Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Assedio di Sora

314 a.C.

I consoli

Marco Petelio Libone

Fu eletto console nel 314 a.C., con il collega Gaio Sulpicio Longo. I due consoli rilevato il comando dell'esercito dal dittatore Quinto Fabio Massimo Rulliano, posero l'assedio a Sora, che presero con l'aiuto di un traditore. Successivamente i due consoli rivolsero gli eserciti contro gli Ausoni, riuscendo a catturare le città di Ausona, Minturno e Vescia, grazie al tradimento di dodici nobili Ausoni. Quindi, saputo che gli abitanti di Lucera, avevano consegnato la guarnigione romana ai Sanniti, l'esercito si spostò in Apulia, prendendo la città al primo assalto. In Senato si discusse a lungo della sorte di Lucera, e alla fine si decise di inviare 2.500 coloni romani. Intanto, le voci di un'insurrezione in preparazione a Capua, portò alla nomina a dittatore di Gaio Menio Publio.Successivamente gli eserciti romani, condotti dai due consoli, affrontarono i Sanniti in campo aperto in Campania, riportando una chiara vittoria.


Gaio Sulpicio Longo

Fu eletto console nel 337 a.C. con Publio Elio Peto. Durante il loro consolato scoppiò una guerra tra i Sidicini e gli Aurunci, questi ultimi alleati di Roma. Il Senato deliberò di intervenire al fianco degli Aurunci, ma a causa di incertezze dei due consoli romani, la città degli Aurunci venne abbandonata e gli abitanti fuggirono verso Sessa Aurunca. Irritato per l'irrisolutezza dei due consoli e per la continuazione della guerra, il Senato nominò dittatore Gaio Claudio Regillense, che nominò Gaio Claudio Ortatore come magister equitum. Fu eletto console una seconda volta nel 323 a.C. con Quinto Aulio Cerretano. A Sulpicio toccò la campagna contro i Sanniti, che rientrati nelle loro città, avevano defezionato il trattato appena firmato con i romani, mentre a Quinto toccò la campagna contro gli Apuli. In entrambi i casi, i romani devastarono i territori dei nemici, senza però riuscire ad arrivare ad uno scontro in campo aperto. Fu eletto console, una terza volta, nel 314 a.C., con il collega Marco Petelio Libone. I due consoli rilevato il comando dell'esercito dal dittatore Quinto Fabio Massimo Rulliano, posero l'assedio a Sora, che presero con l'aiuto di un traditore. Successivamente i due consoli, rivolsero gli eserciti contro gli Ausoni, riuscendo a catturare le città di Ausona, Minturno e Vescia, grazie al tradimento di dodici nobili Ausoni. Quindi, saputo che gli abitanti di Luceria, avevano consegnato la guarnigione romana ai Sanniti, l'esercito si spostò in Apulia, prendendo la città al primo assalto. In Senato si discusse a lungo della sorte di Luceria, e alla fine si decise di inviare 2.500 coloni romani. Intanto, le voci di un'insurrezione in preparazione a Capua, portò alla nomina a dittatore di Gaio Menio Publio. Successivamente gli eserciti romani, condotti dai due consoli, affrontarono i Sanniti in campo aperto in Campania, riportando una chiara vittoria.Per questo successo Sulpicio celebrò il trionfo a Roma. Fu eletto dittatore nel 312 a.C., a causa della malattia che aveva colto il console Publio Decio Mure. Gaio Sulpicio approntò un esercito per fronteggiare gli Etruschi, che sembrava, si stessero riarmando contro Roma, ma in quell'anno non ci fu alcuno scontro.

La genesi

In seguito il teatro delle operazioni cambiò: dal Sannio e dall'Apulia gli eserciti vennero trasferiti a Sora, città passata ai Sanniti dopo che i coloni romani ivi residenti erano stati uccisi. Siccome l'esercito romano vi era arrivato per primo a marce forzate nell'intento di vendicare l'uccisione dei concittadini e riappropriarsi della colonia, gli osservatori disseminati lungo le strade tornarono uno dopo l'altro riferendo che le truppe sannite seguivano da presso e si trovavano ormai non troppo lontane. I Romani andarono allora incontro al nemico a Lautule. Dopo lo scontro di Lautulae, si ritornò poi all'assedio di Sora. E i nuovi consoli Marco Petelio e Gaio Sulpicio ricevettero dal dittatore Fabio il comando dell'esercito, licenziando gran parte degli effettivi avanti con gli anni e aggiungendo al loro posto nuove coorti. Ma poiché per la difficile posizione naturale della città non si riusciva a trovare un sistema abbastanza sicuro per espugnarla, e la vittoria sembrava restare o troppo in là nel tempo o esposta a rischi eccessivi, un disertore di Sora uscito di nascosto dalla città e arrivato fino ai posti di guardia romani si fece immediatamente portare al cospetto dei consoli, ai quali promise di consegnare la sua città nelle loro mani. Alle richieste dei consoli che cercavano di sapere in che modo avrebbe potuto garantire l'impresa l'uomo replicò con risposte che non lasciavano dubbi; così sembrò che le sue argomentazioni non fossero vane parole, e il disertore convinse i Romani a spostare di sei miglia dalla città l'accampamento, che adesso era invece quasi attaccato alle mura: di giorno la vigilanza delle sentinelle si sarebbe così allentata. Lui stesso poi, nel corso della notte successiva, dopo che ad alcune coorti venne data disposizione di attestarsi in un bosco sotto la città, attraverso sentieri impervi e quasi inaccessibili portò con sé dieci soldati romani sulla rocca, dove aveva raccolto un numero di aste di gran lunga superiore alle necessità di quel manipolo. C'erano anche parecchi sassi, parte dei quali si trovavano là per ragioni naturali (come sempre nei luoghi dirupati), mentre parte erano stati ammucchiati intenzionalmente dagli assediati, nell'intento di rendere più sicura la postazione.

La battaglia

L'uomo portò in quel punto i Romani, e indicando loro un sentiero stretto e scosceso che dalla città saliva fin sulla rocca disse: "Basterebbero anche solo tre uomini armati per impedire la salita all'esercito più massiccio: voi siete in dieci e - ciò che più conta - siete Romani, e tra i Romani siete anche i guerrieri più forti. Dalla vostra parte avrete la posizione e la notte, che nell'incertezza fa apparire più grosso qualunque pericolo a chi già sia spaventato. Io adesso farò in modo di seminare il panico ovunque: voi limitatevi a tenere saldamente la rocca". Detto questo, si lanciò giù di corsa gridando con quanta più voce aveva dentro: "Allarmi! Cittadini, aiuto, la rocca è in mano ai nemici! Presto, correte a difenderla!". Così gridava di fronte alle dimore dei capi, a chi incontrava e alla gente che si riversava terrorizzata nelle strade. Per tutta la città si diffuse il panico suscitato da un solo individuo. I magistrati affannosamente mandarono soldati in avanscoperta alla rocca e quando si sentirono riferire che essa era occupata da uomini (il cui numero venne esagerato) con le armi in pugno, abbandonarono ogni speranza di poterla riconquistare. Fu allora una fuga generale e precipitosa, e le porte furono sfondate dalla folla quasi del tutto inerme e appena alzatasi dal letto. Attirato dalle grida, il contingente romano irruppe attraverso uno degli ingressi massacrando la gente che correva terrorizzata per le strade.

Le conseguenze

Sora era già conquistata, quando all'alba arrivarono i consoli che accettarono la resa di quanti per motivi contingenti erano rimasti in città dopo la strage notturna e la fuga. Ne vennero condotti a Roma in catene 225, quelli cioè che l'opinione pubblica additava come primi responsabili dell'infausto massacro di coloni e della defezione. Il resto della popolazione fu lasciato incolume a Sora, dove venne insediato un presidio armato. Gli uomini deportati a Roma furono bastonati e decapitati in pieno Foro con grande gioia della plebe, cui premeva la sicurezza dei cittadini inviati nelle colonie. Dopo la conquista di Sora, i consoli trasferirono la guerra nelle campagne e nelle città degli Ausoni. L'arrivo dei Sanniti in concomitanza con la battaglia di Lautule aveva infatti favorito un'insurrezione generale, e in molte zone della Campania erano stati organizzati complotti contro Roma, tanto che neppure Capua restò esente da sospetti (anzi, l'inchiesta arrivò addirittura fino a Roma e ad alcuni dei cittadini più in vista). Per altro i Romani giunsero ad avere il controllo del popolo degli Ausoni a seguito di un tradimento, come già successo a Sora. Dodici nobili giovani provenienti dalle città di Ausona, Minturno e Vescia, dopo aver deciso di consegnare le proprie città in mano ai Romani, si presentarono ai consoli e li informarono che i loro concittadini speravano già da tempo nell'arrivo dei Sanniti e, non appena erano venuti a conoscenza dell'esito della battaglia di Lautule, considerando ormai sconfitti i Romani, avevano offerto un supporto ai Sanniti inviando uomini e armi. E adesso che i Sanniti erano stati sbaragliati e messi in fuga, si mantenevano in un rapporto di pace ambigua, e non chiudevano le porte in faccia ai Romani solo per evitare lo scoppio di un conflitto; se però l'esercito romano si fosse avvicinato, erano più che decisi a chiuderle. In una simile incertezza, sarebbe stato facile averne la meglio cogliendoli di sorpresa. Seguendo i loro suggerimenti, i Romani avvicinarono l'accampamento, e nel contempo inviarono nei dintorni delle tre città uomini armati, con l'ordine di rimanere nascosti nei pressi delle mura, e altri in abiti civili, con le spade nascoste sotto la veste e col compito di entrare in città all'alba attraverso le porte aperte. Furono questi ultimi che iniziarono a eliminare le sentinelle e contemporaneamente a dare il segnale ai compagni armati, perché uscissero in fretta dai loro nascondigli. Così vennero occupate le porte e nello stesso istante anche le tre città furono catturate, con il medesimo espediente. Ma poiché l'assalto non avvenne alla presenza dei capi, non vi fu freno al massacro, e gli Ausoni vennero decimati per un'accusa di tradimento poco affidabile, come se si fosse trattato di una guerra all'ultimo sangue.



Bibliografia:
"Ab Urbe Condita", Tito Livio, Libro IX