Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Kalavrye

1078

Gli avversari

Niceforo Briennio il Vecchio.

Niceforo Bryennios il Vecchio, latinizzato come Niceforo Briennio, era un generale bizantino che ha cercato di imporre se stesso come Imperatore alla fine dell'XI secolo. I suoi contemporanei lo definirono come il miglior tattico dell'impero. Niceforo si fece strada velocemente tra i ranghi militari bizantini, al punto che gli venne dato un comando importante da Romano IV nella battaglia di Manzicerta nel 1071. Comandante dell'ala sinistra delle forze bizantine, fu uno dei pochi generali che si distinse in quella battaglia. Nel 1072-1073, fu duce della Bulgaria, che riportò sotto il pieno controllo bizantino, in seguito ad una serie di rivolte. Successivamente ricoprì la posizione di duce a Durazzo. Entrato in circa, nel 1077, Niceforo, fu disgustato da trattato di Michele VII con i turchi selgiuchidi, in cui ampie fasce di Anatolia venivano consegnati al nemico, considerando definitivamente inefficace e inetto Michele VII stesso. La debolezza dell'imperatore, l'avarizia dei suoi principali ministri, e la scoperta che un ministro di Michele, Niceforizo, lo aveva accusato d'assassinio, gli diede la scossa finale per tentare di imporsi sul trono. Raccolto un esercito di Traci, bulgari, macedoni, Schiavoni, italiani, Franchi, Uzes e Greci, nel novembre 1077 le sue forze raggiunsero le mura di Costantinopoli. Incurante per la sorte degli abitanti di Costantinopoli, ha permise alle sue truppe di saccheggiare e bruciare le periferie della città. La condotta dei suoi uomini gli crearono una tale avversione nella cittadinanza stessa che il detestato Michele fu in grado di togliergli l'assedio e costringerlo a ritirarsi in Tracia, con la scusa di un'incursione Patzinacese (Peceneghi) in Tracia come copertura.

La sua debolezza politica consentì a Niceforo III Botoniate di diventare imperatore, che offrì a Bryennios il titolo di Cesare, se si fosse sottomesso a lui. Briennio ovviamente rifiutò, e Botoniate inviò il giovane Alessio Comneno contro di lui con un esercito composto da Greci, Franchi e cavalleria mercenaria turca. Nonostante fosse in possesso di un esercito significativamente superiore, nella battaglia di Kalavrye, vicino al fiume Halmyros, Briennio fu sconfitto, catturato e accecato. Così, visto che non rappresentava più una minaccia, Niceforo III gli restituì le sue proprietà e i suoi beni, dandogli perfino nuovi onori. Briennio apparentemente si ritirò nella sua base di Adrianopoli; ma nonostante la sua cecità, guidò la difesa della città contro un attacco Cumano nel 1094-1095, guidato da un pretendente che sosteneva di essere Costantino Diogene, figlio di Romano IV Diogene, che era morto nel 1073. Il più noto dei discendenti di Briennio fu il generale e storico Niceforo Briennio, che sposò proprio la figlia dell'imperatore Alessio I Comneno, Anna Comnena; ma a tutt'oggi non è ancora chiaro se si trattasse di suo figlio o di suo nipote.


Alessio I Comneno, imperatore di Bisanzio

Di famiglia greca patrizia, originaria di Comne presso Adrianopoli, ricca poi di vasti possessi in Anatolia, nel bacino del Qizil Irmatl, a Qastamuni. Il padre, Giovanni, era fratello del famoso generale Isacco Comneno, riuscito, sebbene per poco, a cingere la corona imperiale (1057-59). La madre, Anna Dalassena, donna abile e ambiziosa, rimasta sola dopo la morte di Giovanni (1067) ad allevare gli otto figli, nulla tralasciò per portarli ad alti uffici. Alessio, nato nel 1048, fu messo in evidenza, dopo un tirocinio militare in Anatolia, dal matrimonio con una principessa imperiale, Irene Ducas, che lo fece padre di numerosi figli: Giovanni, Andronico, Isacco, Anna, Maria, Eudossia, Teodora. Con grande abilità seppe Alessio, consigliato dalla madre, attraversare l'agitato periodo del governo di Niceforo III. Poi, fattosi capo del partito Ducas e adottato dall'imperatrice Maria, consorte successivamente di Michele VII e di Niceforo, si fece proclamare imperatore a Shiza (Tracia), e facilmente occupò la capitale, facendosi incoronare in Santa Sofia col giovanissimo Costantino Ducas, figlio di Michele VII (marzo 1081). All'avvento di Alessio I, l'impero bizantino pareva prossimo a scomparire. Con l'invasione selgiuchida, i Bizantini avevano perso quasi tutta l'Anatolia e le stesse città di Nicea e di Nicomedia; le provincie balcaniche erano turbate dalle incursioni dei Peceneghi, dai Polovzi, tribù mongole della Russia meridionale, e dalle aspirazioni d'indipendenza dei Croati e Serbi; a Occidente, i Normanni avevano occupato tutta l'Italia bizantina e la Sicilia, e da Bari adocchiavano la Macedonia. Nel 1081 questi ultimi erano il pericolo più urgente. Roberto il Guiscardo, d'accordo con il papa Gregorio VII, stava preparando una spedizione contro la scismatica Bisanzio: pretesto era la difesa di uno pseudo-Michele VII, rifugiatosi in Italia, e della figliuola, che Roberto aveva data, il 1075, in isposa al vero Michele VII. Nella primavera 1081 s'iniziò l'offensiva normanna. Occupata Aulona (Valona) e Corfù, Roberto assediò Durazzo. Alessio, affidato il trono all'energica madre, accorse in Macedonia: ma gli scarsi mezzi finanziari, le poche milizie, pur rinforzate da un corpo di 7000 ausiliari turchi, non permisero di salvare Durazzo, arresasi il 21 febbraio 1082. Più abile nella diplomazia che nelle armi, Alessio riuscì, in cambio di privilegi commerciali, ad avere, contro i Normanni, l'alleanza di Venezia e, contro il papa, l'appoggio di Enrico IV. Cercò anche di far insorgere la Puglia. Cosicché, quando Roberto il Guiscardo dové tornare in Italia per soccorrere Gregorio VII, Alessio attaccò le sue genti d'arme guidate dal figlio. Boemondo, rimasto al comando delle milizie normanne, lo sconfisse presso Larissa, e lo respinse fino al mare (1083). Nel 1084 Roberto ricomparve in Macedonia, rioccupò Aulona e Corfù, sconfisse una flotta veneziana. Ma improvvisamente venne a morte (17 luglio 1085), e i figli abbandonarono l'impresa. Alessio poté allora rivolgere la sua attenzione ai Turchi, ne rintuzzò gli attacchi sulle coste del Mar di Marmara, iniziò l'offensiva contro Nicomedia e Nicea. Dové fronteggiare anche i minacciosi Peceneghi, e riuscì, alleato coi Polovzi, a schiacciarli sulla Marizza (1091). Poco dopo, fattisi prepotenti i Polovzi, distrusse pur essi ad Anchialo (1094). Negli stessi anni Alessio cercò anche d'imporsi con le armi ai vari capi serbi, come Bodin e Volkan, senza tuttavia riuscirvi appieno.

Dal 1096 l'attenzione dell'imperatore si volse tutta alle provincie orientali, ove l'intervento dei principi d'Occidente aveva determinato una situazione grave. Si è fatta ad Alessio e ai Greci tutti l'accusa di avere spinto i principi cristiani alla crociata e di averne poi provocato il fallimento. La critica moderna ha dimostrato la falsità di queste accuse. Alessio adottò con i Latini una politica ben chiara e coerente con le tradizioni imperiali: s'illuse, cioè, di poter volgere a pro dell'Impero il vasto movimento e servirsi dei principi, nei quali vedeva altrettanti avventurieri assoldati o vassalli, per rioccupare i territori perduti in Oriente. Le bande di Pier l'Eremita e di Gualtieri Senzavere egli accolse e trasportò in Asia; e, contro la sua volontà, esse compirono quella marcia nell'interno, che finì con la loro distruzione. Anche i principi che giunsero a Costantinopoli nel 1096 Alessio ospitò e vettovagliò, promettendo di prender parte alla spedizione; ma chiese che gli giurassero fedeltà e s'impegnassero a consegnargli le terre di diritto bizantino che riuscisse loro di conquistare. Accompagnò poi i crociati sulla costa anatolica nel 1096, e partecipò con sue milizie all'assedio di Nicea. Ma quando i Latini stavano per saccheggiarla, egli l'occupò, salvandola dal saccheggio, e ricompensò i Crociati secondo l'accordo. Mentre un corpo imperiale seguiva la spedizione latina, Alessio I approfittò del turbamento dei Turchi per ricuperare tutte le coste anatoliche sull'Egeo ed in Cilicia; ma la mancanza di un'intesa coi crociati impedì il ricupero dell'altipiano centrale, che rimase in possesso dei Selgiuchidi di Iconio. Grave colpo all'alleanza franco-bizantina fu l'occupazione di Antiochia per parte di Boemondo, sebbene i crociati ne avessero promesso la restituzione all'Impero. Alessio approfittò delle lotte sorte fra i principi latini, e, alleato prima di Raimondo di Tolosa, poi del figlio Bertrando, riuscì ad isolare Boemondo. Ma questi riuscì a presentare l'imperatore come nemico ai Latini e come traditore. I rapporti fra Alessio e i crociati si fecero ancor più difficili dopo la costituzione degli stati latini di Siria, desiderosi d'indipendenza da Bisanzio. Nel 1107 Boemondo organizzò una nuova spedizione contro l'Impero e da Bari sbarcò a Durazzo; ma, bloccato e costretto a chiedere pace, dové dichiararsi vassallo dell'imperatore, che portò il confine, in Oriente, sino al Tauro. Anche Bertrando, conte di Tripoli, acconsentì ad essere vassallo imperiale. Nel 1110 e negli anni seguenti, Alessio riuscì a respingere nuove scorrerie turche su Nicea e Pergamo, ricuperando i territori ad ovest della linea Sinope Gangra, Ancira, Filomelio.

Attraverso tante guerre, Alessio, con un lavoro silenzioso, minuto e continuo, era venuto riordinando lo stato. Provvide alla flotta, all'esercito, alle finanze, svolgendo una politica fiscale energica a danno della grande proprietà secolare ed ecclesiastica. Dopo avere nei primi anni bandito amici e nemici, abilmente seppe schiacciare tutte le opposizioni di corte e di parte. Tolse di mezzo il giovane collega Ducas, si liberò dell'influsso dell'imperatrice Maria Ducas e dell'invadente madre; contro la moglie e la prima figlia Anna sostenne i diritti del figlio Giovanni; scoprì e punì le numerose congiure, vecchie famiglie patrizie distruggendo, nuove famiglie devote innalzando. Così raggiunse il suo scopo di restaurare lo stato, sotto la guida di una dinastia ereditaria, e la sua organizzazione assolutistica frenò lo sviluppo delle forze che tendevano a disgregare l'Impero. Morì il 16 agosto 1118 in Costantinopoli, nel palazzo di Mangana, e fu sepolto nel monastero del Philanthropos.

La genesi

Di due rivali che avevano preso il nome d'imperatori, il più debole ed il meno capace di governare era stato il più fortunato. Brienne, più giovane e più attivo, regnava nell'Illirico e nella Macedonia: ma essendo stato mal secondato, non aveva potuto impadronirsi della capitale. Botaniate, la di cui naturale freddezza si era anmentata coi ghiacci della vecchiaia, non aveva altre forze che quelle che riceveva da Borilo e da Germano. Costoro nati nella schiavitù, divenuti mercè la loro accortezza i confidenti e finalmente gli arbitri del loro padrone , disponevano sotto il nome di Botaniate di tutto l'impero. Questo principe avendo a fronte un avversario non meno caro ai popoli per la sua inclinazione benefica, che formidabile pel suo valore, procurò di superarlo colla liberalita. Gl'imperatori avevano due sorgenti di ricompense per pagare i servizii, cioè le dignita e le pensionima Botaniate avvilì la prima, profondendo gli uffizii a quelli che li chiedevano senza meritarli; ed esaurì la seconda,versando il denaro a piena mano senza discernimento e senza economia - talché il tesoro publico, reso già molto povero a motivo della cattiva amministrazione dei regni precedenti e delle scorrerie dei Turchi, che s'impadronirono delle rendite dell'Asia, si trovò ben presto fuori di stato di supplire alle spese le più necessarie. Bisognò quindi ricorrere alla più miserabile fra tutte le risorse, a quella cioè d'alterare le monete; e gli sforzi mal intesi fatti da Botaniate per conciliarsi l'amore dei suoi sudditi, altro non gliene tirarono addosso che il disprezzo e l'odio. Niceforizo doveva all'impero una strepitosa soddisfazione per i mali che gli aveva fatto soffrire; e la storia deve alla posterita il consolante racconto del gastigo dei tiranni. Questo ministro fuggitivo, ritirato presso d'Urselo, voleva impegnarlo a darsi a Brienne, contro di cui lo aveva spedito egli stesso con un numero di soldatesche; ma avendolo trovato poco disposto a seguire il suo consiglio, lo fece perire per mezzo del veleno, di cui sapeva far uso. Gli amici d'Urselo lo arrestarono, e lo condussero a Botaniate, il quale si contentò di relegarlo nell'isola d'Ostia; ma Borilo e Germano, che gli succederono in qualità di favoriti, temendo che questo uomo artificioso non rientrasse in grazia del loro padrone, e non occupasse il loro posto, persuasero al principe, che Niceforizo possedeva immensi tesori, e che aveva fatto passare nei suoi scrigni tutto il denaro dell'impero. Fu adunque inviato Straboromano per interrogarlo, e per obbligarlo alla restituzione, senza però sottoporlo ad alcun maltrattamento. Tale era l'intenzione dell'imperatore; ma i due ministri e lo stesso principe fecero porre Niceforizo alla tortura, sebbene egli si offrisse a restituire tutto; ed adempirono così bene alla loro commissione, che questo infelice spirò nei tormenti.

In tal tempo Brienne seguito dalle truppe della Macedonia, della Tracia e dai Patzinacesi suoi alleati marciava verso Costantinopoli. Botaniate temendo un incontro così pericoloso nei principii del suo regno, tentò un accomodamento, e ne incaricò Straboromano suo congiunto e Cherorfatte congiunto di Brienne, i quali lo incontrarono nella Mesia presso di Teodoropoli. Brienne, avvertito del loro arrivo, s'inoltrò loro incontro accompagnato dai primarii uffiziali, montato a cavallo e rivestito di tutte le insegne della dignita imperiale, che risaltavano maggiormente per il suo nobile aspetto ed alta statura. I deputati essendogli avvicinati con rispetto, gli presentarono una lettera dell'imperatore concepita nei seguenti termini: « Io ho conosciuto vostro padre , il quale si è segnalato con gloriose imprese contro i nemici dell'impero. Era legato con esso per mezzo della più intima amicizia, e l'ho accompagnato nelle di lui spedizioni. So che siete un degno erede delle di lui eminenti qualità; e giacche la Provvidenza mi ha collocato sopra il trono, voglio esservi padre, e bramo in voi di trovare sentimenti di figlio. Accettate insieme col titolo di Cesare il secondo posto nell'impero ed il diritto al primo, che la mia vecchiaia non vi lascerà lungamente desiderare ». Brienne rispose, che accettava le di lui offerte, e che avrebbe consentito a porre immediatamente fine alla guerra civile; ma che si sarebbe rimproverato come una ingratitudine inescusabile non dividere i frutti della pace coi valorosi che gli avevano sagrificati i loro servizii; che quindi esigeva che l'imperatore s'impegnasse con una irrevocabil promessa a conservar loro gli stessi gradi che i medesimi avevano nella sua armata; che sotto a tal condizione si sarebbe contentato della dignità di Cesare, come erede presuntivo dell'impero; e che desiderava solamente di ricevere dall'imperatore il titolo di figlio adottivo, e dal patriarca la corona di Cesare fuori di Costantinopoli in Democranea nella Tracia. Avendogli i deputati domandato perché non voleva che questa angusta cerimonia si facesse secondo l'uso nella capitale, ei rispose, che per verità non temeva altri che Dio; ma che diffidava di quelli che si trovavano intorno all'imperatore. Questo bastò perché fossero avvertiti i due ministri di avere in Brienne un capitale nemico. Quindi essi risolverono di render vano questo progettò; e vi riuscirono senza molta pena, esagerando al principe l'audacia di Brienne, il quale pretendeva d'obbligarlo ad incoronare la ribellione, a ricompensare uomini che meritavano di essere puniti, e abbandonarsi ad una folla di neunci, dai quali sarebbe stato circondato fino dentro il proprio palazzo. Furono quindi spediti due volte gli stessi deputati per impegnare Brienne a desistere da tal pretensione: ma non avendo i medesimi ottenuta cosa alcuna, furono finalmente licenziati con segni d'impazienza, e sarebbero stati oltraggiati dai soldati, se gli uffiziali non ne avessero frenata l'insolenza.

Ad altro allora più non si pensò, che alla guerra. Alessio, rivestito del titolo di nobilissimo e di primo domestico, fu posto alla testa delle truppe che si poté riunire, e che erano in assai piccolo numero. Tutto l'Occidente seguiva Brienne, mentre le scorrerie continue dei Turchi tenevano impiegate la maggior parte delle forze dell'Oriente sopra tutte le frontiere dell'Asia Minore. L'armata d'Alessio non era composta se non di Chomatenesi, di quelli che erano chiamati immortali, e d'alcune partite di Francesi passati dall'Italia in differenti tempi sotto i valorosi capitani normanni dei quali si è già fatta menzione. Si trovavano di questi Normanni nei due eserciti; poiché tali venturieri, indifferenti riguardo alle querele dei Greci, non cercavano se non di battersi, senza altro interesse che quello dello stipendio e del bottino. I Chomatenesi erano gli abitanti del monte Tanro presso le sorgenti del Meandro, così chiamati dalla città di Clioma loro capitale, ed avevano riputazione d'uomini valorosi; e gl'immortali erano una nuova milizia scelta ed addestrata con attenzione in tutti gli esercizi i della cavalleria. Si aspettava un nuovo soccorso di Turchi, ch'era stato promesso da Solimano; ma prima che questi fossero giunti , Alessio ricevè l'ordine di partire, e di andare incontro a Brienne, che si avvicinava con forze superiori. Si aveva nondimeno tanta fiducia nell'esperienza militare d'Alessio, che gli si raccomandò di dar battaglia alla prima occasione. Egli accampò nella Tracia sopra i lidi del fiume Almira, ed ebbe cura d'appostarsi in maniera, che i due campi non potessero scuoprirsi l'un l'altro, per timore che l'aspetto dei nemici, troppo superiori di numero, non abbattesse il valore dei suoi, e che la cognizione della sua debolezza non aumentasse quello de' suoi nemici. Ei fidava assai meno nella forza delle sue truppe, che negli stratagemmi militari e nella sua diligenza di profittare dei momenti e della situazione dei luoghi. Per procurarsi un campo di battaglia più favorevole, passò ad appostarsi in un sito chiamato Calabrya, vale a dire le belle fontane, dove l'ineguaglianza del terreno gli dava la maniera di preparare imboscate.

Le forze in campo e gli schieramenti

Brienne, a cui la situazione del nemico chiudeva tutti i passi, andò a cercarlo; ed essendosi schierato in ordine di battaglia, diede il comando dell'ala destra al suo fratello con cinquemila uomini tra fanti italiani e cavalleggeri tessali, ai quali aggiunse alcune partite di truppe bene agguerrite: Tarchamote comandava all'ala sinistra, formata di tremila Traci e Macedoni gravemente armati; Brienne si era posto nel centro alla testa della cavalleria della Tracia e della Macedonia e delle truppe della sua guardia, che erano le migliori milizie dell'armata. Questi squadroni ricoperti di corazze e d'elmi di ferro terso lucente, rilevati da alti pennacchi che ondeggiavano sopra la loro testa, abbagliavano gli occhi, ed atterrivano collo strepito delle lance con cui essi percuotevano gli scudi; Brienne nel mezzo, sovrastando loro colla testa, gl'incoraggiva coi suoi sguardi e col suo fiero contegno. A fianco dell'armata e dueceutocinquanta passi in distanza vi era un corpo di Patzinacesi, incaricati, quando era già incominciato il combattimento, di girare intorno all'armata nemica, e di attaccarla alla coda, mentre il rimanente delle truppe avrebbe fatti tutti gli sforzi possibili per disordinarla davanti. Tale era la disposizione dell'armata di Brienne. Alessio nascose in alcune strade incavate al fianco del campo di battaglia una parte de' suoi, con ordine di non uscirne fino al momento in cui il nemico fosse passato nell'altra parte; di fare allora una sortita, di caricarlo prima alla coda, e di volgere inseguito ogni sforzo contro l'ala destra. Ei si pose alla testa degl'immortali e dei Francesi; e diede a Catacalone il comando dei Chomatenesi e dei Turchi, raccomandandogli d'osservare tutti i movimenti dei Patzinacesi, e di prevenirli.

La battaglia

Essendo tutto pronto per la battaglia, Brienne s'innoltrò in buon ordine per attaccare Alessio, il quale lo aspettava a pie fermo. Quando egli fu al di la della strada incavata, avendo Alessio dato il seguo alle truppe dell'imboscata, queste uscirono immediatamente, e caricarono l'ala destra con tanto vigore, che la posero da principio in disordine, e successivamente in fuga. Giovanni Brienne che n'era il comandante, trasportato dai fuggitivi, ed inseguito da un soldato a cavallo, si volse indietro, e lo uccise con un colpo di lancia, riunì i suoi, li ricondusse all'assalto, e rispinse il nemico. La deserzione dei Francesi scoraggiva l'armata imperiale; i Francesi d'Alessio, invece di combattere con quelli di Brienne, erano passati sotto le loro bandiere. Nel principio della battaglia Alessio, trasportato dal focoso ardire, si era inoltrato in mezzo ai nemici, dei quali faceva una grande strage, incalzandogli sempre più, coll'idea d'essere seguito dai suoi; ma essendosi avveduto che le sue milizie erano state disfatte, e che più non gli restavano se non sei dei più valorosi uffiziali, propose loro d'andare in traccia di Brienne, e di morire ai di lui piedi; Teodoto, uffiziale non meno sensato che valoroso, lo distolse da una così districrata risoluzione, e prendendo il di lui cavallo per la briglia, l'obbligò a tornate indietro; lo che gli riuscì tanto più facile, quanto che l'armata di Brienne si trovava in disordine. I Patzinacesi avendo rovesciato Catacalone, invece di eseguire gli ordini loro imposti di attaccare il nemico alla coda, avevano stimato meglio saccheggiare il campo; ed essendosi caricati di bottino, lo trasportavano nelle loro tende. Al loro avvicinarsi i Servii, i vivandieri e tutti quelli che erano rimasti nel campo, riguardandoli come un distaccamento nemico, sorpresi dallo spavento, si erano ritirati disordinatamente nell'armata di Brienne, e l'avevano posta in confusione. Mercè il favore di questo tumulto, Alessio colla visiera abbassata, per non essere conosciuto, e colla sciabla in alto, attraversava gli squadroni nemici, allorché avendo veduto uno scudiero di Brienne condurre per mano un cavallo del suo padrone, che si distingueva per la magnificenza dell'equipaggio, urtò lo scudiere, lo rovesciò in terra, s'impadronì del cavallo, e lo consegnò ad un cavalleggere; il quale corse a briglia sciolta fra le due armate, gridando ad alta voce: Brienne è stato ucciso, ecco il di lui cavallo. Questa voce ricolmò di spavento l'armata nemica, e ravvivò il valore in quella d'Alessio. Le truppe che fuggivano, voltarono faccia, e credendosi vincitrici, lo divennero in fatti. Un fortunato accidente le favorì; essendo sopraggiunto in quel momento un nuovo rinforzo di truppe mandato da Solimano, queste si divisero subito in tre squadroni, ed attaccarono il nemico in tre differenti lati. Le milizie fresche rovesciarono facilmente le nemiche già stanche, e ravvivarono il valore in quelle d'Alessio. Uno degl'immortali, trasportato dal suo ardire, corse attraversando le guardie incontro a Brienne, lo raggiunse, e gli appoggiò la punta della sua lancia sopra il petto. Brienne la ruppe colla sciabola, e scaricando sopra il nemico un colpo terribile, gli tagliò la spalla ed una parte della corazza. Frattanto Alessio avendo collocato in un borro un corpo di truppe, si pose alla testa dei Turchi, e dopo alcuni momenti di combattimento finse di darsi alla fuga. Quando però vide il nemico giunto vicino all'imboscata, voltò faccia, e fece cenno alle truppe appostate. Queste uscirono dando in alte grida, e caricando nel fianco e nella coda i nemici; i quali dopo qualche resistenza, vedendosi incalzati da per tutto volsero le spalle. Brienne, obbligato a seguirli, si batté ritirandosi, secondato da suo fratello e da suo figlio, che in quella giornata si segnalarono. Ei si rivolse di tempo in tempo contro i nemici stessi, rovesciandosi sempre ai piedi quelli che gli erano più vicini. Finalmente essendoglisi stancato il cavallo, si fermò, e fu nel medesimo tempo assalito da due Turchi, all'uno dei quali troncò un braccio con un colpo di sciabola; e mentre si difendeva contro l'altro, quello che egli aveva ferito, saltò sopra la groppa del di lui cavallo, e lo abbracciò quanto più strettamente poté. Brienne preso per mezzo della persona, seguitò a combattere finatismo che, circondato dai Turchi che lo esortavano a risparmiare la propria vita, si arrese prigioniero; il di lui fratello si rifuggi in Andrinopoli, e tutta la di lui armata si diede alla fuga.

Le conseguenze

Dopo una così ostinata battaglia Brienne fu condotto insieme col suo figlio davanti Alessio, il quale spedì immediatamente un corriere, per rendere alla corte la notizia della vittoria e gli ornamenti imperiali che erano stati tolti al vinto. Nel giorno seguente Alessio si pose in marcia seguito dalla sua armata, per tornarsene in Costantinopoli, trattando onorevolmente il prigioniero, e consolandolo del di lui infortunio. Ei fidava talmente nella parola e nella buona fede di Brienne, che per istrada marciava in di lui compagnia molto lungi dall'armata, sovente senza guardie; e Brienne raccontava in appresso, che sentendosi ambidue stanchi, smontarono da cavallo per prendere qualche riposo: che Alessio avendo appesa la sua spada ad un ramo d'albero, si gettò sopra l'erba, e vi si addormentò; che in quel momento ei fu tentato di prendere la di lui spada, e d'ucciderlo; ma che ne fu ritenuto da un sentimento di stima e di compassione per un così generoso nemico. Prima di giungere in Costantinopoli Alessio ricevé l'ordine di porre i due prigionieri nelle mani di Borilo, e d'astenersi dall'entrare nella città; ma di partire immediatamente colla sua armata per portarsi in traccia di Basilace, il quale ad esempio di Brienne aveva preso il diadema. Alessio sebbene vedesse con rammarico che le sue fatiche erano ricompensate con nuove fatiche e con nuovi pericoli , si determinò nondimeno ad ubbidire. Brienne non trovò in Costantinopoli l'umanità che aveva trovata nel suo vincitore; lo spietato Borilo fece cavar gli occhi a lui ed al di lui figlio. L'imperatore, meno crudele del ministro, soffrì mal volentieri un tal trattamento; ma non ebbe il coraggio d'impedirlo. Questo debole principe procurò almeno di consolare Brienne nella di lui disgrazia: lo fece andare al palazzo, gli restituì i beni, glieli aumentò, e gli conferì nuove dignità.

La compassione che gl'inspirava la disgrazia di Brienne, si estese fino a quelli che avevano sostenuto il di lui partito. Egli osò in quest'occasione di contraddire al suo ministro, ed accordare loro il perdono; Alessio fu incaricato delle lettere di perdono, sottoscritte dall'imperatore e sigillate col bollo d'oro, in vigore delle quali si lasciavano ai partigiani di Brienne tutti i loro beni e dignità, sotto la condizione che i medesimi avessero deposte le armi e prestato giuramento di fedeltà. Essi profittarono quasi tutti della grazia che fu loro offerta; talché si vedevano giornalmente giungere in truppe, che Botaniate riceveva con bontà. Lo stesso Giovanni fratello di Brienne si fidò alla parola dell'imperatore, e tornò in Costantinopoli. Ei non ebbe motivo di lamentarsi del principe, ma fu la vittima del risentimento d'un soldato. Nel tempo in cui Brienne prese le armi, i Varanguesi che si trovavano in Costantinopoli, si erano arruolati sotto le di lui bandiere, ed i di loro compagni che servivano sotto Botaniate, avevano inviato uno dei loro per ridurli in dovere. Questi essendo stato scoperto ed arrestato, confessò la commissione di cui era stato incaricato, e per ordine di Giovanni Brienne gli fu tagliato il naso. Il barbaro non gli perdonò un così sanguinoso oltraggio; quindi un giorno in cui Giovanni usciva dal palazzo, gli scaricò un colpo di accetta, e gli troncò la testa. L'imperatore voleva punire l'assassino; ma tutti i Varanguesi si ribellarono, minacciando di trucidare lo stesso monarca; e bisognò, per ridurli in dovere, armare contro di loro tutto il resto della guardia. Vedendosi i più deboli, essi si sottomisero, e ricorsero alla clemenza dell'imperatore, il quale accordò loro il perdono. Botaniate avrebbe acquistata qualche stima, se non fosse stato imperatore; la storia non avrebbe parlato se non dei di lui fatti d'armi. Salito sopra il trono, o che si fosse lasciato corrompere dalla potenza suprema, o che la sua inclinazione alla dissolutezza sì fosse per l'addietro coperta sotto l'ombra della vita privata, perdé la riputazione di guerriero, già da esso acquistata, ed acquistò quella di vecchio voluttuoso, che sacrificava ad una passione imbecille le leggi divine ed umane e la più comune decenza.



Bibliografia:
"Storia degli imperatori romani da Augusto sino a Costantino Paleologo", Lebeau e Crevier, Satmperie e Carteiere del Fibreno, Napoli, 1848