Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia delle Gole del Nahr-el-kalb (antico fiume Lico)

1100

Il comandante crociato

Baldovino I, re di Gerusalemme

Figlio cadetto di Eustachio II conte di Boulogne e di Ida figlia di Goffredo II, duca della Bassa Lorena; iniziato alla vita ecclesiastica, si volse poi alle armi e seguì nel 1096 il fratello maggiore Goffredo di Buglione nella prima crociata. Ad essa partecipò attivamente: in Ungheria fu ostaggio di quel re; a Costantinopoli contrastò le pretese egemoniche dell'imperatore; all'assedio di Nicea e alla battaglia di Dorileo fu combattente valoroso. Anelando a imprese audaci e a conquiste, lasciò nel 1097 l'esercito crociato e col normanno Tancredi occupò Tarso e altre città. Poi, contese con Tancredi; e con duecento cavalieri si recò a Edessa per invito di quel principe armeno Thoros, tributario dei Turchi. Adottato come figlio, successe già nel marzo del 1098 a Thoros, caduto vittima di una congiura, e assunse il titolo di conte di Edessa. Arditamente combatté contro i Turchi di Siwas e di Aleppo e occupò Samosata e molte altre città del bacino superiore dell'Eufrate. Gli Armeni lo appoggiarono e Baldovino rimasto vedovo di Godehild di Toeni, che l'aveva seguito dalle Fiandre, sposò Arda, parente di Rupen I, principe della Piccola Armenia. Giuntagli la notizia della presa di Gerusalemme, vi si recò con audace viaggio, attraverso paesi ancora musulmani, per sciogliere il voto (1099). Designato a successore dal fratello Goffredo, fu riconosciuto re da tutti i signori latini. Cedé allora al cugino Baldovino di Bourcq la contea di Edessa. Proclamato re in Gerusalemme l'11 novembre 1100, si fece incoronare a Betlemme nel Natale. Riunì a parlamento i feudatari e mise mano a riordinare i feudi, iniziando la redazione delle Assisi di Gerusalemme. Poiché il patriarca Daiberto insisteva nella sua ostilità all'organizzazione monarchica dello stato, desiderando fare di Gerusalemme una sua signoria teocratica, Baldovino lo fece sospendere e deporre (marzo 1101). Per sistemare la conquista in uno stabile organismo, iniziò dopo il 1101 l'occupazione della zona marittima, con l'appoggio della flotta genovese, occupando le città di Arsuf (9 maggio 1101) e Cesarea (31 maggio).

Dall'Egitto si svolse allora un'energica offensiva musulmana: Baldovino vinse gli Egiziani ad Ascalona (7 settembre 1101), ma, inferiore per numero, fu vinto ad ar-Ramlah: si salvò ad Arsuf e per mare burrascoso a Giaffa, dove raccolse forze e ricacciò i nemici con l'aiuto di una flotta di pellegrini inglesi allora giunti. La figura gigantesca, il valore, l'ostentata celebrazione delle solennità resero il re presto popolare e temuto in tutto l'Oriente islamico. A Giaffa (27 agosto 1105), ad Ascalona (ottobre 1106), ad ar-Ramlah (1107) inflisse nuove sconfitte agli Egiziani, mentre a Tiberiade batteva i Turchi di Damasco (1107). Per assicurare le comunicazioni di Gerusalemme con i principati latini della Siria settentrionale, attaccò Acri nel 1103 e l'ebbe per capitolazione nel maggio 1104, mentre Tiro (maggio 1108) e Sidone (agosto 1108) furono salvate dalla comparsa di flotte egiziane o da scorrerie dei Turchi di Damasco. Fra una spedizione e l'altra, Baldovino attendeva ad organizzare il regno, assistito dal cancelliere Arnolfo. Intervemie ripetutamente nelle lotte degli stati latini del nord. Quando, nel 1109, giunse in Siria Bertrando di Tolosa, il re accorse in suo aiuto per occupare Tripoli (1 aprile 1109); pacificò poi Bertrando col conte Guglielmo Giordano e con Tancredi d'Antiochia, e questo con Baldovino d'Edessa; in soccorso del quale, gravemente minacciato dai Turchi di Aleppo, accorse nella regione dell'Eufrate nel 1110. Molto coltivò il re l'amicizia delle repubbliche marinare italiane, concedendo loro quartieri e privilegi commerciali nelle città marittime alla cui conquista avevano partecipato: Berito (Beirut) e Sidone. Tiro ed Ascalona resistettero invece energicamente a tutti gli attacchi cristiani. Dal 1112 al 1113, si svolse una nuova duplice offensiva musulmana, da Damasco e dall'Egitto. Ma essa fallì, per la mancanza di unità di azione più che per le forze cristiane. Baldovino che aveva ripudiato nel 1113 Arda, per sposare Adelaide di Monferrato, vedova di Ruggero duca di Sicilia, ripudiò poi anche Adelaide, nel 1117, quando, temendo di morire, si pentì di quel matrimonio illegale. Sebbene stanco ed esausto, Baldovino diresse una spedizione a sud verso l'Egitto: ammalatosi, volle ritornare a Gerusalemme per morirvi, ma giunto in lettiga a el-Arish, vi morì il 2 aprile. La sua salma venne deposta a Gerusalemme nel Santo Sepolcro, presso quella di Goffredo di Buglione.

La genesi

Finite le esequie di re Goffredo, nacquero gran divisioni in Gerusalemme per la successione alla suprema autorità. L'ambizioso Dagoberto che con astuzia aveva estorto da Goffredo l'allegata cessione del regno alla Chiesa caso ch'ei morisse senza figliuoli, mettendo ora in campo essa cessione, pretendeva dover succeder egli come patriarca e capo della ecclesiastica gerarchia in Oriente. Ma tutti i soldati cristiani che per esperienza avevano già conosciuto l'animo del patriarca e che paventavano forte la sua tirannica ambizione, si opposero concordemente e risolutamente alla di lui cupidità; pretestando che il regnar in Gerusalemme poco importava a chi si fosse , ma che facea mestieri d'un re che sapesse difenderla armato in campo contro gl'infedeli; non consumarla con eccessi di sacre pompe e con rapace avarizia: aggiungevano che la cessione di Goffredo avea più sembiante di favola inventata dai preti che di libero e vero atto regale; e fosse anco vera, che in tal caso dovevasi esecrare l'impietà di quelli che abusano fraudolentemente della cieca fede e sincera religione de' buoni credenti in pregiudizio loro e de' loro successori e a sola propria utilità; e che al postutto sendo patenti e instanti i pericoli del regno, non era da presumere di conservarlo se non eleggendo un re che sapesse bene maneggiar la spada e non il pastorale.

Guarniero di Gray, parente di Goffredo e altri de' principali baroni, vedendo la disposizione dell'esercito, spedirono spacciatamente deputati a Baldovino conte di Edessa, che la morte del fratello gli significassero, e a succederli nel regno l'esortassero. Occuparono nel medesimo tempo la torre di Davide e tutte le fortezze della città, che Dagoberto tentava sorprendere per fraude. Il quale vedendosi fallite le astuzie, non dubitò di ricorrere alla forza aperta, tirando nel suo partito, con ingannevoli promissioni Tancredi che erasi pur allora insignorito di Caifa. Tancredi mosse verso Gerusalemme per sostenere le pretensioni del Patriarca; ma i baroni gli chiusero le porte e posersi sulle difese. Il clero conoscendo la risoluzione dell'esercito e del popolo per non esporsi a qualche pericolo, finse abbandonare il patriarca, il quale non per questo si perse di coraggio, ma spediti messaggi a Boemondo principe d'Antiochia, supplicavalo premurosamente che, a esempio del suo glorioso padre Roberto Guiscardo che aveva liberato il romano Pontefice e sottrattolo dalle mani degli èmpi, accorresse subito a sostenere la sua causa, contro gli empi molto più scellerati che volevano contrastare alla santa chiesa la corona di Gerosolima; e soprattutto raccomandavali che non risparmiasse frodi, tradigioni e violenze per impedire la venuta di Baldovino.

Questa lettera di Dagoberto spedita nel principiare dell'agosto, non pervenne a Boemondo, il quale sendosi alquanti giorni prima partito di Antiochia per soccorrere Melitene, città che i moderni appellano Malathià, allora assediata dai Turcomanni, venne contrastato per quella strada dall'Emiro di Danismana, che ruppe e disperse le sue genti; ed egli col suo cugino Riccardo e molti suoi cavalieri preso prigione, fu condotto in Mesopotamia. Nel suo infortunio, mandava una ciocca de' suoi capelli a Baldovino supplicandolo di soccorso. Mosse prontamente Baldovino e dopo tre giorni di cammino giunse a Melitene, il che presentito dall'emiro Danismano, levato l'assedio, erasi ritirato negli suoi stati, conducendo seco i prigioni cristiani. Lo perseguitò Baldovino per alcuni giorni, ma perduta la speranza di raggiungerlo, ritornavasene a Edessa. Dove appena arrivato, presentaronseli i deputati di Gerusalemme, che gli dettero notizia della morte di re Goffredo, e come il popolo, l'esercito e il clero esortavanlo a succederli e re lo eleggevano. Baldovino mostrò fuori quel dolore che conviensi mostrare per la morte d'un fratello, e internamente si rallegrò della redata corona.

La battaglia

Fatta dunque deliberazione di partir subito per Gerusalemme, istituì conte di Edessa suo cugino Baldovino dal Borgo. Condusse seco settecento uomini d'arme, ed altrettanti fanti, e con sì piccolo esercito ebbe ardimento di traversare molti paesi occupati dai Mussulmani, con anco il pericolo di scontrarsi nelle genti di Tancredi, dal quale per certo non poteva aspettarsi amichevole accoglimento. Di fatto gli emiri di Emesa e di Damasco o prevenuti dalla fama, o siccome fu asserito da alcun vecchio cronista, instigati a ciò dal Patriarca Dagoberto, mossero a percludere il passo al nuovo re nelle difficili strade che costeggiano il mare di Fenicia. Fulcherio Carnotense, che era con Baldovino, descrive i pericoli de' Cristiani negli stretti passi di Berito e nell'imboccatura del Lico (odierno Nahr-el-kalb): "i quali dovendo passare per certa valle stretta e profonda sulla quale pendevano da meriggio e da tramontana mostruose ed altissime rupi, trovarono dall'altro canto tutta la spiaggia piena di Mussulmani". Al qual proposito dice il buon cappellano: "Noi facevamo ostentazione di coraggio e nondimeno avevamo paura; poichè ritornare addietro era malagevole, andare avanti anco più malagevole, avendo i nimici che ci minacciavano da ogni banda, non meno sopra le navi che sopra le alte rupi. Cosicché in quella giornata di tanta espettazione né gli uomini né i somieri presero riposo o nutrimento, ed io Fulcherio, avrei preferito di esser piuttosto a Carnosa o a Orleans, che di trovarmi là".

Nondimeno Baldovino con astuta strategia, trasse i nimici in una pianura lunga ed aperta, fingendo di ritirarsi; donde presero quelli maggior confidenza della vittoria, e immaginandosi che i Cristiani fuggissero, posero disordinatamente a inseguirli. Vistosi Baldovino nel luogo da lui desiderato, fé subito voltare i suoi e urtò precipitoso i nemici, che spaventati dall'inaspettata mutazione, né avendo tempo a ordinarsi gittaronsi subito a dirotta fuga, alcuni arrampicandosi per le discoscese rupi, altri correndo alle navi. Grande fu la strage degli uccisi; non piccolo il numero di quelli che affogaronsi in mare, o che caddero ne' precipizi. I vincitori fecero carne per tutto il giorno, e sopravvenuta la notte rimasersi sul campo di battaglia a dividersi la preda e i prigioni.

Le conseguenze

Così deliberati d'ogni pericolo al vegnente giorno passarono le gole del Lico (odierno Nahr-el-kalb). Di là seguitando il cammino lungo il mare, passarono da Berito, da Tolemaide e da Cesarea, e al terzo dì giunsero a Ioppe, dove la fama della conseguita vittoria avevali preceduti, e dove Baldovino, come successore di Goffredo, fu popolarmente ricevuto. Poco distante da Gerusalemme il popolo e il clero gli andarono incontro (e furonvi anco i Greci e i Siri) portando croci e torcie accese; e cantando le lodi del signore, feciono solenne accoglienza al nuovo re e lo condussero trionfalmente alla chiesa del Santo Sepolcro.



Tratto da:
"Storia delle crociate" scritta da Giuseppe Francesco Michaud, Volume 1, Firenze 1842