Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Cajamarca

16 novembre 1532

Gli avversari

Francisco Pizarro

Famosissimo conquistador spagnolo della prima metà del sec. XVI, il cui nome è indissolubilmente legato al ricordo di una delle imprese più temerarie delle conquiste spagnole in America. Pizarro nacque a Trujillo in Estremadura circa il 1475. Poco si sa della sua infanzia e gioventù: figlio naturale di Gonzalo Pizarro, che combatté in Italia agli ordini del Gran Capitano raggiungendo il grado di colonnello di fanteria, ebbe un'adolescenza triste e fu costretto a fare il guardiano di porci. Fuggito a Siviglia, poté imbarcarsi e attraversare l'Oceano, e nel 1509 si trovava a San Domingo, dove prese parte alla spedizione fatta da Alonso de Hojéda nel Golfo di Darien, e dallo Hojeda fu nominato capitano e luogotenente della colonia di Urabá, allora fondata. Fallita quell'impresa, il Pizarro ritornò a San Domingo, ma quattro anni dopo era al seguito di Vasco Núñez de Balboa e con lui raggiunse le coste del Mare del Sud e sotto il successore di Balboa, Pedrarias Dávila, si stabilì in Panamá, dove ebbe casa e fattoria e fu considerato, a quanto sembra, uno dei notabili del luogo. La spedizione che Pascual de Andagoya fece nel 1522 lungo le coste occidentali dell'America Meridionale e le fantastiche notizie da lui riportate intorno a un ricco paese chiamato Birù o Pirù, eccitarono la fantasia e l'ambizione del Pizarro, che assunse, si può dire, l'eredità dell'Andagoya e con grande energia si diede a preparare la spedizione per la conquista di quel paese lontano e misterioso, di cui parevano ben accertate le immense ricchezze. Egli si accordò per la preparazione e condotta dell'impresa con Diego de Almagro, e con Fernando de Luque, prete e maestro di scuola, a cui spettò in particolare il finanziamento della spedizione e la preparazione diplomatica nei rapporti col poco malleabile Davila. Armate due navi e reclutati 114 soldati e alcuni Indiani, la prima nave partì da Panama il 14 novembre 1524 al comando del Pizarro: dopo aver toccato le isole delle Perle e raggiunto la foce del Río Birú, il Pizarro navigò verso sud in condizioni assai difficili tanto che perdette 34 uomini durante il viaggio. Sbarcato in una località non bene precisata della costa, che fu dagli Spagnoli battezzata col nome di Puerto de la Hambre (della Fame), e mandata indietro la nave per cercare rinforzi, il Pizarro dovette attenderne il ritorno per ben 47 giorni, mentre mancava di tutto e con i suoi soffriva la fame. Giunta la nave con viveri, la spedizione avanzò ancora verso sud e venne in contatto con gl'indigeni del Pueblo Quemado, con i quali dovette sostenere una vera battaglia, che gli costò 5 morti e 18 feriti. Raccolse però ulteriori notizie sul grande impero al di là dei monti, dove regnava il Figlio del Sole. Vista la difficoltà dell'impresa, il Pizarro decideva di ritornare a Panamá, mentre l'Almagro, partito dopo di lui, raggiungeva a sua volta Pueblo Quemado senza incontrarsi col collega, e combatteva con gli stessi Indiani. Riuniti ancora a Panamá, i tre rinnovarono più solennemente il patto e, ottenuta nuovamente l'accondiscendenza del governatore con la promessa di dargli una parte dei futuri guadagni, nella primavera del 1526 l'Almagro e il Pizarro in compagnia del pilota Bartolomeo Ruiz riprendevano la strada del sud. Giunti alla foce del Río San Juan e impadronitisi d'una piccola quantità d'oro, l'Almagro venne rimandato a Panamá con l'incarico di riunire nuovi mezzi e altri uomini, mentre il Ruiz con l'altra nave si spingeva verso il sud e raggiungeva il golfo di Guayaquil, dove aveva più precise notizie sulle ricchezze del Perù. Ritornato il Ruiz dal Pizarro, la spedizione proseguì verso sud rafforzata anche da 50 uomini e da nuovi mezzi che l'Almagro accompagnava da Panamá. Venne raggiunta così la Baia di San Matteo e il porto di Tacámez, dove però il grande numero d'Indiani bene armati fece desistere gli avventurieri dal proposito d'attaccare la città, e mentre il Pizarro si fermava con gli uomini nell'isola del Gallo, l'Almagro ritornava a Panamá per sollecitare nuovi rinforzi. Ma poiché alcuni dei soldati erano riusciti a mandare un messaggio al governatore di Panamá denunciando le tristissime condizioni in cui si trovavano, non solo l'Almagro non poté ottenere nulla, ma furono mandate due navi a riprendere tutto il corpo di spedizione. In quell'occasione il Pizarro audacemente rifiutò d'imbarcarsi e invitò a rimanere con lui tutti quelli che, in luogo di ritornare all'oscura e misera vita di Panamá, preferissero la via aspra ma gloriosa della conquista e della ricchezza. Solo 13 uomini rimasero col Pizarro e con essi egli attese nella vicina isola della Gorgona il ritorno di Almagro, che giunse soltanto sette mesi dopo con un piccolo gruppo d'armati. Ripresa la navigazione, raggiunsero l'isola di Santa Clara davanti a Túmbez, visitarono quest'ultima città e quindi, doppiato il Capo Bianco e visitata Payta, sempre bene accolti dagl'indigeni, si spinsero fino al porto di Santa a circa 9° di lat. S., donde rientrarono a Panamá dopo 18 mesi di assenza. Le scoperte fatte e le notizie raccolte sulla potenza e sulla ricchezza del regno degl'Inca fecero comprendere ai tre soci che, per portare a termine la conquista, era indispensabile ottenere l'autorizzazione e l'aiuto diretto della corona di Spagna. Si decise pertanto che il Pizarro ritornasse in Spagna per trattare con la corte. Il 25 luglio 1529 fu firmata la capitolazione con la quale il Pizarro fu nominato capitano generale e governatore della Nuova Castiglia, nome questo dato ufficialmente al Perù, nonché adelantado e alguagil mayor di quelle terre, dignità queste che erano state promesse all'Almagro, a cui veniva concesso soltanto il titolo di comandante della fortezza di Túmbez, mentre il Ruiz veniva nominato regio piloto mayor del Mare del Sud. Il Pizarro ritornava quindi a Panamá portando seco uomini, armi e cannoni e i suoi quattro fratelli Fernando, Gonzalo, Juan e Francisco Martín. Le condizioni della convenzione firmata dal re provocarono la giusta ira dell'Almagro, che si ritenne tradito dal compagno, e da allora si iniziò quell'insanabile dissidio che doveva portare alla rovina di tutti i capi della spedizione.

Intanto, rappacificato almeno in apparenza l'Almagro con la promessa di nominarlo adelantado della prima provincia di cui si fossero impadroniti dopo il Perù e rafforzato con avventurieri di Panamá il gruppo portato dalla Spagna, il Pizarro nel gennaio del 1531 partì con 3 navi, 180 uomini e 37 cavalli diretto a Túmbez. I venti contrari ostacolarono la navigazione, cosicché la spedizione dovette fermarsi nella Baia di San Matteo, dove sbarcò una parte dell'esercito che col Pizarro proseguì il viaggio per terra, mentre le navi seguivano la costa. La conquista della città di Coaqui incontrata durante la marcia e il considerevole bottino d'oro, d'argento e di smeraldi ivi fatto rianimarono la spedizione che giungeva nell'isola di Puna nel golfo di Guayaquil e quindi a Túmbez, meta prefissata. Intanto l'esercito si accresceva di 30 individui guidati da Sebastiano Benalcázar e di 100 condotti da Fernando de Soto. A Túmbez il Pizarro veniva a conoscere le condizioni interne del regno degl'Inca e in particolare seppe della guerra fratricida combattuta tra l'Inca di Quito e quello di Cuzco e della sconfitta di quest'ultimo; ebbe anche notizia della presenza dell'Inca vittorioso. Atahualpa, nella città di Cajamarca a 60 miglia da Túmbez, onde decise di avanzare verso quella località. Sbarcate tutte le truppe e proclamata la sovranità del re di Spagna, raggiunse la valle del Río de Piura dove fondò la colonia di San Miguel e quindi, il 24 settembre 1532, risalendo la vallata, si diresse alla volta del campo dell'Inca. Erano con lui 168 uomini e si accingeva a conquistare un impero. Sull'alto della Cordigliera trovò la grande strada imperiale e dopo una marcia di 7 giorni la spedizione giungeva nella magnifica vallata di Cajamarca e penetrava nella città sgomberata dagli abitanti, mentre sul pendio dietro ad essa si trovava il campo dei peruviani forte di 40.000 guerrieri. Dopo una visita fatta al campo del re da Fernando Pizarro e dal De Soto, Atahualpa la sera successiva entrò in Cajamarca per restituire la visita e accamparsi nella città. Ma il Pizarro, con freddo tradimento, s'impadronì dell'Inca e lo tenne prigioniero col proposito di estorcergli una grande somma come prezzo del riscatto. Intanto gli Spagnoli percorrevano il paese e visitavano i templi spogliandoli dei loro tesori, abbattevano gl'idoli per sostituirvi la croce, e il Pizarro ricevuti rinforzi guidati dall'Almagro, decise di sbarazzarsi dell'Inca prigioniero, onde, nonostante questi avesse fatta consegnare la quantità d'oro chiestagli, in luogo della promessa libertà, fu accusato di tradimento e condannato a morte. Non valsero a salvare il re le proteste del De Soto e di altri membri della spedizione; il Pizarro valle che la sentenza fosse eseguita e fece strangolare l'Inca il 19 agosto del 1533. Le sollevazioni di protesta dei Peruviani furono soffocate nel sangue e nel settembre del 1533 il Pizarro fece il suo ingresso a Cuzco, che fu spogliata di tutte le ricchezze, tanto che furono depredate perfino le mummie degl'Inca. Il giorno dell'Epifania del 1535 fu fondata dal Pizarro la nuova capitale, detta ufficialmente Ciudad de los Reyes, ma ben presto chiamata Lima, storpiatura del nome del fiume Rimac sulle cui rive fu costruita.

Mentre il Pizarro, creato marchese, attendeva al governo della Nuova Castiglia, l'Almagro, creato maresciallo e adelantado delle terre poste a mezzodì della detta provincia, intraprendeva la famosa spedizione nella Bolivia e nel Chile; ma al ritorno egli, ritenendo che nella nuova provincia a lui spettante fosse compresa anche la città di Cuzco, l'assaliva e riusciva a penetrarvi l'8 aprile del 1537 facendo prigionieri i due fratelli Gonzalo e Fernando Pizarro che vi si trovavano a difesa della piazza. Stava per scoppiare un conflitto tra i due capi, ma in seguito a trattative essi s'incontravano in un convegno presso Lima, e l'Almagro s'induce a porre in libertà Fernando (Gonzalo era riuscito a liberarsi), purché Cuzco fosse lasciata a lui, almeno in attesa della definitiva decisione del governo spagnolo. Ma i patti non furono mantenuti e appena Fernando fu libero, i Pizarro assalirono l'Almagro, lo vinsero, lo fecero prigioniero, e lo condannarono a morte l'8 luglio del 1538. Gli amici dell'Almagro si riunirono attorno al figlio di lui, Diego, e lo eccitarono a ripetere l'eredità del padre, mentre i Pizarro pretendevano di tenere per loro anche la parte dell'ucciso. A patrocinare la loro causa fu mandato nella Spagna Fernando Pizarro, il quale però non ebbe buona accoglienza e incolpato d'aver fatto uccidere arbitrariamente un governatore nominato dal re, fu imprigionato nella fortezza di Medina del Campo, dove rimase fino al 1560, superstite ai fratelli e alla propria fortuna. Intanto gli amíci dell'Almagro, impazienti di raggiungere il loro scopo, facevano una congiura per sopprimere Francisco Pizarro, il quale infatti veniva assalito nel suo palazzo in Lima il 26 giugno 1541 e cadeva sotto i colpi dei congiurati in età di 63 anni.


Atahualpa

Dall'Inca Huayna Capac Inticusi Huallpa (= il genio perfetto del sole, la gioventù fiorente), penultimo re del Perù preispanico, grande monarca e valoroso conquistatore del reame di Quito, e dalla figlia del re detronizzato di questo, nacque Atahualpa, chiamato dai cronisti spagnoli della conquista anche Ataliba. Non potendo regnare quale bastardo dell'Inca, era stato nominato dal fratello Huáscar, legittimo successore, governatore (incaranti) di Quito, ma, ribellatosi, venne a conflitto con lui, e, nella primavera del 1532, in una sanguinosa battaglia presso Cuzco, lo batté e lo fece prigioniero, usurpandone il trono su tutto il Perù. Qualche mese dopo, Atahualpa cadeva prigioniero in un infame tranello tesogli da Francesco Pizarro a Cajamarca, mentre alla testa del suo esercito si recava a visitare il conquistador. Atahualpa offrì allora per il proprio riscatto di che riempire di vasellame e utensili d'oro una stanza di metri 6,90 per 5,33 all'altezza di m. 2,83, cioè oltre 90 mc.; e pare che nel contempo ordinasse ai suoi seguaci che non lo avevano abbandonato, benché chiuso in prigione, la morte del fratello Huáscar; ma il fatto non è bene accertato benché probabile. Tale sospetto e più ancora il desiderio di liberarsi dell'Inca persuasero il feroce Pizarro a condannarlo a morte, sebbene l'enorme riscatto fosse stato pagato. Atahualpa fu strangolato in prigione il 29 agosto 1533, dopo essere stato battezzato, e la sua morte dava in balia degli Spagnoli l'immenso territorio appartenente agli Inca.

La genesi

Francisco Pizarro era un conquistador, un esponente della classe guerriera emersa in Spagna durante le guerre tra Cristiani e Mori. Dopo la presa del potere da parte dei cristiani, nel 1492, la Spagna ebbe quasi subito la fortuna di finanziare Cristoforo Colombo, la cui scoperta (dal punto di vista europeo) delle Americhe la portò a diventare la nazione più potente della terra. Negli anni Venti del XVI secolo, Pizarro aveva partecipato come soldato alla spedizione a Panama di Vasco Nunez de Balboa, ma l'esperienza non lo aveva arricchito. Sentendo parlare di una terra a sud con immense ricchezze e stimolato, come tutti i conquistadores, dai racconti dei successi di Hernàn Cortes in Messico, Pizarro formò con altri tre uomini una società per esplorare la costa occidentale del Sudamerica; i suoi partner erano Diego de Almagro, Fernando Luque (vice governatore di Panama) e Pedrarias Dàvila (governatore di Panama). Avevano tutti più di cinquantanni, all'epoca, e, se volevano diventare ricchi, dovevano darsi subito da fare. Pizarro era soprattutto il soldato dell'impresa, Almagro il fornitore e Luque il diplomatico; essi stipularono un contratto con Bartolomé Ruiz, un esperto capitano marittimo, per navigare lungo la costa alla ricerca di un'occasione. Nella loro caccia alla ricchezza, tra il 1524 e il 1528, dovettero affrontare parecchie difficoltà, tra cui malattie e inedia. Fu Ruiz a conseguire il successo maggiore, venendo a sapere dell'esistenza nelle regioni interne di un impero con favolose riserve d'oro. Almagro, che avrebbe preferito esplorare i territori a nord di Panama, era riluttante a fornire uomini e materiali a Pizarro, il quale tornò allora in Spagna in cerca di finanziatori per l'impresa. Ne trovò pochi, ma i suoi quattro fratelli si unirono a lui, tornando nel dicembre 1531 con 180 uomini e 30 cavalli a Panama, da dove si spinsero verso sud via mare. Nella primavera del 1532, sbarcarono a Tumbez, una città sulla costa dell'odierno Perù, dove furono raggiunti da 100 uomini e 50 cavalli al comando di Hernando de Soto. Come aveva fatto Cortes in Messico fondando Vera Cruz, Pizarro creò l'insediamento di San Miguel per servirsene come base. A est, si trovava la formidabile catena delle Ande e il leggendario impero inca.

Gli Inca governavano un vasto impero che si estendeva dall'odierno Ecuador fin quasi all'attuale Santiago, in Cile, a circa 4300 chilometri di distanza, e che aveva come capitale Cuzco. Al vertice dell'impero si trovava l'Inca, una versione americana dei faraoni dell'antico Egitto: allo stesso tempo re e dio. Come Montezuma in Messico, egli governava con la forza su una popolazione eterogenea, ma in maniera molto più energica, obbligando tutte le tribù sottomesse ad adottare la lingua inca, il quechua, e assorbendo nell'esercito i soldati sconfitti. Sempre come Montezuma, era il capo della vita religiosa pubblica, incentrata sul culto del sole. L'Inca più potente era stato Huayna Capac, che aveva assoggettato gli abitanti di Quito, nell'odierno Ecuador, e fatto costruire un sistema di grandi arterie di comunicazione studiato per agevolare il commercio e gli spostamenti di truppe. Alla sua morte, avvenuta nel 1527, gli successero due figli. L'erede legittimo, che, secondo la tradizione, assunse il nome regale di "Cuzco, figlio del vecchio Cuzco", era Huascar, il quale regnava dalla capitale; egli aveva un fratellastro, Atahualpa, nato da una delle concubine del padre, una figlia dello sconfitto re di Quito. Huayna era morto a Quito, e Atahualpa, che sembrava godere del suo favore e di quello dei capi militari, era al suo capezzale. Tuttavia, era Huascar l'erede legittimo e, alla morte del padre, si trovava nel centro amministrativo di Cuzco, per cui ascese naturalmente al trono. Non sappiamo se i due intendessero regnare con spirito di collaborazione su un impero diviso, ma non c'è da sorprendersi se tra loro ben presto scoppiò la guerra. Atahualpa prese il sopravvento: nella primavera del 1532, i suoi generali sconfissero il fratello e lo imprigionarono nel tempio di Cuzco. Durante la battaglia, Atahualpa era rimasto al comando di truppe di riserva a circa 970 chilometri a nord, nella città di Cajamarca. Gli unici documenti ancora esistenti sono quelli redatti dagli spagnoli, che forniscono un quadro raccapricciante di Atahualpa. Sembra che avesse ucciso tutti i figli del padre, almeno 200, con l'eccezione di Huascar, che, per qualche ragione, venne risparmiato, massacrando poi l'intera famiglia di quest'ultimo, così che nessun pretendente potesse farsi avanti. Quanto di tutto questo sia effettivamente avvenuto è argomento di discussione, ma una cosa è chiara: Atahualpa stava salendo al trono proprio mentre Pizarro sbarcava circa 400 chilometri più a nord e fondava la città di San Miguel. Atahualpa fu informato di tali avvenimenti mentre si trovava a Cajamarca e, a quanto pare, decise di rimanere dov'era, invece di ritirarsi nella capitale. Le truppe di Pizarro partirono da San Miguel nel mese di settembre 1532. L'ascensione delle Ande per raggiungere Cajamarca fu lenta e difficoltosa; nonostante la vicinanza dell'equatore, sulle montagne faceva freddo, ed era cominciata la stagione delle piogge. Lungo la strada, Pizarro ricevette due delegazioni da Atahualpa, entrambe con doni ed espressioni di benvenuto; poiché alcuni dei regali erano lavorati in oro, il morale degli spagnoli si sollevò. Il 15 novembre, gli uomini di Pizarro oltrepassarono un valico e videro ai loro piedi Cajamarca; il giorno stesso entrarono nella città, trovandola deserta.

La battaglia

La città impressionò gli spagnoli quanto la vista delle migliaia di tende all'esterno di essa, dove i guerrieri inca si erano accampati. Il centro di Cajamarca era costituito da una piazza triangolare, fiancheggiata da ogni lato da grandi palazzi, probabilmente edifici governativi; il luogo era dominato da un forte di pietra, e tutte le costruzioni, pubbliche e private, erano ampie e realizzate in pietra massiccia. Sulle pendici sopra la città si ergeva un altro forte, anch'esso triangolare e apparentemente scavato nella roccia stessa. Il fatto che Atahualpa lasciasse una simile roccaforte in mano a uomini dotati di armi da fuoco indica chiaramente che egli non immaginava nemmeno lontanamente con chi aveva a che fare. Dopo alcune ore trascorse nella città senza alcun segnale dall'accampamento inca, Pizarro mandò de Solo con venti cavalieri a parlare con Atahualpa. Poi, egli salì sulla cima del forte, da dove ottenne una visione più completa della vastità dell'accampamento, decidendo di inviare suo fratello Remando e altri venti uomini a cavallo dietro a de Soto. Senza ricevere molestie, gli spagnoli cavalcarono attraverso la tendopoli e giunsero davanti al padiglione in cui Atahualpa li stava aspettando. Questi era stato avvertito che gli stranieri possedevano cavalli (del tutto sconosciuti nell'emisfero occidentale); anche se ciò può aver avvalorato l'idea che questi uomini bianchi fossero gli emissari di qualche divinità - come avevano creduto gli Aztechi - Atahualpa non mostrò alcun timore in presenza loro o dei cavalli. I due spagnoli lo invitarono a visitare Pizarro a Cajamarca; la risposta, data non dall'Inca, ma da uno dei suoi assistenti, fu che quello era giorno di digiuno, e che sarebbe stato preferibile rimandare la visita all'indomani. La sensazione che diede fu quella di un uomo che, egli stesso di origine divina, non avrebbe fatto concessioni a nessuno e considerava questi spagnoli, come chiunque altro, esseri inferiori. Eppure, quaranta cavalieri rivestiti di corazze qualche impressione dovettero fargliela. Quella notte, gli spagnoli si prepararono per la visita di Atahualpa. Ben sapendo come Cortes avesse preso il potere in Messico imprigionando Montezuma, Pizarro progettava di agire esattamente allo stesso modo. La tensione era alta tra i suoi uomini, circondati com'erano da migliaia di guerrieri e mille miglia lontani da qualsiasi aiuto esterno. Egli mise in atto tutte le sue doti di comandante per tranquillizzarli e organizzarli per l'incontro del giorno seguente. Al mattino, Pizarro dispose i soldati nei grandi edifici sulla piazza e attese l'arrivo di Atahualpa, ma trascorsero parecchie ore prima che finalmente si notasse un movimento nel campo nemico. Non è chiaro cosa avesse provocato il ritardo, anche se, probabilmente, si trattò di un consiglio di guerra. Dal momento che i migliori generali inca erano ancora a Cuzco per organizzare la prigionia del fratello, si può soltanto supporre che genere di consigli egli possa aver ricevuto.

Seimila uomini marciarono in formazione da parata, mentre Tinca veniva trasportato su una portantina; due file di guerrieri facevano ala lungo gli oltre 6 chilometri percorsi dal corteo: mentre Atahualpa si avvicinava, a Cajamarca non si notavano segni di attività. A meno di un chilometro dalla città, il corteo si fermò, e Atahualpa inviò un messaggero a Pizarro, dichiarando che gli avrebbe fatto visita l'indomani, invece che la sera di quel giorno, 16 novembre. I nervi degli uomini di Pizarro erano ormai tesi allo spasimo, dopo la lunga giornata trascorsa nei nascondigli, ed egli non aveva intenzione di aumentare la loro apprensione passando un'altra notte ad aspettare; mandò quindi a rispondere che il cibo e gli intrattenimenti erano pronti, e che si attendeva soltanto l'ospite. È probabile, però, che il messaggio contenesse qualcosa di più interessante, se riuscì a convincere il dio-re ad accontentare Pizarro, anche se non ne conosciamo l'esatta natura. Comunque, mentre il pomeriggio volgeva al termine, il corteo di Atahualpa proseguì verso Cajamarca. Anche se Atahualpa aveva avvertito gli spagnoli che egli e i suoi sarebbero entrati in città armati, come essi erano entrati nell'accampamento, evidentemente ciò non accadde. In quell'epoca e in quella società, era ritenuto corretto che i comandanti nemici si incontrassero disarmati prima della battaglia, e Atahualpa non stava facendo altro che seguire il protocollo. Quando il corteo entrò nella piazza, si divise in due colonne, così che l'Inca potesse essere scortato al centro. Ancora nulla si mosse, fino all'arrivo di un prete cattolico, padre Valverde: parlando attraverso lo stesso interprete che aveva accompagnato gli spagnoli da San Miguel, il frate domenicano prese a parlare di Cristo all'Inca. Per un certo tempo, questi ascoltò passivamente, cominciando però ad andare in collera quando si rese conto che lo spagnolo stava mettendo in dubbio la sua divinità e pretendeva che cedesse il potere a un dio straniero e a un lontano re Carlo V. Atahualpa prese la Bibbia dalle mani di Valverde, ne ruppe il fermaglio per guardarvi dentro e poi la gettò a terra con disgusto. Dopo aver combattuto una guerra per impadronirsi del trono, non aveva alcuna intenzione di rinunciarvi per le parole del lacchè di un sovrano forestiero. Valverde raccolse la Bibbia e fuggì. Non appena si fu allontanato dalla piazza, Pizarro fece un segnale al fratello Hernando, il quale lo ripeté a Pedro de Candia, che si teneva pronto ai due piccoli pezzi d'artiglieria che Pizarro aveva fatto collocare sul vicino forte. Mentre le prime palle di cannone squarciavano la massa compatta dei guerrieri inca, tre colonne di cavalleria irruppero dai palazzi intorno alla piazza. Anche se le cronache riportano che alcuni Inca avevano fionde o giavellotti nascosti sotto le vesti, non avrebbero potuto assolutamente resistere a una carica di cavalleria pesante europea. Le lance e le spade fecero a pezzi quasi tutti i guerrieri nella piazza; pochi riuscirono a mettersi in salvo. Perciò, quella di Cajamarca non si può definire una battaglia, ma un massacro. Pizarro combatté per aprirsi la strada fino alla portantina di Atahualpa, perché doveva prendere l'Inca vivo; in effetti, egli fu l'unico tra gli spagnoli a rimanere ferito durante la mischia, colpito dalla spada di uno dei suoi uomini nella furia del momento. Nessun altro nativo venne preso vivo. Per qualche ragione, le migliaia di guerrieri rimasti all'esterno della città non fecero nulla per soccorrere il loro capo, né durante, né dopo la battaglia.

Le conseguenze

Il giorno successivo, mentre l'esercito di Atahualpa in parte rimaneva nell'accampamento e in parte si disperdeva (arruolati locali solo di recente sottomessi), Tinca stava trattando il proprio rilascio. Visto il valore che gli spagnoli attribuivano all'oro, egli si offrì di riempirne una stanza di circa 5 metri per 7, fino all'altezza che egli era in grado di raggiungere, più o meno 2 metri. Una seconda stanza, più piccola, sarebbe stata riempita di argento fino a un'altezza doppia: sarebbe bastato per il suo riscatto? Pizarro accettò. Atahualpa inviò messaggeri per tutto l'impero per mettere insieme una quantità di oro pari a circa 74 metri cubi, e, poco dopo, Pizarro e i suoi videro arrivare i frutti della raccolta. Per quanto astuto potesse essere il piano di Atahualpa, Pizarro era un passo avanti; egli aveva inviato de Solo a Cuzco, dove era tenuto prigioniero Huascar, e questi, quando venne a sapere della vittoria spagnola, mandò a dire che avrebbe collaborato volentieri con loro, affermando di conoscere l'ubicazione dei magazzini dov'erano custoditi i tesori del padre, mentre suo fratello Atahualpa poteva soltanto depredare santuari e templi degli oggetti d'oro. Quando Atahualpa era ormai prossimo a mantenere la promessa fatta, Pizarro lo informò che Huascar offriva il doppio. L'Inca, al quale era stato permesso di tenere alcuni servitori durante la prigionia, fece avvertire segretamente i suoi generali a Cuzco, e Huascar venne assassinato. La cosa irritò Pizarro, che si trovò presto a dover decidere la sorte del suo prigioniero. Nonostante avesse promesso ad Atahualpa la libertà in cambio della stanza piena d'oro, una volta ottenuto il riscatto, egli lo fece invece processare, accusandolo dell'uccisione di Huascar. Naturalmente, venne riconosciuto colpevole: condannato a essere bruciato sul rogo come pagano, all'ultimo momento Atahualpa accettò la religione straniera e fu giustiziato mediante strangolamento. Pizarro nominò come nuovo Inca Toparca, uno dei fratelli di Atahualpa (che, evidentemente, non li aveva fatti uccidere tutti). Mentre erano in viaggio verso Cuzco per installarlo sul trono, Toparca morì. Quando Pizarro marciò sulla capitale, si presentò uno dei fratelli superstiti di Huascar, Manco Inca, che giurò fedeltà al conquistador, ricevendone in cambio il trono. In seguito, egli complottò contro gli spagnoli e nell'aprile del 1536 provocò una rivolta; venne combattuta una battaglia alla fortezza di Sacsahuaman, fuori Cuzco, dove le forze di Hernando Pizarro sconfissero i rivoltosi dopo una settimana di combattimenti. Da parte sua, Francisco Pizarro dovette respingere un assedio a Lima, la sua nuova capitale: poiché il terreno intorno alla città era pianeggiante, i guerrieri indigeni furono rapidamente annientati dalla cavalleria. L'unica minaccia al governo di Pizarro sulle terre appena conquistate venne dal suo ex socio Diego de Almagro, il quale ebbe da ridire sulla spartizione di esse. Re Carlo V aveva concesso a Pizarro il governatorato sulla regione che si estendeva per 1500 chilometri a sud del fiume Santiago, e ad Almagro terre per 1100 chilometri a sud di questo; dove si trovava esattamente Cuzco? Questo era l'argomento della disputa, e, il 6 aprile 1538, i due si diedero battaglia per il diritto di controllare il centro della società incaica. Il vincitore fu Pizarro, il quale imprigionò il suo antico compagno, fatto che provocò forti critiche contro di lui in Spagna. Il 24 giugno 1541, alcuni seguaci di Almagro lo assassinarono. Poco dopo, la Spagna nominò un governatore e istituì un'amministrazione imperiale. A prescindere da chi fosse incaricato di governare, il popolo inca rimase comunque soggetto alla dominazione spagnola; come avvenne in Messico, gli Inca si videro privare della propria cultura, mentre le loro ricchezze venivano trasportate dalle navi in Spagna e la lingua e la religione morivano, annientate dalla potenza dei conquistatori.



Bibliografia:
"The Inca", Pedro de Cieza de Leon, Norman, University of Oklahoma, 1959
"The conquistadors", Hammond Innes, New York, Alfred A. Knopf, 1969
"The fall of the Inca Empire and the Spanish rule in Peru 1530-1780", Philip A. Means, New York, Gordian Press, 1971
"La conquista del Peru'", William H. Prescott, Newton Compton, 1992
"Adventurers of the New Spain: The Spanish Conquerors", Irving Berdine Richman, New Heaven, CT, Yale University Press, 1929