Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Sant'Egidio

12 Luglio 1416

Gli avversari

Braccio da Montone (Montone 1368 - l'Aquila 1424)

Braccio da Montone è il nome con cui è noto il condottiero Andrea Fortebracci; di nobile famiglia perugina (nacque da Oddo Fortebracci probabilmente nel Castello di Montone), militò sotto Alberico da Barbiano. Fautore di Giovanni XXIII contro Ladislao, ne ebbe in compenso il comando su Bologna, e nel 1416 prese Perugia divenendone signore. Approfittando di una congiura tramata a Roma per la sede pontificia, occupò la città, ma fu cacciato dallo Sforza, che batté poi nel 1420, obbligando alla pace Martino V, dal quale fu nominato vicario di alcuni territori pontifici. Ma non era che una tregua per l'ambizione di Braccio: dopo un fortunato intervento nel Napoletano e una rinnovata pacificazione col papa, si diresse contro l'Aquila, posizione chiave del dominio pontificio. Martino V riuscì a coalizzargli contro buona parte d'Italia, e, nonostante la morte improvvisa dello Sforza, la guerra fu perduta da Braccio, mortalmente ferito (giugno 1424) sotto le mura della città. La sua opera politica si dissolse con la morte, ma sopravvisse la sua scuola militare con i bracceschi.


Carlo I Malatesta (Rimini 1368 - Longiano 1429)

Figlio di Galeotto fu Condottiero di Gian Galeazzo Visconti, alla morte del quale raccolse dei Consigli per il successore Giovanni Maria. Morto il duca Giangaleazzo nel 1402, infatti egli volle partecipare alla lega contro i suoi figli e quale vicario della Chiesa si preparò a ritogliere Bologna dalle mani dei Visconti. Dopo aver fatto incursioni nel territorio di Parma, fino alle rive della Lenza, tentò a tradimento di entrare a Bologna, ma venne respinto ed inseguito dalle milizie di Facino Cane, delle quali peraltro seppe sbarazzarsi, obbligandole a ritirarsi dentro le mura della città. Nel 1407 venne nominato tutore del nipote Gianfrancesco Gonzaga nella guida della signoria di Mantova in attesa della sua maggiore età. Servì quale capo dell'esercito i perugini contro Braccio da Montone, nel 1416, ma nella battaglia di Sant'Egidio sul Tevere, dopo otto ore di accanito combattimento, coperto di ferite, venne fatto prigioniero. Servì la signoria di Firenze contro Filippo Maria Visconti, ma nella battaglia di Zagonara del 1424, presso Faenza, ancora una volta cadde nelle mani dei nemici. Condotto a Milano fu trattato con deferenza e lasciato libero. Morì nel suo castello di Longiano nel 1429, dopo aver fatto fiorire il suo dominio di commerci e di industrie, specialmente l'ingrandimento del porto sulla Marecchia.

La genesi

Nei primi anni del XV secolo, ad assurgere al sommo prestigio tra i condottieri nell'Italia centro senttentrionale si presentò perugino Braccio da Montone. La nobile famiglia dei Fortebraccio era una delle più potenti casate di Perugia. Il luogo di origine dei Fortebraccio era il paese di Montone, ma erano ormai due secoli che essi avevano preso dimora in Perugia. Andrea d'Oddo Fortebraccio era nato nel 1368, un anno prima dello Sforza, e già nei suoi primi anni cominciò a chiamarsi Braccio. Fin dalla sua prima impresa militare, dove per la sua impetuosità fu fatto prigioniero, il coraggio e l'audacia lo resero famoso. Doveva però passare molto tempo prima che gli riuscisse di diventare un condottiero. Tale ritardo dipese in parte probabilmente dai suoi modi temerari che non andavano a genio ai condottieri anziani sotto i quali ebbe a militare. Tuttavia, la ragione più plausibile fu un'altra: subito dopo il 1390 la famiglia dei Fortebraccio era venuta a contesa con i Mìchelotti, che avevano preso il sopravvento in Perugia; i Fortebraccio avevano dovuto prendere la via dell'esilio, perdendo anche i loro possessi di Montone. Braccio, dunque, non potè avere a disposizione un luogo di reclutamento e per tanta parte della sua esistenza fu un esule e un capo di esuli.

Braccio rimase seriamente ferito alla testa nel suo secondo fatto d'arme, restando per un certo periodo paralizzato. Dopo di allora camminò sempre zoppicando. Ma il suo aspetto era imponente, essendo egli dì statura superiore alla media e tale, se diamo retta ai suoi contemporanei, da farlo sovrastare tutti quando era insieme ad altri. Con un piccolo seguito militò prima agli ordini di Alberigo da Barbiano e al soldo di Firenze nell'ultimo decennio del Trecento, e di nuovo sotto Alberigo nel 1405, ma ancora solo con dodici lance. Ogniqualvolta se ne presentava l'occasione, Braccio si univa agli esuli perugini cercando con loro di recuperare la posizione perduta a Perugia e la facilità con cui, a causa dei suoi interessi perugini, abbandonava il servizio dì chi lo aveva assoldato gli rese più arduo acquisire una buona reputazione come condottiero. Così a 37 anni Braccio, quando già lo Sforza era uno dei comandanti in capo dell'esercito fiorentino, aveva ancora il grado di caposquadra di cavalleria. Ma nel 1406 venne la svolta che decise della sua carriera. Dopo alcuni fortunati fatti d'arme con Alberigo (che gli procurarono rispetto e invidia da parte dei colleghi) Braccio si mise da solo, ben deciso a farsi largo. Una serie di operazioni ricattatorie nei confronti di alcune piccole città gli procurò denaro e con questo cominciò a formare una sua compagnia, il cui nerbo, tuttavia, egli volle sempre formato da esuli perugini.

Nel 1407 Roccacontrada, paese delle Marche, gli offrì la signoria in cambio della protezione da Lodovico Migliorati e così Braccio poté finalmente procurarsi una base stabile di operazione. Negli anni seguenti perseguì nell'irrobustimento della sua compagnia passando da una parte all'altra nel conflitto tra Ladislao e l'alleanza angioino-pontificia. Ma al centro delle sue mire c'era sempre Perugia ed egli continuò per questo a perdere occasioni di migliorare la propria posizione. Diversamente dallo Sforza, Braccio fu sempre un condottiero indipendente, ma il suo rovello non fu l'aspirazione ad un proprio stato, ma l'aspirazione ad uno stato preciso e cioè alla propria città natale, nella quale era deciso a far ritorno solo in veste di signore. Nel 1414 papa Giovanni XXIII nominò Braccio capitano generale della Chiesa e conte di Montone. Così aveva raggiunto una posizione che lo portava a porsi come rivale dello Sforza, che era allora a capo dell'esercito di Napoli. Tuttavia fu solo due anni dopo, nel 1416, che giunse per Braccio l'ora decisiva. Potendo ormai disporre di grandi forze e avvalendosi della sua autorità di capitano generale della Chiesa e allo stesso tempo profittando dell'assenza dell'autorità pontificia nello Stato della Chiesa (si teneva allora il Concilio di Costanza), Braccio lanciò l'attacco finale a Perugia. I perugini ricorsero per aiuto a Carlo Malatesta, che marciò in loro soccorso con un esercito di cinquemila uomini. Lo scontro avvenne a Sant'Egìdìo: non fu una grande battaglia, se si guarda al numero dei soldati che vi furono impegnati, ma risultò decisiva per Perugia, e fu una singolare dimostrazione dei metodi di Braccio.

La battaglia

Il segreto della tattica praticata da Braccio va scorto, come nel caso dello Sforza, nella sua capacità di controllo sui propri soldati durante il combattimento. Ma l'analogia tra i due condottieri termina qui. Infatti Braccio riteneva utile suddividere il suo esercito in tante piccole squadre da lanciare poche per volta nel folto della mischia. Così facendo non solo gli era più agevole avere sotto il suo personale controllo l'andamento della battaglia, ma anche attuare una rotazione delle forze a disposizione, che in tal modo, anche durante il combattimento, potevano fruire di pause per riposarsi. Avveniva così che i suoi soldati combattevano accanitamente per brevi lassi di tempo e poi sì ritraevano cedendo il posto ad una squadra riposata. Questo, unito all'audacia naturale di Braccio, produceva la velocità di manovra e il valore dei bracceschi. Nella battaglia di Sant'Egidio, che si combatte in una calda giornata nel cuore dell'estate, Braccio aveva avuto la preveggenza di predisporre proprio dietro le linee una grande quantità di botti d'acqua. Pur protraendosi per ore il combattimento, i suoi soldati poterono così essere più rinfrescati e vigorosi di quelli del Malatesta che procedevano in formazione serrata in conformità di un piano già predisposto. È significativo che Carlo Malatesta, avendo disposto i suoi in un grande semicerchio per attirarvi gli impetuosi bracceschi e poi chiuderli in mezzo, si fosse ritirato in retrovia nella propria tenda pensando che una volta iniziato il combattimento ben poco fosse quello che gli restava da fare. Braccio sfuggì alla trappola fin troppo scoperta che il Malatesta gli aveva preparato, tenne sotto continua pressione tutto lo schieramento nemico e infine, quando vide i soldati dell'avversario stanchi e ormai incapaci di conservare la coesione dei reparti, lanciò le proprie riserve per lo sfondamento definitivo. Carlo Malatesta fu travolto dai suoi in fuga e fatto prigioniero. Trecento furono i morti rimasti sul terreno.

Le conseguenze

La battaglia di Sant'Egidio rese Braccio padrone di Perugia e di molte delle città vicine. Così si era creato uno stato proprio, al cui reggimento dedicò poi sempre parte dell'anno per il resto della sua vita. A Perugia fece erigere molti edifici e impiegò i suoi soldati per Pescavazione di un canale che servì a drenare parte della piana umbra liberandola dalle acque stagnanti, convogliate nel Trasimeno. Ovvio, tuttavia, che in cima ai suoi pensieri stessero le difese militari. A tal fine riorganizzò la milizia perugina, indisse tornei e le tradizionali «sassaiole» che i perugini praticavano per le strade: l'obiettivo era di tenere alto lo spirito militare dei suoi sudditi. La sua compagnia fu sempre più costituita di soli umbri e così prese l'aspetto di una forza armata nazionale. La compagnia non fu mai lasciata infiacchire nell'ozio, perché Braccio ogni anno scese in campo o per difendersi dalle insistenti pressioni di papa Martino V o per partecipare alle guerre intestine del regno di Napoli contro lo Sforza. Braccio seppe mantenere intatto il suo posto, nonostante l'azione del papa per toglierlo di mezzo. Da ultimo, tuttavia, furono proprio forze pontificie e napoletane congiunte ad avere ragione di lui nel giugno del 1424 nei pressi dell'Aquila.