 1463)

Figlio di Bartolo e perciò cugino di Muzio Attendolo, fu grande condottiero. Non si conosce la data della sua nascita, che non dovette essere più tardi del 1390, poiché l'Attendolo già nel 1411 militava nelle schiere del cugino. Come tutti gli altri Attendolo, seguì Muzio nel Regno di Napoli ed alla morte di re Ladislao (3 agosto 1414) egli comandava, insieme con Muzio Attendolo, l'esercito della regina Giovanna II. Fu valido sostegno, con i suoi quattrocento cavalieri, di Muzio, mentre costui era prigioniero prima di Pandolfello Alopo e poi di re Giacomo di Borbone (1415). Dopo i patti che Lorenzo Attendolo strinse con il re, l'Attendolo dovette abbandonare il Regno di Napoli e si pose, per qualche tempo, al servizio di Braccio da Montone, per conto del quale assunse la difesa di Iesi e di Rocca Canterano. Quando, a causa del Tartaglia, sorse l'inimicizia tra i Bracceschi e gli Attendolo, l'Attendolo abbandonò Braccio e per qualche tempo restò solo. Nel 1419 era nel Viterbese contro i Bracceschi e Tartaglia. L'anno seguente (1420) tornò con Muzio e Foschino Attendolo nel Regno di Napoli, ove sposò Polissena dei Sanseverino, vedova di Maiatesta, signore di Cesena, che gli recò in dote quindici importanti feudi, tra i quali Torre Amara, S. Marco, S. Martino in Terranova, Tursi, Tito, Anzi, Potenza, Vera, Campagna, Policoro, Vignola ed Alianello. Nello stesso anno (1420), insieme con Fabrizio di Capua, difese Sessa attaccata da Braccio e nell'agosto dell'anno successivo (1421) si trovò al fiume Sangro, sempre contro i Bracceschi. Nel 1421 (novembre) era a Benevento e l'anno dopo (1422) a Rende, al seguito di Muzio. Nel 1423, preparandosi la spedizione che doveva portare alla liberazione dell'Aquila, occupata da Braccio, Muzio lo condusse nell'impresa. Benché fosse morto Muzio (4 gennaio 1424), la battaglia dell'Aquila ebbe egualmente luogo e l'Attendolo, avuto il comando di un'ala, contribuì alla vittoria in maniera determinante, poiché, a tempo opportuno, soccorse le schiere di Giacomo Caldora che erano state scompigliate dai Bracceschi. In seguito, al servizio di papa Martino V e, nell'agosto del 1428, con Giacomo Caldora, combatté contro i Bolognesi; poi prestò i suoi servigi alla Repubblica fiorentina, insieme a Nicolò da Tolentino (1432), andando contro i Lucchesi (10 giugno) e, insieme con Niccolò Piccinino, capitano dei Fiorentini, assalendo le schiere dei Milanesi e dei Senesi. Più tardi mosse contro l'imperatore Sigismondo di Lussemburgo, ma senza raggiungere alcun risultato. Lasciati i Fiorentini, l'Attendolo si pose quindi al servizio di papa Eugenio IV e domò molti signori che avevano tentato di sottrarsi al governo pontificio: nel 1433 (15 aprile) era a Vetralla, poi assediò Castelnuovo, Caprarola, Genazzano ed altre località. Fu anche a Roma, con cinquecento cavalieri, ad accogliere l'imperatore Sigismondo che, dopo l'incoronazione 31 maggio 1433), lo nominò cavaliere. Nell'ottobre del 1434 occupò Roma che aveva proclamato la repubblica (29 maggio).

Il papa lo fece creare gran connestabile del Regno di Napoli ed egli, dopo la morte della regina Giovanna II (2 febbraio 1435), si pose al servizio di Renato d'Angiò per il quale governò le terre della Calabria fino al 1438, quando il re lo richiamò perché lo proteggesse da Alfonso d'Aragona. L'Attendolo restò nel Regno di Napoli almeno fino al 1440, poi ritornò al servizio dei Fiorentini e per essi riportò la famosa vittoria di Anghiari (29 giugno 1440), in seguito alla quale tutto il Casentino cadde in potere di Firenze. L'anno seguente fu chiamato dai Veneziani per sostituire il Gattamelata, dopo alterne fortune si ritrovò a dover dar battaglia contro la sua volontà a Caravaggio, dove subì una grave sconfitta (14 settembre). L'Attendolo sarebbe morto a Palazzuolo nel 1451.

La genesi

Come già accennato in precedenza, l'Attendolo, dopo aver cambiato più volte il proprio committente, attorno al 1441 decise di lasciare il Regno di Napoli e prender parte per i Venaziani, da tempo in lotta contro il Ducato di Milano. Si trovò così a sostituire il Gattamelata e, nominato capitano generale per la Serenissima, sostenne la guerra contro il ducato di Milano. Nel 1446 (28 settembre) sconfisse a Casalmaggiore le truppe milanesi guidate dal Piccinino, occupò quasi tutta la Ghiara d'Adda e giunse sotto le porte di Milano; per questa grande vittoria fu creato nobile veneziano e cavaliere aurato ed ebbe la signoria di Castel Franco nel Trevigiano. Nel 1448, sempre al comando dei Veneziani, insieme con Bartolomeo Colleoni, si ritirò in Cremona, e non avrebbe voluto accettare battaglia a Caravaggio, nella quale, si trovò a doversi ritirare contro la sua volontà e per colpa di ordini venuti dal governo della Serenissima stessa.

Caravaggio come esempio tattico

Nel XV secolo, le battaglie poi potevano essere brillanti fatti d'arme ma anche sceneggiate vergognose. Molti dei condottieri erano dei professionisti di alta esperienza e in battaglia sapevano attuare in maniera coordinata i movimenti necessari all'esecuzione di manovre tattiche molto complesse. L'aggiramento sui fianchi, le finte e soprattutto l'uso tattico delle riserve erano operazioni comuni ad ognuno dei condottieri della penisola nel XV secolo. Tuttavia, le cose potevano anche mettersi male; in effetti le diserzioni, la morte del comandante e le asperità del terreno erano tutti fattori che potevano gettare nel caos un esercito. Dunque, non c'è da stupirsi se i condottieri affrontavano le battaglie con qualche renitenza. Infatti, se un condottiere perdeva probabilmente gli restava da vivere per un'ulteriore combattimento, ma rischiava comunque la prigionia ed il relativo riscatto, oppure poteva anche rischiare di perdere la reputazione e magari di essere licenziato. Ma il rischio più temuto, oltretutto a vantaggio del nemico vittorioso, era la perdita dei propri cavalli e delle proprie anni, il cui rimpiazzamento avrebbe richiesto somme enormi.

La battaglia

Quanto abbiamo detto potrà essere meglio compreso osservando la battaglia di Caravaggio. Caravaggio è un borgo a sud di Bergamo ed in quel periodo era sotto il controllo veneziano; Francesco Sforza, a capo dell'esercito milanese, l'aveva cinta d'assedio e nel frattempo aveva edificato un campo solidamente fortificato a protezione dei suoi soldati accampati sotto le mura del borgo. Era improbabile che Caravaggio martellata dalle artiglierie dello Sforza resistesse a lungo e allora Michele Attendolo mosse il grosso dell'esercito veneto per portare soccorso agli assediati. I veneziani si accamparono alcuni chilometri ad est del campo milanese e studiarono la situazione. L'esercito dello Sforza era forte e, a quanto pareva, ben protetto; Caravaggio, invece, non era una località tanto importante da rischiare una sconfitta per liberarla dall'assedio. D'altro canto, ormai sì avvicinava la fine dell'estate, stagione in cui era possibile svolgere operazioni sul campo e l'esercito di Francesco Sforza era l'unico ostacolo a frapporsi tra i veneziani e la vacillante Repubblica Ambrosiana di Milano: una vittoria decisiva in quel momento avrebbe significato la fine dello stato milanese e per questo i provveditori della Serenissima, ubbidendo ad istruzioni delle autorità veneziane, insistevano perché Micheletto attaccasse. L'Attendolo era un condottiere d'esperienza: aveva combattuto in ogni parte d'Italia e da venticinque anni figurava tra i maggiori capitani italiani; ma era anche il cugino di Francesco Sforza. Quest'ultimo fatto probabilmente non contava molto per lui dato che in precedenza si erano trovati l'uno contro l'altro sul campo; tuttavia la cautela caratteristica del condottiero gli suggeriva il pericolo nel muoversi all'attacco del campo milanese. Alcuni dei suoi consiglieri militari lo sostennero, mentre parecchi altri condottieri al soldo di Venezia vedevano le cose sotto luce diversa. Bartolomeo Colleoni e Tiberto Brandolini, infatti, si erano recati, sotto mentite spoglie, ad ispezionare personalmente la posizione dell'esercito milanese e avevano scoperto che su di un lato lo Sforza si era creduto abbondantemente protetto da una boscaglia pantanosa, che pareva un ostacolo invalicabile alla cavalleria. Il Colleoni e il Brandolini la pensarono diversamente e sostennero che era possibile lanciare un attacco da quella parte. Il loro parere e le considerazioni politiche ebbero la meglio, così si decise per l'attacco. Francesco Sforza venne a sapere di tale decisione tramite le sue spie alcune ore prima, ma non credette ancora che le forze veneziane volessero attaccarlo da una direzione tanto infelice. Così l'elemento sorpresa non fu annullato del tutto: i veneziani appoggiati dall'artiglieria del Colleoni irruppero nel campo milanese dal lato più debole e per un po' il destino di Milano parve deciso. Eppure, lo Sforza, che era stato già messo in allarme, seppe reagire con rapidità eccezionale. Non solo riordinò personalmente un'ala dell'esercito che vacillava davanti all'attacco veneziano, riuscendo a tenere impegnato frontalmente il nemico, ma inviò numerosi cavalieri sui fianchi del nemico per accerchiarlo. I cavalieri dello Sforza, potendo muoversi rapidamente sul terreno, chiusero alle spalle i veneziani prima che di loro esercito potesse cavarsi fuori dalla boscaglia divenuta ora infida. Alcuni reparti veneziani riuscirono ad aprirsi la strada della fuga, ma larga parte dell'esercito fu fatta prigioniera.

Le conseguenze

In questa battaglia troviamo operanti molti dei fattori decisivi nelle guerre del Rinascimento italiano: il ruolo delle fortificazioni campali, la complessità del processo decisionale, il sagace uso del terreno e delle spie, l'uso dell'artiglieria e la coordinazione delle varie armi. Quella di Caravaggio non fu una battaglia cruenta, fu però una battaglia decisiva nel conflitto tra Venezia e Milano: l'esercito veneziano per alcuni anni non riuscì a riaversi pienamente dalla disfatta subita; Michele Attendolo venne licenziato e dovette ritirarsi nelle sue terre. L'indipendenza di Milano fu salva; e Francesco Sforza ormai era avviato sulla strada che doveva portarlo ad assoggettarla alla sua autorità. Negli anni seguenti, divenuto duca di Milano, egli non si dedicò personalmente molto alla guerra, ma molti di coloro che nel ventennio successivo avrebbero guidato gli eserciti italiani erano stati ai suoi ordini o a quelli di Attendolo nella battaglia di Caravaggio.