Ars Bellica

Battaglia di Zama

202 a.C.

La decisiva vittoria di Scipione su Annibale pone fine alla seconda guerra punica e consegna a Roma il predominio nel Mediterraneo.

ZAMA

I due comandanti

Publio Cornelio Scipione (235 - 183 a.C.)

scipione

Grande generale e uomo politico romano. Nel 211 a.C., a soli 24 anni, fu inviato in Spagna dal senato e dai comizi come proconsole per riprendere il controllo dell’Iberia; nel 209 a.C. condusse con successo un attacco a sorpresa contro il quartier generale dell'esercito cartaginese stanziato a Carthago Nova (l'odierna Cartagena); l'anno seguente sconfisse il generale cartaginese Asdrubale, ma non riuscì a impedirgli di varcare i Pirenei e di giungere in Italia per portare aiuto al fratello Annibale. Riuscì invece a conquistare Cadice, allontanando definitivamente dalla Spagna l'esercito cartaginese.

Eletto console nel 205 a.C., tra il 204 a.C. e il 203 a.C. guidò una campagna militare in Africa settentrionale, sconfiggendo i Cartaginesi ai Campi Magni (l'odierna Suk al-Khamis, in Tunisia). Annibale fu allora richiamato dall'Italia e Scipione ottenne su di lui una vittoria decisiva nella battaglia di Zama (202 a.C.). Per questa vittoria, che mise fine alla seconda guerra punica, Scipione fu soprannominato "Africano".

Nel 190 a.C., durante il consolato del fratello Lucio Cornelio, fu il suo consigliere nella guerra contro il re seleucide Antioco III, che si concluse con la disfatta dell'esercito siriaco a Magnesia, in Asia Minore. Rientrato a Roma, Scipione fu accusato dal suo avversario politico Marco Porcio Catone di avere accettato denaro da Antioco e subì un processo.
Assolto dalle accuse, si ritirò dalla vita pubblica nella propria villa di Literno, in Campania.


Annibale Barca (247 – 183 a.C.)

annibale

Considerato uno dei più grandi strateghi della storia, diventò famoso per le sue vittorie nella seconda guerra punica.
Figlio di Amilcare Barca, che gli aveva inculcato l’odio contro Roma, era nato forse nel 247 a.C. A 25 anni succedette al cognato Asdrubale nel governo dei territori spagnoli e dopo due anni trascorsi a completare la conquista dell’Iberia mise sotto assedio Sagunto (che cadde nel 219 a.C.), città alleata a Roma, e diede origine alla seconda guerra punica che da lui prese il nome di "guerra annibalica", poiché ne fu l’indiscusso protagonista.

Partito dalla Spagna, col suo esercito attraversò i Pirenei e le Alpi, scese quindi in Italia dove sconfisse le legioni romane al Ticino (218 a.C.), al Trebbia (218 a.C.), al Lago Trasimeno (217 a.C.) e a Canne (216 a.C.). Dopo la vittoria di Scipione in Tunisia fu richiamato in Africa nel 204 a.C. per difendere Cartagine e venne poi sconfitto da Scipione a Zama nel 202 a.C.

Dopo la sconfitta definitiva di Zama fu esiliato in Siria dal re seleucide Antioco III nel 195 a.C. e successivamente, dopo la sconfitta di Antioco III da parte dei Romani, in Bitinia presso il re Prusia I nel 189 a.C. Qui si tolse la vita nel 183 a.C. per non cadere nelle mani dei Romani.

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Nascita dell’imperialismo romano

Con la battaglia di Zama, combattuta nel 202 a.C. in una piana a un centinaio di chilometri a sud-ovest di Tunisi, Roma aveva chiuso la seconda guerra punica con una vittoria decisiva e definitiva che sancì la fine della potenza cartaginese.

Durante la seconda guerra punica la Repubblica romana e lo stesso esercito di Roma subirono molti cambiamenti. Il disastro di Canne, con l'annientamento da parte di Annibale delle otto legioni comandate da Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone sembrava aver segnato un punto decisivo a favore di Cartagine nella lunga lotta con Roma. Così non fu, la strategia temporeggiatrice di Fabio Massimo era riuscita a risollevare le sorti, Roma aveva grandi risorse organizzative e militari. Il senato si dedicò subito alla riorganizzazione dell’esercito. Annibale dal canto suo, deluso dalla mancata defezione dal campo romano della maggior parte degli alleati italici della Repubblica, dovette accontentarsi di una dimostrazione in forze davanti alle mura di Roma ma poi, privo di adeguate strutture per la guerra d'assedio, fu costretto a tornare nell'Italia meridionale con la speranza di consolidarvi le sue posizioni. Limitandosi a tenere sotto controllo i movimenti del grande cartaginese nell'Italia del sud, Roma, che nel 212 disponeva già di 22 legioni, più di quante ne avesse prima di Canne, si dedicò a colpire gli interessi cartaginesi dove essi risultavano più vulnerabili.

Gli interessi della Repubblica nel corso delle guerra si erano spostati, non erano più quelli che avevano visto scoppiare le ostilità tra le due città per questioni di egemonia in Sicilia. Quella politica limitata al controllo della penisola italica, partendo da una solida presenza nel Lazio e nell’Italia centrale, era mutata in una vera e propria politica di potenza, col Mediterraneo come centro, l’Iberia come teatro e ben presto il vicino Oriente dei regni ellenistici come obiettivo.

La stessa classe dirigente romana era cambiata in profondità nel corso delle guerre, mal sopportava le limitazioni imposte in patria dal “mos maiorum”, i costumi dei padri, e, assieme al cosmopolitismo politico di stampo ellenistico, aspirava a uno stile di vita più ricco, più internazionale ed elegante, ben più rappresentativo di quella che sarebbe stata la nuova fase espansiva della Repubblica.

Anche l'esercito era notevolmente mutato. Quello che Publio Cornelio Scipione portò alla vittoria sul campo di Zama nel 202 a.C. era solo in apparenza simile all’esercito che Annibale aveva duramente battuto a Canne nel 216, anche se molti degli uomini erano reduci di quella sconfitta. Le strutture organizzative erano rimaste le stesse: la legione manipolare, derivata dalle riforme camillane di più di un secolo prima, si articolava ancora sulle tre linee di hastati, principes e triarii, ma i soldati che la componevano non erano più gli stessi. Quello sconfitto a Canne era un esercito di cittadini formato col nerbo dei piccoli proprietari terrieri di cittadinanza romana, certamente valorosi e avvezzi alle fatiche della guerra, ma utilizzabili solo per una singola campagna, legati com'erano al podere lasciato nell'agro romano e poco inclini a restare in campo per più di uno o due anni. Quello di Scipione a Zama era, invece, un vero e proprio esercito di mestiere, formato da volontari ben addestrati e da veterani induriti da anni di campagne che ne avevano fatto dei veri soldati, fedeli al proprio comandante e disposti a restare nell'esercito per tutta la vita.

Saranno uomini come questi, legati a Roma e ancor più attaccati ai propri generali, che conquisteranno per Roma il controllo di tutto il Mediterraneo. Saranno uomini come questi a travolgere la potenza delle falangi elleniche, fino allora ritenute invincibili. Saranno, infine, uomini molto simili a questi che, nel turbine delle guerre civili di un secolo più tardi, segneranno la fine dell'antica Repubblica trasformandola prima nel Principato poi nell'Impero.

Alcuni storici sostengono, e probabilmente a ragione, che Roma, la Roma dell'impero, non sarebbe stata la stessa se non avesse avuto Cartagine contro cui lottare. Possiamo forse dire che il seme che conteneva la forma e l'ideologia di Roma Imperiale fu gettato in quell'anno 202 a.C., sul campo di Zama.

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Le vittorie di Scipione e il ritorno di Annibale

Nel 211 a.C. il Senato prese un’importantissima decisione, che segnerà la nascita dell’imperialismo romano. Un comandante di appena 24 anni ma già molto esperto, avendo alle spalle ben 7 anni di servizio militare, fu mandato in Spagna come proconsole, quel giovane era Publio Cornelio Scipione. Il giovane condottiero romano iniziò una guerra spietata contro gli insediamenti cartaginesi ottenendo numerose vittorie, conquistò il quartier generale dell'esercito cartaginese a Carthago Nova (l'odierna Cartagena) nel 209 e, con la vittoria di Baecula nel 208, sconfisse Asdrubale che doveva condurre un esercito in Italia nel tentativo di portare aiuto al fratello Annibale. Nel 207 Asdrubale riuscì comunque a varcare i Pirenei e ad entrare in Italia, ma fu duramente battuto sul fiume Metauro, nelle Marche. Annibale aveva certamente bisogno di rinforzi, ma per ribaltare definitivamente le sorti del conflitto aveva soprattutto bisogno di un generale dell’abilità e dell’esperienza del fratello al comando di truppe numerose. La testa mozzata del fratello, che i Romani fecero arrivare nel campo cartaginese, fu un chiaro segno per Annibale che le speranze di ricevere aiuti dalla madrepatria erano scomparse per sempre. Le uniche basi e gli unici alleati che gli rimanevano erano nelle impervie montagne del Bruzio, ridusse così il proprio raggio d’azione evitando qualsiasi scontro con i romani.
Asdrubale di Giscone e Magone Barca, nel 206, reiterarono l’offensiva contro la presenza romana in Spagna ma, alla battaglia di Ilipia, Scipione sconfisse decisamente anche Asdrubale di Giscone ponendo praticamente fine alla dominazione cartaginese in Spagna ed espellendo, di fatto, gli eserciti di Cartagine dalla penisola iberica.

Rientrato a Roma nel 205 Scipione fu nominato console e da questa posizione tentò di convincere il Senato ad appoggiarlo nel suo progetto: portare la guerra in Africa per sconfiggere definitivamente Cartagine. I senatori sapevano di poter battere Cartagine ma non consideravano necessario un intervento immediato perché al momento Roma non era in condizioni di pericolo, inoltre la presenza di Annibale in Italia non poteva protrarsi all’infinito, cosa tra l’altro trascurabile per la marginalità strategica ed economica del possesso cartaginese. Fabio Massimo, sorretto da larga parte del Senato e sostenitore della pace, considerava la proposta di Scipione un’impresa dall’esito incerto e un rischio inutile, perché la minaccia di Annibale poteva tornare a farsi sentire. Invece secondo Scipione Annibale non rappresentava più una minaccia; lui che aveva guidato le legioni romane alla conquista dei territori iberici battendo nemici superiori per numero e fama, era convinto di poter battere Annibale sul proprio territorio segnando la fine di Cartagine e consegnando definitivamente a Roma il predominio nel Mediterraneo. Sostenuto dal popolo Scipione riuscì a convincere i senatori, gli fu assegnata come provincia consolare la Sicilia, con l’autorizzazione a partire per l’Africa, ma non gli fu concesso di reclutare nuove legioni, poteva arruolare volontari e doveva accontentarsi della V e VI legione presenti in Sicilia, erano i reduci della sconfitta di Canne cui si erano aggiunti gli sconfitti delle due battaglie di Herdonea. Scipione confidava nel valore di quei veterani e li riteneva ansiosi di vendicare la vergogna della sconfitta, quindi arrivò in Sicilia con 7.000 volontari, prese contatto con le truppe, e cominciò l’addestramento per lui di primaria importanza. Non sarebbe partito fino a quando i suoi uomini non avessero assimilato i suoi schemi tattici che costituivano la base di tutte le sue vittorie.

Nel 204 Scipione salpò da Lilibeo (Marsala) con 16.000 fanti e 1.500 cavalieri, aveva trasformato un gruppo di volontari e veterani esiliati in una macchina da guerra perfetta, la più efficiente che Roma abbia mai visto. Sbarcò nei pressi di Utica (porto Farina) e la mise sotto assedio. Le sue legioni furono rinforzate dalla cavalleria numida del principe Massinissa, un tempo abile cavaliere sotto le insegne cartaginesi ora esule sconfitto dal re dei numidi Siface, che aveva scelto l'alleanza con Roma offrendo a Scipione la propria amicizia e i propri servigi.

Intanto i cartaginesi avevano messo assieme un poderoso esercito di 30.000 fanti e 3.000 cavalieri guidati da Asdrubale e il re dei numidi Siface, alleato di cartagine, stava risalendo il corso del fiume Bagradas con un’armata di 60.000 uomini di cui 10.000 cavalieri. Le due armate nemiche posero i campi a una dozzina di chilometri a sud del campo romano. Dopo una serie di alterne vicende e trattative di pace, nel 203 Scipione attaccò gli accampamenti numidi e punici riportando una grande vittoria. Secondo le cifre riportate dagli storici i morti furono 40.000, con pochi scampati, tra cui Siface e Asdrubale, mentre da parte romana le perdite furono dell’ordine delle decine. A questa vittoria ne seguì subito un’altra ai Campi Magni, nei pressi dell'attuale Suk Al-Khamis, in Tunisia, dove mise in rotta l’esercito raffazzonato che Cartagine aveva messo in piedi in fretta e furia, guidato ancora una volta da Asdrubale e Siface. Ottenuti questi successi, Publio Cornelio Scipione pose il campo a Tunisi minacciando l’assedio direttamente a Cartagine che, comunque, con le sue poderose mura, restava sempre un baluardo difficile da espugnare.

Minacciato direttamente in terra africana e in preda al panico, al gran consiglio cartaginese non rimase altro da fare che richiamare in patria Annibale e il suo esercito. Era quello che Scipione desiderava, sapeva bene che la sfida con Annibale doveva essere chiusa definitivamente e in terra africana, certo di avere a disposizione le migliori truppe del mondo, era fiducioso di poter sconfiggere Annibale una volta attirato il cartaginese in una battaglia campale.

I Romani concessero una tregua, approfittando della quale Annibale, con una parte dei suoi veterani, abbandonò definitivamente l'Italia dopo 15 anni per tornare a Cartagine. Si accampò ad Hadrumentum (Sousse), presso i possedimenti della sua famiglia.

Rinfrancati dal rientro del loro condottiero i Cartaginesi fecero il gioco di Scipione, rifiutata la tregua, Annibale muoveva verso Scipione con un esercito forte numericamente, ma, se si escludono i 15.000 veterani che aveva portato con sé dall'Italia, qualitativamente inferiore a quello romano. I Romani, fiduciosi nelle loro qualità e nelle capacità del loro comandante, incontrarono il nemico a Naraggara (Sidi Youssef), pianura a circa 15 chilometri da Zama.

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Gli eserciti

La legione romana

La legione romana era generalmente schierata “a scacchiera” su tre file di combattimento divise in manipoli. La prima fila era formata dai manipoli degli hastati, intervallati da uno spazio pari a quello occupato da un manipolo; i vuoti erano coperti dai manipoli dei principes, che si schieravano sulla seconda fila; l’ultima fila era formata dai triarii che coprivano gli intervalli lasciati vuoti dai manipoli dei principes.

Gli hastati e i principes costituivano la spina dorsale della legione romana, per questi venivano arruolati gli uomini nel pieno vigore delle forze. Le loro funzioni erano identiche ma, come detto, erano disposti diversamente nello schieramento gli hastati nella prima fila e i principes nella seconda. Erano equipaggiati con un elmo di bronzo, una corazza e un grande scudo ovale. L'armamento era composto di due giavellotti di peso diverso detti pila (al singolare pilum) e da una spada corta che impugnavano nel corpo a corpo dopo avere scagliato i giavellotti.

La fanteria leggera era costituita dai velites, formata dai soldati più giovani assegnati come supporto a ogni manipolo. Portavano un elmo di bronzo, spesso coperto da una pelle di lupo, uno scudo rotondo chiamato parma, alcuni giavellotti leggeri e una corta spada di tipo italico o spagnolo simile a quella dei fanti pesanti. I legionari meno giovani formavano i manipoli dei triarii che nello schieramento della legione erano disposti in terza fila. Muniti di un equipaggiamento identico a quello dei principes e degli hastati, erano armati invece che del pilum di una lunga lancia di tipo oplitico. I triarii potevano essere impiegati tatticamente come riserva mobile alle spalle della legione, o come forza di supporto adatta a respingere con le lunghe aste gli attacchi dei cavalieri nemici. In alcune occasioni i triarii potevano operare ai fianchi o al retro delle formazioni avversarie, impegnate sul fronte dalle prime due file.


L’esercito cartaginese

L’esercito cartaginese era formato da truppe mercenarie reclutate tra le popolazioni soggette al dominio cartaginese. Quindi un esercito costituito da popoli diversi con differenti tradizioni militari. Nel periodo della seconda guerra punica le aree di reclutamento principali furono l’entroterra africano, da cui provenivano i famosi cavalieri leggeri numidi, una delle migliori armi dell’esercito di Annibale in Italia, e la fanteria pesante libo-fenicia, e i territori coloniali iberici, che fornivano agli eserciti cartaginesi un’agguerrita fanteria medio-leggera e una buona cavalleria.
Le vittorie di Annibale in Italia fecero accorrere nel suo esercito i Galli della pianura padana e molti Italici del centro-sud.
Nel corso della campagna di Annibale, le sue truppe spesso si riequipaggiarono con il materiale catturato ai Romani sul campo di battaglia, saranno questi i suoi “veterani” a Zama.

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Le forze in campo

Publio Cornelio Scipione poteva contare per la fanteria su 23.000 uomini tra Romani e Italici più 6.000 Numidi. La cavalleria poteva contare 2.400 tra Romani e Italici, 4.000 Numidi e 600 Berberi. Non era in superiorità numerica ma disponeva di una cavalleria superiore, i cavalieri numidi di Massinissa, che erano stati spesso decisivi a sostegno di Annibale in Italia, e un reparto di 300 cavalieri romani, particolarmente addestrati e molto ben equipaggiati, che Scipione aveva addestrato in Sicilia.

Annibale poteva contare sui 15.000 veterani d'Italia, molti dei quali Italici o Spagnoli, 15.000 fanti Libi e Cartaginesi, recentemente levati dal senato cartaginese e di dubbia utilità sul campo, 12.000 mercenari tra Liguri, Celti, Balearici e Mauritani più 4.000 Macedoni. La cavalleria contava 2.000 cartaginesi e 2.000 numidi. A questi si aggiungevano 80 elefanti africani delle foreste, più piccoli di quelli delle savane, ma comunque pericolosi.

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Gli schieramenti

I due eserciti si schierarono in una vasta piana priva d’impedimenti, luogo ideale per lo svolgimento di una grande battaglia campale.

Annibale schierò il suo esercito su tre linee, tenendo in considerazione la qualità delle sue truppe. Davanti all'esercito erano schierati gli elefanti da guerra nella speranza di mettere in disordine le prime linee della fanteria romana. In prima linea i vari nuclei di mercenari o alleati italici, galli e liguri, molti di questi erano sempre stati travolti dai legionari e avevano seguito a malincuore il condottiero cartaginese, ormai stanchi della guerra. A questi Annibale sapeva che poteva chiedere soltanto un impeto iniziale che si sommasse a quello degli elefanti, non certo una resistenza ad oltranza. La seconda fila, a poca distanza dalla prima, era formata dalle reclute africane, cioè da quei contingenti frettolosamente arruolati da Cartagine per fronteggiare l’invasione romana. Anche da questi non ci si poteva attendere molto, privi di esperienza e addestramento adeguati, erano in grado di affrontare i romani solo dopo l’intervento di elefanti e mercenari. In terza fila, distante oltre uno stadio dalle prime due (circa 178 metri), Annibale aveva tenuto i suoi veterani d'Italia pronti a intervenire anche con manovre tattiche più complesse e magari sferrare il colpo decisivo. Sulle ali la cavalleria, su cui Annibale non faceva molto affidamento se non quello di riuscire a neutralizzare e bloccare la cavalleria romana, superiore in numero e addestramento. Quindi uno schieramento differenziato tra le truppe opportunamente studiato, elefanti e mercenari costituiranno la prime due ondate in successione, le reclute africane costituiranno un sostegno e un rincalzo, in riserva i veterani per scontrarsi contro le forse romane ormai logore.

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Anche Scipione aveva schierato le sue forze su tre linee, come di consueto. Ma, invece di alternare i manipoli nella solita formazione a scacchiera, dispose i manipoli in colonna per creare delle "corsie" di scorrimento in cui far incanalare il prevedibile attacco degli elefanti. Perciò in prima linea pose i manipoli degli hastati, coi velites che mascheravano gli intervalli delle "corsie" e a fare da esca: sarebbero stati loro ad assorbire il primo impatto con gli elefanti, avevano l’ordine di spostarsi quando gli elefanti fossero arrivati quasi a contatto con la fanteria lasciando così aperti i varchi e consentendo ai pachidermi di infilarsi nelle “corsie” per essere bersagliati anche ai fianchi. In seconda linea erano piazzati i manipoli dei principes, mentre quelli dei triarii, secondo la tradizione, erano di riserva in terza linea. La cavalleria romana di Caio Lelio era sulla sinistra mentre sulla destra stava la cavalleria numidica di Massinissa. Inoltre, tra le prime file dispose parecchi uomini con strumenti a percussione e trombe che avevano il compito di far rumore per spaventare gli elefanti.

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La battaglia

La battaglia, come aveva previsto Scipione, fu aperta dalla carica degli elefanti da guerra cartaginesi.

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I pachidermi però, sconvolti dal fitto lancio di giavellotti dei velites e spaventati dai suoni provenienti dalle fila romane, furono in parte ricacciati indietro e, scivolando sui fianchi delle fanterie cartaginesi, andarono a disordinare le ali di cavalleria. Vedendo la difficoltà delle ali di cavalleria cartaginesi, Caio Lelio e Massinissa ne approfittano attaccandole e, dopo una breve mischia, entrambi i contingenti della cavalleria di Annibale furono messi in fuga inseguiti da vicino dai cavalieri nemici. Gli altri elefanti ebbero più successo ma furono incanalati negli spazi lasciati dai manipoli, dove passarono senza procurare grossi danni per hastati, principes e triarii, solo i velites pagarono un prezzo pesante, messo comunque in conto da Scipione che ha ottenuto quello che voleva: la sua linea è rimasta ordinata, gli hastati sono integri e i principes non sono stati coinvolti.

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A questo punto le fanterie avanzarono e vennero a contatto, tranne i veterani cartaginesi che mantennero la posizione.
Lo scontro fu molto violento e ne nacque una mischia confusa con grandi varchi che si aprivano nella formazione dei mercenari laddove alcuni si diedero alla fuga, inoltre, la linea delle reclute africane non intervenne subito a sostegno perché il fronte era occupato dai fuggitivi ai quali fu impedito di passare per non disordinare i ranghi. Appena ebbero il fronte sufficientemente libero alcuni reparti di reclute si unirono alla mischia entrando in contatto per primi con gli hastati che avevano lasciato la posizione gettandosi all’inseguimento dei fuggiaschi. Fu necessario il supporto dei principes nei punti in cui gli hastati non avevano recuperato la posizione. Nel disordine creatosi, i romani, meglio addestrati e armati, riescono a prevalere. Le prime due file cartaginesi, ora mischiate, cominciano a ripiegare abbandonando la linea di combattimento, alcuni fuggono.

Annibale riesce a riprendere il controllo di alcune unità di reclute e mercenari e le riorganizza ai lati dei veterani, cercando così di allargare il fronte per aggirare il fianco romano. Scipione, invece, riorganizzati gli hastati che già si erano gettati all’inseguimento dei fuggitivi, fece compiere ai suoi legionari il movimento sui fianchi, già utilizzato con successo in precedenza, ma questa volta solo per estendere da entrambi i lati il fronte degli hastati non per aggirare il nemico. Il fronte romano risultò così pari o di poco superiore a quello cartaginese ma con principes e triarii, finora poco impegnati, che si trovano a combattere sulle ali contro forze più stanche, anche se gli hastati, impegnati finora nello scontro, dovevano ora vedersela con i veterani cartaginesi ancora freschi.





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Il combattimento tra le fanterie riprese e sembrava dovesse continuare ancora a lungo, con esito incerto, ma le cavallerie romane, che avevano ormai disperso i cavalieri nemici, fecero ritorno sul campo di battaglia attaccando alle spalle le truppe di Annibale. Queste, pressate da vicino dalla cavalleria romana, si diedero ben presto alla fuga. Come succedeva sempre nelle guerre dell'antichità, finita la battaglia iniziava I'inseguimento e con esso il massacro. Annibale riuscì a fuggire verso Cartagine ma aveva lasciato sul campo almeno 20.000 caduti e 10.000 prigionieri. Le perdite romane assommarono a un massimo di 4.000 uomini, metà dei quali numidi. Scipione aveva avuto la battaglia campale che cercava e con la vittoria aveva posto fine allo scontro mortale tra Roma e Cartagine.


Il video

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Le conseguenze

La vittoria decisiva nella battaglia di Zama pose fine alla seconda guerra punica (219-202 a.C.) e sancì, di fatto, la fine della potenza cartaginese nel Mediterraneo. Cartagine, la grande città di origine fenicia che col suo impero commerciale per sessant’anni aveva conteso a Roma il predominio sul Mediterraneo occidentale, era battuta. Roma costrinse la città rivale a una pace umiliante. Un trattato pesantissimo imponeva di smantellare completamente la flotta da guerra, solo poche decine di navi, infatti, erano consentite alla marina cartaginese dalle clausole del trattato; tutte le colonie cartaginesi in Spagna passavano sotto il controllo romano; la stessa politica estera di Cartagine doveva conformarsi a quella romana e la obbligava al pagamento di un pesantissimo tributo che per cinquant'anni avrebbe gravato sulla sua economia.

Mezzo secolo dopo ci sarebbe stata una terza guerra punica, culminata con la distruzione di Cartagine, ma si trattò più di una vendetta postuma da parte di Roma che di una conseguenza di un risorto pericolo cartaginese, che dopo Zama era definitivamente tramontato.

Per paura della vendetta romana la città costrinse Annibale, il suo più grande figlio, ad andare in esilio presso il re di Siria Antioco III; dopo la sconfitta di quest'ultimo contro i Romani in Bitinia, Annibale si avvelenò per non essere consegnato a Roma. La sconfitta di Cartagine costituisce il primo elemento nella costruzione di quell’egemonia romana che in qualche modo ancora segna la civiltà del nostro continente.


Pubblicato il 18/07/2009



Bibliografia:
Tito Livio, Storia di Roma, Traduzione di Gian Domenico Mazzocato, Roma, Newton & Compton, 1997;
Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 1986;
Polibio, Storie, Traduzione di M. Mari, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 1993;
Antonio Spinosa, La Grande Storia di Roma, Milano, Mondadori, 1998