Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Assedio di El-Arich

8 - 19 febbraio 1799

Napoleone

Napoleóne I Bonaparte (fino al 1796 Buonaparte) imperatore dei Francesi.

Nacque ad Ajaccio il 15 ag. 1769, morì a Longwood, nell'isola di S. Elena, il 5 maggio 1821; figlio di Carlo e Letizia Ramolino. Collegiale ad Autun, Brienne, Parigi, fu poi luogotenente d'artiglieria (1785) e tentò in seguito la fortuna politica e militare in Corsica (nel 1791 era capo-battaglione della guardia nazionale ad Ajaccio, nel febbr. 1793 condusse il suo battaglione di guardie nazionali nella spedizione della Maddalena, miseramente fallita, nell'apr.-maggio 1793 prese posizione, con il fratello Luciano, contro P. Paoli, per cui dovette fuggire in Francia). Comandante subalterno nel blocco di Tolone (ott. 1793), si acquistò il grado di generale e quindi il comando dell'artiglieria dell'esercito d'Italia. Sospettato di giacobinismo per l'amicizia con A. Robespierre, subì un breve arresto; destinato a un comando in Vandea, rifiutò e fu radiato dai quadri (apr. 1795). Divenuto amico di P. Barras conobbe presso di lui Giuseppina de Beauharnais (che sposò il 9 marzo 1796); e per incarico di Barras difese energicamente la Convenzione contro i realisti (13 vendemmiale). Ottenne così il comando dell'esercito dell'interno, poi di quello d'Italia. Presa l'offensiva (9 apr. 1796), batté separatamente (Montenotte, Millesimo e Dego) gli Austro-Sardi, costringendo questi ultimi all'armistizio di Cherasco (28 apr. 1796), quelli, dopo le vittorie di Lonato, Arcole, Rivoli, e la resa di Mantova, ai preliminari di pace di Leoben (18 apr. 1797). Occupata la Lombardia, ricostituisce sul modello francese le repubbliche di Genova e di Venezia e toglie al papa la Romagna (armistizio di Bologna, 23 giugno 1796; trattato di Tolentino, 18 febbr. 1797). Poi, col trattato di Campoformio (17 ott. 1797), conferma alla Francia il Belgio e le annette le Isole Ionie, ponendo fine all'indipendenza di Venezia, il cui territorio passava all'Austria (ad eccezione di Bergamo e Brescia incorporate nella nuova Repubblica Cisalpina). Preposto, a Parigi, a una spedizione contro le isole britanniche, la devia verso l'Egitto, ove sbarca il 2 luglio 1798 e vince alle Piramidi, in Siria (ma è fermato a S. Giovanni d'Acri), ad Abukir (dove la sua flotta era stata, il 1° ag., distrutta da Nelson). Tornato in Francia con pochi seguaci (9 ott. 1799), vi compie, un mese dopo (18 brumaio), un colpo di stato, con la dispersione del Consiglio dei Cinquecento e la sostituzione del Direttorio con un collegio di tre consoli, assumendo egli stesso il titolo di primo console. Ripresa la guerra contro i coalizzati, valica le Alpi (primavera 1800), vince a Marengo (14 giugno 1800) gli Austriaci costringendoli alla pace di Lunéville (9 febbr. 1801), cui seguono profonde modificazioni territoriali in Italia (annessione alla Francia di Piemonte, Elba, Piombino, Parma e Piacenza; costituzione del regno di Etruria); conclude con l'Inghilterra la pace di Amiens (25 marzo 1802). Console a vita (maggio 1802), sfuggito alla congiura di G. Cadoudal (1803), assume su proposta del senato la corona d'imperatore dei Francesi (Notre-Dame, 2 dic. 1804) e poi quella di re d'Italia (duomo di Milano, 26 maggio 1805). Nei tre anni di pace (rotta, però, con l'Inghilterra già nel maggio 1803), spiega una grande attività ricostruttiva: strade, industrie, banche; ordinamento amministrativo, giudiziario, finanziario accentrato; pubblicazione del codice civile (21 marzo 1804; seguirono poi gli altri); creazione di una nuova nobiltà di spada e di toga; concordato con la S. Sede (16 luglio 1801). Formatasi, per ispirazione britannica, la 3ª coalizione (Inghilterra, Austria, Russia, Svezia, Napoli), la flotta franco-spagnola è battuta a Trafalgar (21 ott. 1805) da quella inglese comandata da Nelson, ma Napoleone assedia e batte gli Austriaci a Ulma (15-20 ott.), gli Austro-Russi ad Austerlitz (2 dic.) e impone la pace di Presburgo (26 dic. 1805: cessione di Venezia e altre terre austriache alla Francia e ai suoi alleati tedeschi). Assegna il Regno di Napoli (senza la Sicilia) al fratello Giuseppe, quello di Olanda al fratello Luigi, e forma la Confederazione del Reno (luglio 1806). Alla 4ª coalizione (Russia, Prussia, Inghilterra, Svezia) oppone le vittorie di Jena e Auerstedt (14 ott. 1806) sui Prussiani, l'occupazione di Berlino e Varsavia, le vittorie sui Russi a Eylau (od. Bagrationovsk, 8 febbr. 1807) e Friedland (14 giugno) cui segue la pace di Tilsit (8 luglio 1807), vera divisione dell'Europa in sfere d'influenza tra Francia e Russia con l'adesione della Russia al blocco continentale contro l'Inghilterra (bandito il 21 nov. 1806), e con la formazione del granducato di Varsavia (al re di Sassonia) e del regno di Vestfalia (al fratello Girolamo). Messo in sospetto dall'atteggiamento della Spagna, la occupa (dal maggio 1808) e ne nomina re il fratello Giuseppe (sostituendolo a Napoli col cognato Gioacchino Murat); ma la guerriglia degli Spagnoli, indomabile, logora lentamente le sue forze militari, mentre la lotta contro la Chiesa (occupazione di Roma, febbr. 1808; imprigionamento del papa Pio VII, 5 luglio 1809) gli sottrae popolarità presso ampi settori sociali. Debella quindi, non senza fatica, in Baviera (19-23 apr. 1809) e a Wagram (6 luglio) la 5ª coalizione, capeggiata dall'Austria, e impone la pace di Schönbrunn (14 ott. 1809), che segna l'apogeo della potenza napoleonica, per gli ampliamenti territoriali che il trattato e i successivi provvedimenti portano all'Impero francese e ai suoi satelliti. Coronamento della pace, dopo il ripudio della prima moglie, sono le nozze (1° apr. 1810) con Maria Luisa d'Austria e la nascita (20 marzo 1811) del "re di Roma". La Russia, allarmata per le mire napoleoniche, aderisce alla 6ª coalizione: Napoleone la invade (24 giugno 1812), vince a Borodino (7 sett.), occupa Mosca (14 sett.); ma la città è in preda alle fiamme e Napoleone è costretto a iniziare verso la Beresina una ritirata disastrosa, poi vera fuga, mentre governi e popoli di Russia, Prussia e infine d'Austria (10 ag. 1813) si sollevano contro di lui. Né l'offensiva ripresa nella Sassonia (maggio 1813), né le trattative con i coalizzati gli giovano; la sconfitta di Lipsia (16-19 ott. 1813) lo costringe a sgombrare la Germania e a difendersi sul suolo francese (inverno 1813-14). Il 31 marzo 1814 gli Alleati occupano Parigi e il 6 aprile Napoleone abdica senza condizioni accettando il minuscolo dominio dell'isola d'Elba, ove giunge il 4 maggio 1814. Ma, sospettando che lo si voglia relegare più lontano dall'Italia e dall'Europa, sbarca con poco seguito presso Cannes (1° marzo 1815) e senza colpo ferire riconquista il potere a Parigi (20 marzo). Il tentativo dura solo cento giorni e crolla a Waterloo (18 giugno 1815). Dopo l'abdicazione (22 giugno), Napoleone si rifugia su una nave inglese: considerato prigioniero, è confinato, con pochi seguaci volontarî, nell'isola di S. Elena, dove a Longwood, sotto la dura sorveglianza di Hudson Lowe, trascorre gli ultimi anni, minato dal cancro, dettando le sue memorie. Le sue ceneri furono riportate nel 1840 a Parigi, sotto la cupola degli Invalidi. La sconfitta definitiva di Napoleone ebbe per la Francia gravi conseguenze: occupata per tre anni dalle potenze nemiche, fu obbligata a pagare esose indennità di guerra; dopo un periodo di relativa pace sociale visse lo scoppio del malumore e della vendetta del mondo cattolico.

La genesi

Viene generalmente riguardata la spedizione di Siria come un tentativo fatto da Bonaparte per porre in rivolta l'Oriente; egli stesso però ce la dipinse come una operazione difensiva, l'unico oggetto della quale fu quello di porre al coperto l'Egitto dall'irruzione di un'armata turca dal lato della Siria. La guerra tra la Porta Ottomanna e la Francia era inevitabile. Come avrebbesi potuto dubitare che la conquista dell'Egitto armato non avrebbe contro di noi la Porta nostra antica alleata? Può supporsi il generalissimo sino a tal segno acciecato dall'illusione? Poco ei doveva contare sulla politica del Direttorio, incapace d'altronde di fare impressione sul Divano dopo aggressione cotanto gratuita per parte dei francesi. L'esito disgraziato della battaglia navale d'Aboukir, che seco trascinò la pressoche' totale distruzione della nostra squadra decise il Divano. Sul declinare del 1798 allestiva egli quindi due formidabili armamenti contro i conquistatori dell'Egitto, l'uno a Rodi l'altro nella Siria. La legazione francese a Costantinopoli e tutti gli agenti consolari stanziati nelle città del dominio turco furono successivaiuente dietro gli usi d'Oriente arrestati ed incarcerati. Aveva il generalissimo sino dal mese d'agosto preveduta siffatta tempesta. Volgendo ei perciò i suoi sguardi verso la Siria, e paventando gli sforzi d'Achmet governatore di Saide e di San Giovanni d'Acri inviavagli dal Cairo sotto la data del 22 d'agosto la seguente lettera: "Sbarcando in Egitto per far la guerra ai Bei, ho preso una risoluzione giustissima, e perocché erano eglino i tuoi nemici, conforme anche ai tuoi interessi, io non son venuto a portar guerra ai mussulmani. Debb'esserti noto che entrando a Malta, mia prima cura è stata quella di porre in libertà 2000 turchi, che da più anni gemevano nella schiavitù. Al mio arrivo in Egitto ho rassicurato il popolo, protetti i muftì, gl'imam, le moschee; i pellegrini della Mecca non sono stati accolti giammai con maggiori contrassegni d'amicizia e scrupolosa cura, di quello che da me lo furono, e la solennità del Profeta è stata testè celebrata con non mai più vista splendidezza. Ti rimetterà questa lettera un officiale che ha l'incarico di farti verbalmente conoscere la mia intenzione di viver teco nella migliore intelligenza, contraccambiandoci di quei vicendevoli servigi che esiger possano il commercio ed il bene degli stati, avvegnachè i mussulmani non hanno amici dei francesi più grandi"

Confidava il general supremo quella lettera al capo di stato maggiore Beauvoisin, che esercitava allora le ingerenze di commissario presso il Divano del Cairo, e davagli le seguenti istruzioni. Imbarcatosi l'inviato di Bonaparte fece vela per Giaffa, ed in seguito per San Giovanni d'Acri, ove giunse sul cominciare del settembre. Non venivagli fatto d'ottenere udienza da Djezzar, a cui inutilmente per due volte scriveva; non eragli pur anco permesso d'uscire dal bastimento, che lo aveva condotto nel porto. A bordo di quel legno scrisse quell'ufficiale una lettera al Direttorio esecutivo per rendergli conto dell'oggetto della sua missione, ed in quella lettera da lui consegnata ad un capitano raguseo che dovea prontamente salpare, ei diceva al Direttorio che era forzato ad esser laconico. Furono i suoi dispacci intercettati dalla crociera inglese e pubblicati dui giornali di Londra, ciò che altamente indispose il generalissimo contro il suo commissario. Rendeva anche più grande quel malcontento il successo infelicissimo dei negoziati. Infatti Djezzar non solo non dava alcuna risposta alla lettera fattagli pervenire nelle mani da Beauvoisin, ma a questi appena poche ore di dilazione concedeva per rimettere alla vela. Ritornava al Cairo quell'incaricato, ma caduto in disgrazia non tardava ad esser destituito e rimandato in Francia. Preso nel tragitto da un corsaro barbaresco, e consegnato all'ammiraglio turco non potè evitare di esser rinchiuso nel castello delle Sette Torri fino al 1801. In coiai guisa egli fu vittima dello sdegno di Bonaparte, il quale sul di lui capo ricader fece il risentimento, che eccitato aveva il baldanzoso rifiuto di Djezzar d'entrare in corrispondenza seco lui.

A datare da quel momento ravvolse il generalissimo nella sua mente il progetto d'una spedizione nella Siria non tanto per punire l'orgoglioso pascià d'aver sdegnata la sua alleanza, quanto per terminar di disperdere i mamelucchi guidati dal Bei Ibraimo. Ma la sollevazione del Cairo, e la necessità di provvedere alla difesa dell'Egitto non gli permisero di porre in esecuzione il suo piano nel mese di novembre, siccome era stato suo divisamento. In questo frattempo, opportuno credè tentare un nuovo passo presso Djezzar, e rimettevagli per mezzo di due arabi una seconda lettera conciliatrice ad un tempo e minacciosa. Ma essa aveva l'istessa sorte della prima missione: guardavasi Djezzar per fino dal rispondervi. Intanto la tranquillità erasi pressoche' intieramente ristabilita nella capitale dell'Egitto, la squadra nemica di stazione davanti Alessandria rimanevasi nell'inazione, e dalla banda dell'alto Egitto riportava Desaix grandi vantaggi sopra Mourad. Tutto parve dunque favorevole al generalissimo per mandare ad effetto la sua impresa contro Djezzar. Aveva egli già fatto occupare il villaggio di Katiéh situato a tré giornate di lontananza da Salehiéh sulla strada che salendo la costa del Mediterraneo, e passando per ElI-Arich conduce nella Siria. Suo pensiero era farne una specie di piazza d'armi per le truppe che verso quella regione dirigessero la loro marcia. Doveva l'approvigionamento farsi per Damiata, non essendo Katieh che distante una giornata dall'estremità del lago Menzalèh. L'occupazione di Suez fatta dal generale Bon, aveva l'oggetto di assicurarsi una posizione di tanta importanza nel momento, in cui si penetrerebbe nella Siria. Trattavasi ben anco di far riconoscere le tracce dell'antico canale, che univa un tempo il Mar rosso al Mediterraneo. Volle il generalissimo personalmente imprendere siffatta esplorazione, scortato dalle sue guide a cavallo, ed accompagnato da una parte degli officiali del suo stato maggiore, non meno che dai membri dell'Istituto d'Egitto, Berthollet, Monge, Bourienne, Costa, ed il Chirurgo in capo Larrey. Fui io pure a parte di quel viaggio. Partimmo dal Cairo il 25 dicembre, e marciammo per tre intiere giornate nel deserto. La strada era indicata da numerosi ammassi d'ossa d'uomini e d'animali d'ogni specie, atte ad ispirare le più tristi idee nella mente del viaggiatore; avvegnachè tale è la sua sorte se venga a mancar d'acqua o di viveri. Il 26 accampammo a dieci leghe nell'interno del deserto, e ci fu forza provare l'estrema differenza di temperatura della notte da quella del giorno. Il freddo diveniva sì intenso dopo il tramonto, che per riposarci, altro compenso non trovavamo che ammonticchiar quelle ossa e d'appiccarvi il fuoco. Nel 27 giungevamo a Suez dopo aver attraversata un'immensa pianura aridissima, ove non scuoprimmo che un solo albero nella seconda nostra stazione; era questi un salcio di lugubre aspetto. Suez non corrisponde all'antica sua rinomanza. Il general supremo dopo averne fatta la recognizione, visitò il porto e la contigua costiera, da per sè stesso designando il filo per le nuove fortificazioni. Volendo in seguito passare in Asia e visitarcelò che dagli arabi appellasi le sorgenti di Mosè, e riconoscere la riva orientale del Mar rosso, attraversarci fece quel mare davanti a Suez per un guado praticabile soltanto a bassa marea, con che evitammo un giro d'otto leghe per deserti impraticabili. Ci precedevano, e ci servivano di guida alcuni arabi montati sul dorso de' loro dromedari; molti dei nostri cavalli attraversavano a nuoto, altri avevano l'acqua fino al petto, sebbene protetti non fossimo nella nostra escursione che da un banco di sabbia. Dopo molte ore di cammino sopra mobili arene per il sito medesimo, che la tradizione addita siccome quello varcato da Mosè alla testa degl' israeliti per sottrarsi all'esercito di Faraone, giungemmo alle sorgenti presso la montagna di Torn, a poca distanza dal mare. Sono esse in numero di cinque, e scendono gorgogliando dalla sommità di piccoli monticelli di sabbia. Io ne trovai l'acqua salmastra, ma potabile anzi che nò; e di essa scrivonsi i viaggiatori e gli abitanti di Suez. Noi scorgemmo ancora le vestigia dell'antico acquedotto, per cui quelle acque raccoglievansi in alcune cisterne scavate sull'orlo della riva, e destinate un tempo a provveder d'acqua dolce le nauvi, che visitavano quella parte del Mar rosso. Il generalissimo ricordò egli stesso alle guide lo squarcio di Storia sacra relativo a quella celebre fontana.

Sorpresi della notte nel momento, in cui il general supremo ritornava per la strada di Suez, più non trovammo praticabile il guado, tuttora essendo altissima la marea. Le nostre guide arabe credettero poterci indicare un altro sentiero, e si smarrirono. Ben presto ci trovammo in un vasto marazzo coll'acqua fino alla cintura, ed in quel luogo il generale con tutto il suo seguito fu in procinto di soggiacere alla sorte del re Faraone, e della sua armata, che spingevasi dietro agl'israeliti. Ci fu giuoco forza risalire verso il fondo del golfo, e nella notte istessa Suez ci accolse entro le sue mura. Dopo un breve riposo l'indomani entrammo nell'istmo, divisando Bonaparte di riconoscere l'antico canale che serviva di comunicazione ai due mari. Ne discoprimmo finalmente le vestigia, e per quattr'ore continue camminammo sopra il letto stesso del canale; ma l'opinioni degli eruditi discrepavano sull'antichità e la destinazione di que' lavori. Nel ritorno scorse il generalissimo un campo arabo, e disse alle sue guide a cavallo: "i vostri cavalli sono stanchi, chi può seguire mi venga dietro i miei passi"; e dato di sprone al suo corsiero da sole cinque guide seguito si rese egli stesso padrone del campo e del bottino. Si pose quindi a scherzare con quelli , che non avevano potuto seguirlo, dicendo loro che il prodotto che si trarrebbe dalla vendita degli oggetti rapiti sarebbe soltanto a profitto dei vincitori. La carovana da noi raggiunta riprese la strada del Cairo, mentre il generalissimo s'indiresse alla volta di Belbeis coll'intenzione di visitarvi la parte del canale ch'era stata tratta dal Nilo. Presso a poco alla distanza di cinque leghe a settentrione di Suez ne ravvisammo gli avanzi; ivi perdonsi nelle mobili sabbie, nè ricompariscono che a poche leghe da Belbeis nell'Oasi di Houraéh. A Belbeis il generale visitò nuovamente le fortificazìoni, indi ricalcò le traccie del canale fino all'antica Pelosio, d'onde ritornammo al Cairo, Quivi il generalissimo diede le opportune disposizioni per levare il piano del canale. Durante il nostro cammino nell'istmo non ci venne, fatto d'imbatterci che in alcune piccole tribù d'arabi beduini, che il quadro presentavano della più orribile miseria ed ai quali rapimmo donne e cammelli.

A Belbeis ricevè Bonaparte la notizia che il forte d'El-Arich era stato occupato da una mano di truppe di Djezzar, e dai mamelucchi d'Ibraimo. Cadde allora ogni dubbio intorno alle ostili disposizioni della Porta Ottomanna, e del pascià di San Giovanni d'Acri. La cognizione che già avevasi allo stato maggiore per cui il gran Signore dichiaravaci la guerra, dimostro' che dalle parole non disgiungevano i turchi le azioni. Ponevasi tostamente il generalissimo in istato di penetrar nella Siria, rendendo conto con dispaccio confidenziale al Direttorio esecutivo dei motivi e dello scopo di siffatta spedizione. Già da otto mesi mancava Bonaparte di notizie per parte della Francia, abbenchè avesse più di sessanta vascelli di tutte le nazioni e per ogni direzione inviati al Direttorio. Prima di muovere alla volta della Siria gli pervennero informazioni d'Europa per mezzo dei signori Hamélin e Liveron, i quali partiti sugli ultimi d'ottobre da Trieste e sottrattisi alla crociera inglese sul terminar del mese di gennaio erano entrati nel porto d'Alessandria. Seppe per bocca di essi che una nuova guerra generale era presso a scoppiare, ciò che il persuase ad accelerare l'impresa. Prima di farne la narrazione non disutile stimo di dare un'idea della Siria ove a portar ci accingevamo le armi nostre. Per il clima, per il suolo, per la popolazione differisce intieramente quella contrada dall'Egitto. L'Egitto è una pianura formata dalla vallata del Nilo, mentre la Siria è la riunione d'un gran numero di vallate. Ivi non scorgonsi che colline e montagne, fra le quali sorge maestoso ed altissimo il Libano ricoperto d'enormi pini. E' quello il centro della Siria e della catena di montagne, che attraversando tutta quella contrada segue in linea parallela le coste del Mediterraneo in distanza di otto o dieci leghe. Hanno sul Libano le loro sorgenti il Giordano che dopo un corso di sessanta leghe perdesi nel Marmorto, e l'Oronte il quale dopo aver bagnata un'eguale estensione di paese tra le montagne e l'Arabia sbocca nel golfo d'Antiochia. Non piove in Egitto, ma in Siria piove quasi al pari che nell'Europa. Il paese, comecchè composto di vallate e di piccole montagne, abbonda di pascoli e nutrisce numerosi bestiami; l'ombreggiano alberi d'ogni specie, ma in special modo vi allignano i fertili olivi. Ha pure la Siria molte città marittime in una lunga costiera di cinquanta leghe. La prima di esse è Gaza famosa un tempo, di presente priva di rada e di porto, perciocchè il mare si è d'una lega ritirato. Distinguesi indi Giaffa, l'antica Joppe: il suo porto è il più vicino a Gerusalemme, da cui non dista che sole quindici leghe. Cesarea sì celebre nel medioevo più non presenta che tristi ruine. Un meschino villaggio è divenuta la regina dei mari, la ricca Tiro, che i siriaci, o piuttosto gli arabi appellano Sour. Saide, Beirout, Tripoli non sono che piccole città. Il golfo d'Alessandretta situato a venti leghe da Aleppo offre un ancoraggio per i più grandi vascelli, ciò che lo rende il punto più interessante della costiera. La città di San Giovanni d'Acri posta fra Cesarea e l'antica Tiro ha pure una rada. Quella città, che novera una popolazione di 12.000 abitanti è d'una grande importanza militare, comecchè residenza del pascià. L'assedio, a cui la vedremo soggetta l'ha resa famosa. La Siria è popolata da un miscuglio di giudei, di cristiani, d'arabi, e di maomettani di due sette.

Destinavansi 13.000 uomini a farne la conquista, cioè le divisioni Kleber, Reynier, Bona e Lannes. La cavalleria che non sommava oltre i 900 cavalli era capitanata da Murat: componevano il resto dell'esercito l'artiglieria, il genio, il corpo delle guide forte di 400 uomini, ed una compagnia di dromedarii dai nostri soldati addestrati. Al cominciar del mese di febbraio tutte queste truppe muovevano, precorrendole la divisione Reynier, che ne formava l'antiguardo. La divisione Kleber, che occupava Damiata, ed i contorni di Menzaléh imbarcossi sopra alcune gierme onde per la via del lago guadagnare il deserto. Tutte le divisioni marciavano successivamente, ed attraversavano sul bel primo la provincia di Carquiéh. Le truppe di Reynier dopo due giornate di cammino per il deserto, giunsero il 9 febbraio davanti El Arich, che circa 2.000 uomini delle soldatesche di Djezzar e d'Ibraimo difendevano.

La battaglia

Volle il generale alla prima recognizione tentare l'attacco del villaggio. Un vivissimo combattimento impegnavasi, ed i soldati del pascià, che occupavano alcune case merlate, piover facevano sui nostri oltre che una grandine di palle, una tempesta di sassi e di materie infiammate. Considerevole fu la nostra perdita, avvegnachè in quella prima azione sommarono dalla nostra parte ad oltre trecento i feriti. Appena presa posizione Reynier riceveva l'avviso che la cavalleria di Djezzar sostenuta da un corpo d'infanteria avvicinavnsi ad El-Arich per la strada di Gaza, e si poneva in istato di difesa. Ma rafforzato dalla divisione Kleber, di concerto con questo generale sorprendeva il campo dei mamelucchi, e non senza grave contrasto se ne rendeva padrone. Atterrito il nemico aveva appena il tempo di abbandonarsi a disordinata fuga dopo aver sofferta non lieve perdita.

Il quartier generale di cui io formava parte il 19 febbraio muoveva dal Cairo, e seguito da un considerevol numero di cammelli giungeva il 12 a Salahéh. Quivi il generalissimo venne in cognizione dello scacco ricevuto davanti El-Arich, e sdegnossi contro il generale Reynier, dicendo che solo mercè la prudenza e le savie misuredi Kleber aveva ottenuto di rispingere la cavalleria del pascià d'Acri. Tosto marciammo alla volta di Cathiéh. Cammin facendo rincontravamo dei soldati, che si trascinavano con eccessiva pena fra mezzo alle sabbie, non trovando per dissetarsi che poca acqua salmastra, cui ricusavano perfino gli stessi cavalli. Inferociti dalle privazioni divenivano saccheggiatori ed insubordinati, e con molta pena ottenevasi che rispettassero le bagaglio dello stato maggiore. Dopo cinque giorni di disastrosa marcia giungemmo il 17 febbraio a El-Arich ove trovammo le due divisioni francesi, egualmente che il parco d'artiglieria. Il tempo era piovoso e freddo, umido il terreno, e destava altamente pietà la vista dei nostri feriti stesi sopra foglie di palme in mezzo al campo senz'altra difesa contro i rigori d'un ciclo inclemente che poche cattive tende, le quali non ponevanli al coperto nè dalla pioggia nè dalla umidità. Siccome mancavasi totalmente di carne, si uccisero dei cammelli, di cui il brodo e la carne servirono a sollevare i malati ed i feriti. Il giorno susseguente, il 18, tutta l'armata essendo riunita si accampò sopra alcuni monticelii di sabbia che sorgono tra El-Arich ed il mare. Formossi tostamente l'assedio del forte, il quale costruito in forma di quadrato domina il villaggio; si drizzò una batteria da breccia, che non produsse grand'effetto, comecchè non composta che di pezzi da campagna. Siccome i viveri andavano scemando, ed i soldati alla carne dei cammelli e degli asini univano alimenti di cattiva digestione, e nuocivi alla salute, il generalissimo stimò necessario l'accelerare la caduta d'El-Arich. Essendosi recato a visitare la trincea, ei disse all'official generale che era dietro a'granatieri: "cento cinquanta prodi, che si spingessero a fucilar quei miserabili pei merli farebbero un ottimo effetto". Udivano i granatieri quelle parole e senza attenderne il comando vi si precipitavano. Per giungere con maggior prestezza allo scopo il general supremo faceva marciar di fronte i negoziati e l'attacco. Il general Berlier intimava la resa ad Ibraimo che aveva il comando della guarnigione composta d'arnauti e di mogrebini. Due volte furon sospese e riprese le trattative; alla perfine nella sera del 19 febbraio Ibraimo segnò la capitolazione, per cui la guarnigione uscì dalla piazza per recarsi attraversando il deserto a Bagdad a condizione di non servire per un anno nell'esercito di Djezzar.

Le conseguenze

Il di seguente il vessillo repubblicano sventolava sulle mura dell'evacuato forte. I mogrebini non volendo recarsi a Bagdad,in numero di tre a quattrocento presero soldo nella nostra armata. La pioggia non avendo cessato durante il soggiorno dell'esercito davanti al forte, ebbesi della pena a disinfettarlo prima di stanziarvi le nostre truppe. Non vi trovammo vettovaglie che per due giorni al più. Il generalissimo ordinava che si accrescessero le fortificazioni, e si rendesse El-Arich una respettabile piazza d'armi. L'esercito restò accampato davanti quel forte altri quattro giorni, sia perchè le nostre truppe avessero il tempo di rimettersi dai sofferti disagi, sia che d'uopo fosse provvedere ai convogli ed al servigio dell'armata.



Tratto da:
"Memorie istoriche sopra la spedizione in Egitto di N. Bonaparte", Volumes 1-3, Niello Sargy, Firenze, 1834