Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Caldiero

12 novembre 1796

Gli avversari

Andrea Massèna, duca di Rivoli, principe di Essling (Nizza 1758 - Parigi 1817)

Maresciallo di Francia. Contribuì a cacciare gli Austro-Sardi dalla contea di Nizza e fu subito promosso gen. di brigata e di divisione (1793); fece le campagne delle Alpi (1794-95) e fu poi agli ordini di Bonaparte nella campagna d'Italia del 1796-97, trionfando a Rivoli (genn. 1797); abile e fortunato, fu soprannominato Il prediletto della vittoria. Nel 1798 fu inviato come assistente del comandante francese a Roma, ma venne rimosso dall'incarico per l'ammutinamento delle sue truppe; nel 1799 batté a Zurigo gli alleati; l'anno dopo difese valorosamente Genova contro gli Austriaci. Insignito del titolo di maresciallo (1804), partecipò alle campagne del 1805-07 e del 1809, distinguendosi a Wagram e a Essling, dove diresse con maestria e valore il passaggio del Danubio contro forze nemiche in vantaggio per numero e posizione. In Portogallo batté più volte gli Anglo-Portoghesi (1810), ma infine si vide costretto ad abbandonare il paese (1811). Nel 1814 aderì ai Borboni e fu governatore di Parigi alla Restaurazione.


Joseph Alvinczy Freiherr von Berberek (Vintul-de-Jos 1º febbraio 1735 - Ofen, 25 novembre 1810)

Feldmaresciallo austriaco, nato nel 1735 nel castello di Alvincz (ora Vintul-de-Jos) in Transilvania da una famiglia originaria di Alsazia, fece le sue prime armi nella guerra dei Sette Anni. Sebbene avesse riputazione di valente tattico, la fortuna non gli arrise nella guerra combattuta in Serbia contro i Turchi nel 1789 sotto il generale Laudon. Nelle campagne contro la Repubblica francese ebbe parte nella vittoria di Neerwinden riportata su Dumouriez; ma poi fu vinto da Houchard a Hondschoote. Nel 1796, dopo il secondo tentativo del Wurmser di liberare Mantova, accettò a malincuore il comando dei due corpi austriaci del Tirolo e del Friuli, incaricati del terzo tentativo: il quale, dopo alcuni favorevoli successi, fallì per la vittoria riportata dai Francesi nella terza giornata della battaglia d'Arcole. Egli, per ordine dell'imperatore, ma senza entusiasmo e con poca speranza, capitanò anche il quarto tentativo (7-16 gennaio 1797), fiaccato definitivamente con la celebre battaglia di Rivoli (14-15 gennaio) che preluse alla capitolazione di Mantova. L'Alvinczy morì nel 1810.

La genesi

La perdita di Segonzano e di Trento, di cui Bonaparte aveva avuto notizia, dava giustificato timore per Verona e per Mantova; e l'ostinarsi a voler combattere un nemico grosso, avvertito ed insistente in un sito forte, non sarebbe stato senza grave danno; perché ponendo anche il caso che la battaglia succedesse prosperamente, il perdere ugual numero di soldati era più pernizioso ai Francesi, assai meno numerosi degli Austriaci. Dal che si vede quanto momento avrebbe recato in tanta incertezza di fortuna Davidovich, se si fosse spinto avanti con quel medesimo vigore col quale aveva combattuto a Calliano, e fosse andato addirittura a ferire Corona e Rivoli. Mosso da queste considerazioni, si deliberava Buonaparte a levar il campo dalle rive della Brenta per andarlo a porre su quelle dell'Adige nel sito centrale di Verona. Per la qual cosa, il di 7 novembre, molto rapidamente, mosse l'esercito verso Vicenza, e non fece fine al ritirarsi se non quando arrivò sotto le mura della città stessa in cui seguitavano il giorno medesimo i Tedeschi; succedeva così un aspro combattimento a Scaldaferro. Entravano gli imperiali il di 8 in Vicenza, mentre il 9 alloggiavano a Montebello. Quivi pervenivano all'Alvinzi le desideratissime novelle della vittoria di Calliano: perciò spingendosi più oltre, andava a porre il campo a Villanova, terra posta a mezzo cammino tra Vicenza e Verona. Intenzion sua era di aspettare in quest'alloggiamento che cosa portassero le sorti in Tirolo, e massimamente che Davidovich, superati i forti passi della Corona e di Rivoli, si fosse fatto vedere a Campara ed a Bussolengo; poiché allora si sarebbe mosso egli medesimo verso quella parte che più gli sarebbe stata conveniente per congiungersi col vincitore del Tirolo. Ordinava intanto varie mosse per dare diversi riguardi al nemico, e per tenerlo sospeso del dove volesse andar a ferire. Apprestava eziandio quantità grande di scale, come se fosse per dare la scalata a Verona, inoltre aveva già mosso la vanguardia e fatta posare nell'alloggiamento di Caldiero, più vicino alla città. Minacciato Buonaparte a manca ed alle spalle da un generale vittorioso, a fronte da un generale, se non vittorioso, almeno più forte di lui: le scelte che poteva prendere erano tutte difficili; perché aspettare significava dar tempo a Davidovich di assalirlo alle spalle e di far allargare ad un tempo l'assedio di Mantova; attaccare voleva dire commettersi all'ultimo cimento per la salute de' suoi e per la conservazione della sua gloria. Ma non istette lungo tempo in dubbio su quale decisione prendere, perché sapeva che i consigli timidi fanno i Francesi meno che femmine, i generosi più che uomini. Si risolveva adunque a voler pruovare a Caldiero, se la fortuna volesse perseverare a mostrarsi benigna verso di lui, o cangiarsi in contraria. Usciva da Verona; guidava Massena l'ala sinistra, Augereau la destra. Incontrati i primi corridori nemici a San Michele ed a San Martino, facilmente li fuggiva: il giorno 12 di novembre era destinato alla battaglia.

La battaglia

Eransi molto acconciamente accampati i Tedeschi; perché l'ala loro stanca s'appoggiava a Caldiero ed alla strada maestra, che da questa terra si volge a Verona. La destra era schierata sul monte Oliveto, ed occupava il villaggio di Calognola, sito erto e difficile ad espugnarsi. Le restanti genti di Alvinzi continuavano a stanziare a Villanova in ordine di spignersi avanti come prima si fosse incominciato a menar le mani a Caldiero. Non così tosto il giorno appariva, che i repubblicani andarono all'assalto. Già Augereau aveva conquistato Caldiero e preso al nemico cinque cannoni; già Massena si distendeva a sinistra, e, fatti dugento prigionieri, aveva circuito la punta dritta degli Alemanni, passando per Lavagno, quando improvvisamente il tempo, che era già freddo e piovoso, si cambiava improvvisamente in minutissima grandine che, spinta da un vento di levante assai gagliardo, percuoteva nel viso i Francesi, e gl'impediva di vedere e di combattere con quell'ordine e con quel valore che gli si richiedevano. S'aggiunse inoltre, secondo quanto ordinato dall'Alvinzi, che la grossa schiera tedesca, giungesse correndo da Villanova, in modo che tra il tempo avverso, e l'urto di queste truppe fresche, rallentavano i Francesi l'impeto loro, ed incominciavano a declinare. Le cose erano in grave pericolo; perché il generale Schubirtz, mandato dall'Alvinzi, aveva dato addosso ai francesi di Massena con cinque battaglioni, passando per Soave e per Colognola; e Provera, con quattro battaglioni, si scontrava ferocemente contro la destra di Augereau, mentre nel mezzo Alvinzi stesso rinforzava e rincuorava i suoi con un nuovo nervo di genti. Già pareva disperata la fortuna francese, quando Buonaparte spigneva avanti a combattere la sessagesimaquinta, che fin allora aveva tenuta in serbo; questa rinfrescava la battaglia, e la teneva sospesa fino alla sera, instando però sempre gl'imperiali, grossi e ben ordinati. Finalmente, pruovato grave danno, levandosi i repubblicani con tutto l'esercito da Caldiero, si ritraevano di nuovo a Verona. Dei morti, feriti e prigionieri, fu uguale la perdita per ambe le parti: ma più grave pei Francesi, per la ferita e prigionia del generale Launay, e per la ferita del colonnello Dupuis, uno dei guerrieri più animosi di Francia. Montarono gli uccisi a ducento, i feriti a seicento, i prigionieri a cencinquanta.

Le conseguenze

Era a questo tempo caduta in grande declinazione e molto pericolosa la condizione dei repubblicani. Poteva Davidovich prostrare improvvisamente i campi della Corona e di Rivoli, e romoreggiare alle spalle di Buonaparte, ma mentre Alvinzi, grosso e vittorioso, lo assalirebbe di fronte; ed il manco che potesse avvenire, era la liberazione di Mantova, scopo principale di tanti pensieri. Il dar mano poi a ritirarsi, non si sarebbe potuto fare senza fuga e senza correre sino alla sponda destra dell'Adda, perché già Laudon incominciava a farsi vedere sui confini del Bresciano. Quale effetto, quale sollevazione fosse per produrre nei popoli italiani un si grave accidente, facile cosa é il pensare; l'Emilia perduta, il papa vittorioso, Milano titubante, il re di Sardegna con nuovi pensieri, tanti odii liberi, tante ire senza freno facevano temere ai repubblicani ogni più grave estremità. L'animo stesso di Buonaparte, avvengadio ché tanto vigoroso e forte fosse, da tristi pensieri annuvolato, ed in gran malinconia venuto, incominciava a fiaccarsi e a diffidar della vittoria. Scriveva, avere ricondotti i soldati, scalzi e consumati dalle fatiche, a Verona; disperare di Mantova; i più valorosi, feriti; gli ufficiali superiori, i generali migliori non poter più 'sostener le battaglie; quelli che arrivavano essere inesperti, ed in loro non aver fede i soldati; l'esercito italico , ridotto a poche genti; gli eroi di Lodi, di Millesimo, di Castiglione, di Bassano, o morti od infermi; non aver più le legioni dell' antica possanza che l' animo ed il nome; feriti Joubert, Lannes, Lanusse, Victor, Murat, Charlot, Dupuis, Rampon, Pigeon, Menard, Chabran; vedersi il repubblicano esercito, vedersi e sentirsi abbandonato dalla sua patria nell'estreme regioni d'Italia; la fama delle sue forze avere fin la giovato, ma oggi mai pubblicarsi a Parigi, solo essere di trentamila soldati; i più valorosi, mancati di vita; i superstiti avere presto in casi tanto pericolosi a lasciarla; forse esser giunta l'ora estrema di Angereau, di Berthier, di lui medesimo; che sarebbe allora per avvenire di tanti bravi soldati? Questo pensiero farlo più cauto, non usar più affrontar la morte, perché la morte sua condurrebbe all'ultima rovina tanti prediletti compagni; volere fra breve far un ultimo sforzo; se la fortuna il secondasse, fora Mantova sua, e l'Italia con essa. Tali erano le querele di Buonaparte in quell'estremo momento. Ma se si era perduto di animo, non aveva perduto la mente, e tosto trovava modo di riscuotersi; le lentezze tedesche dopo lo scontro del 12 novembre tedesche lo convinsero ad attaccarli nuovamente, avendone ragione, dal 15 novembre al 17 novembre ad Arcole.