Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Ayacucho

9 dicembre 1824

Gli avversari

Antonio José de Sucre (Cumaná, Venezuela, 1795 - Berruecos, Colombia, 1830)

Generale e uomo politico sudamericano. Partecipò alle insurrezioni antispagnole in Venezuela del 1811 e del 1813; costretto all'esilio (1814), nel 1818 raccolse fondi e armi per S. Bolívar nelle Antille e nel 1821 ebbe da questo l'incarico di sottrarre al dominio spagnolo i territori dell'attuale Ecuador. Liberata Guayaquil, Sucre marciò su Quito, ove nel maggio 1822 sconfisse i realisti; passato nel Perù, contribuì al successo di Junín (agosto 1824) e ottenne la decisiva vittoria di Ayacucho (dicembre 1824). Inviato nell'Alto Perù per distruggere gli ultimi focolai di resistenza spagnola, nell'aprile 1826 Sucre fu eletto presidente a vita di quel territorio, costituitosi in Repubblica di Bolivia. Incapace di porre un freno all'instabilità politica interna e di contrastare un'invasione di truppe peruviane, preceduta e facilitata da una serie di ribellioni militari, nel 1828 Sucre si dimise, ritirandosi a Quito. L'anno seguente sconfisse i Peruviani, che minacciavano di invadere il territorio dell'Ecuador; dissoltasi la federazione della Gran Colombia (1830), Sucre partecipò alle infruttuose trattative svoltesi a Bogotá per ristabilire un'unione federale tra Venezuela, Ecuador e Colombia, ma fu assassinato mentre rientrava a Quito.


José Canterac (Casteljaloux, 1787 - Madrid, 13 aprile 1835)

Generale spagnolo ; distintosi nella guerra dell'indipendenza spagnola, combatté quindi come capo di stato maggiore in Perù con J. de la Serna contro J. de San Martín e S. Bolívar mantenendo per alcuni anni il Perù sotto la dominazione spagnola; ma fu sconfitto da Bolívar a Junín (7 agosto 1824) e dovette capitolare davanti a J. A. Sucre ad Ayacucho (9 dicembre 1824).


José de la Serna y de Hinojosa (Jerez de la Frontera 1770 - Cadice 1832)

Generale spagnolo, fu l'ultimo viceré del Perù. Comandante delle forze spagnole nell'Alto Perù (1816), nel gennaio 1821 fu nominato viceré del Perù in sostituzione di J. de la Pezuela, deposto da un gruppo di ufficiali superiori. Fallite le trattative intavolate con J. de San Martín (maggio - giugno 1821), Serna abbandonò Lima all'esercito liberatore; comandò poi personalmente l'esercito realista nel 1824; fu sconfitto e catturato ad Ayacucho nello stesso anno.

La genesi

Fin dal viaggio di Cristoforo Colombo nel 1492, la Spagna aveva dominato sull'America centrale e meridionale. Tranne che nella colonia portoghese del Brasile, le risorse naturali di tutta l'America Latina erano sfruttate dalla Spagna. Fino alla sconfitta dell'Invencible Armada, nel 1588, i re spagnoli, del tutto privi di concorrenti, erano diventati incredibilmente ricchi; dopo di allora, continuarono a mantenere il controllo completo sul commercio con le colonie. Soltanto nel XVII secolo, con l'emergere della potenza marittima di Inghilterra e Francia, che nei Caraibi e nel Golfo del Messico si manifestò sotto forma di pirateria, qualche altra nazione ebbe la possibilità di accedere ai mercati latino-americani. Anche se la Spagna mantenne il predominio economico, nel XVIII secolo esso cominciò a indebolirsi e a riflettere il passaggio del potere internazionale alla Gran Bretagna. Nelle Americhe, all'interno della sfera spagnola si verificò una lotta di potere che vide contrapposti i creoli (di puro sangue spagnolo, ma nati nelle colonie) e i gachupines (funzionari inviati dalla Spagna per sovrintendere agli interessi reali). Mentre si dedicavano a commerci sempre più redditizi con altre nazioni europee, i creoli volevano anche esercitare un maggior controllo politico ed erano irritati dalle interferenze dei gachupines. Il loro senso di indipendenza venne stimolato dall'introduzione in America Latina degli scritti dei filosofi illuministi, le cui opere influenzarono anche i rivoluzionari nelle colonie britanniche del Nord America. Il crescente malcontento per le ingerenze dei funzionari spagnoli raggiunse il culmine durante le guerre napoleoniche. Nei primi anni del XIX secolo, Napoleone stabilì in Spagna la propria autorità, che si trasformò in controllo totale nel 1808, quando re Ferdinando VII venne deposto dal trono e sostituito con Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone. Pur avendo giurato fedeltà a Ferdinando, le colonie latino-americane gioirono per la maggiore libertà d'azione, anche se i tentativi compiuti da alcune di esse di dichiarare la propria indipendenza furono stroncati dalle guarnigioni monarchiche. Una volta tornato sul trono, nel 1814, Ferdinando volle ripristinare il suo potere anche nell'emisfero occidentale; ignaro o noncurante dell'atteggiamento dei creoli, egli era pronto a ricorrere alla forza per ottenere lo scopo.

Il centro del movimento d'indipendenza era costituito dal settore nord-occidentale, il vicereame del Rio de la Plata, corrispondente agli odierni Perù, Venezuela, Ecuador e Colombia. Il capo dei rivoluzionari era Simón Bolivar, nativo di Caracas, in Venezuela. Nel 1810, egli combatté agli ordini di Francisco de Miranda durante un tentativo di insurrezione e nel 1812 guidò un'invasione vittoriosa che portò alla conquista di Caracas. Bolivar istituì una dittatura che ebbe vita breve, poiché nel 1814 fu costretto dalle forze monarchiche a fuggire. Nel 1817, tornò alla testa di un esercito di mercenari europei, creando un governo rivoluzionario ad Angostura (l'odierna Ciudad Bolivar). Nel 1819, guidò un contingente a Nuova Granada (Colombia) attraversando le Ande e, il 7 agosto 1819, sconfisse le forze monarchiche spagnole a Boyacà. Questa vittoria segnò l'inizio della fine del dominio spagnolo in Sudamerica. Sull'onda del successo, venne proclamata la repubblica di Colombia (che comprendeva l'odierno Venezuela), con Bolivar come presidente. La posizione di Bolivar divenne sempre più forte. Un'altra vittoria ottenuta sui monarchici a Carabobo nell'estate del 1821 confermò l'indipendenza della nuova repubblica, e l'anno seguente egli portò le sue truppe nel distretto di Quito (Ecuador). Al suo fianco combatteva Antonio José de Sucre, anch'egli di Caracas, che divenne il più autorevole capo militare della rivoluzione quando Bolivar cominciò ad esercitare un maggiore potere politico. Nel 1822, Bolivar si incontrò con José de San Martin, le cui campagne nel sud avevano liberato l'Argentina e il Cile. I due cercarono di accordarsi su un piano per cacciare dal Perù le ultime forze spagnole, ma le loro personalità e idee per il futuro si rivelarono inconciliabili, e Martin si ritirò dalla scena, lasciando il controllo a Bolivar. Nel 1824, i rivoluzionari lanciarono l'offensiva finale nell'interno del Perù.

Le forze in campo

A confrontarsi, per questo appuntamento decisivo per la storia sudamericana si trovarono due forze che, per gli standard del XIX secolo, non rappresentavano un numero enorme, ma che, rapportate al potenziale delle forze disponibili nelle regioni coinvolte, danno il metro della grandezza di questo scontro. I rivoluzionari agli ordini di Sucre poterono mettere in campo un numero pari a 5780 motivatissimi combattenti che si trovarono ad affrontare una forza sicuramente superiore nei numeri, ben 9310 soldati sotto il comando di del la Serna, ma alla quale non avevano nulla da invidiare, sia sotto il profilo dell'addestramento ma soprattutto sotto il profilo delle motivazioni, considerando che il grosso dei coscritti monarchici era composto da locali arruolati forzatamente o da prigionieri di guerra a cui era stata offerta la libertà per cambiare bandiera.

La battaglia

Il 6 agosto 1824, venne combattuta a Junin una battaglia di cavalleria. Nel corso dello scontro, durato 45 minuti, non venne sparato nemmeno un colpo: l'esito venne deciso soltanto dal freddo acciaio delle sciabole, e furono i rivoluzionari a vincere. Il comandante dei monarchici, José de la Serna, si ritirò ancor più all'interno e cominciò a radunare tutti gli uomini che poteva, comprendendo che le sorti del potere del suo re in Sudamerica dipendevano dal risultato della prossima battaglia. Junin galvanizzò gli uomini di Sucre, e il successo ottenuto si tradusse nell'arruolamento di nuove forze e nella possibilità di ottenere dalle fonti locali le provviste e gli armamenti necessari. I due eserciti si evitarono per diversi mesi, finché i monarchici tesero un'imboscata alla retroguardia di de Sucre presso il villaggio di Corpahuayco, il 3 dicembre 1824. Ormai consapevole della presenza del nemico, Sucre si preparò per la battaglia. Il pomeriggio dell'8 dicembre, i contendenti si schierarono nella pampa di Ayacucho, una piccola spianata larga circa 1200 metri in direzione est-ovest e tra i 600 e gli 800 metri in direzione nord-sud. Lungo il lato orientale, il pianoro finiva in una serie di gole, mentre a ovest era delimitato da alture; all'estremità settentrionale si elevava il monte Condorqanqui. Inoltre, il campo di battaglia era diviso a metà dal letto asciutto di un fiume che correva da nord a sud e attraversava il centro di entrambi gli eserciti. Nella lingua indigena quechua, il nome Ayacucho significa "angolo morto", a causa di un massacro avvenuto in questo luogo all'inizio della conquista spagnola. Le forze monarchiche comprendevano in realtà ben pochi spagnoli, non più di 500, soprattutto ufficiali e sottufficiali, mentre il grosso era composto da locali arruolati forzatamente o da prigionieri di guerra a cui era stata offerta la libertà per cambiare bandiera. Il luogotenente generale José Canterac, comandante sul campo, dispose queste forze sulle pendici del Condorqanquì; collocò al centro cinque battaglioni di fanteria, fiancheggiati da altri cinque sulla sinistra, al di là del letto del fiume, appoggiati da tre squadroni di cavalleria. Altra fanteria si trovava sulla destra, con un distaccamento di cavalleria sul fianco esterno e, subito dietro, un reparto di alabardieri scelti comandati dal viceré La Serna. I sette cannoni disponibili vennero tenuti di riserva, insieme a dieci squadroni di cavalleria. Il piano prevedeva di immobilizzare le forze nemiche con le ali, per poi distruggerle con il centro.

Sucre dispiego' le sue truppe, l"esercito unito per la Liberazione del Peru', con tre battaglioni di partigiani (i Montoneros) sulla sinistra e quatto battaglioni di fanteria sulla destra. Non vi era un vero e proprio centro, ma cinque squadroni di cavalleria, che provenivano dall'armata meridionale di San Martin ed erano comandati da un mercenario inglese, William Miller, furono tenuti di riserva, insieme a qualche reparto di fanteria. I rivoluzionari possedevano un solo cannone. La notte prima della battaglia, Sucre mando' avanti la sua banda musicale e diversi soldati. La banda suon' per gli spagnoli, mentre i soldati spararono incessantemente verso l'accampamento monarchico, con il risultato di tenere le truppe spagnole sveglie per tutta la notte e di impedire loro di schierarsi per tempo sulla spianata. Dopo uno scambio di saluti tra camerati sui due fronti, alle 10 del mattino del 9 dicembre la battaglia ebbe inizio. La prima ad avanzare fu l'ala sinistra monarchica sulla riva opposta del fiume asciutto; vennero sparate poche cannonate, poi i due contingenti sul lato orientale vennero in contatto, con perdite maggiori tra le file monarchiche. Sul lato occidentale, tuttavia, il fuoco dell'artiglieria aiutò efficacemente i monarchici a respingere i rivoluzionari, ma Sucre impegnò una parte delle riserve, stabilizzando il fronte. Invece di sfruttare il successo iniziale sul fianco sinistro, il generale spagnolo Canterac fece avanzare il centro, sperando così di incoraggiare la vacillante ala destra. Scendendo dalle pendici del monte, le sue truppe non riuscirono a mantenere la formazione; mentre i loro ranghi si allargavano, Sucre ordinò alla cavalleria di Millerdi attaccarle prima che potessero riorganizzarsi sulla spianata, mandando nello stesso tempo la propria ala destra a caricare quella sinistra spagnola in difficoltà. Il generale Cordoba, che comandava il settore destro, «si mise a circa 15 metri di fronte alla sua divisione... dopo essere smontato da cavallo, affondò la spada nel cuore dell'animale e si girò verso i soldati esclamando: «Qui giace il mio ultimo desidero; ora non ho alcuna possibilità di fuggire, e combatteremo insieme fino alla vittoria». Poi, sventolando il cappello sopra la testa, egli continuò: «Adelante, con paso de vencedores (avanti con passo da vincitori)» (Miller, in Famous Battles, p. 88). Canterac guidò le riserve da quella parte per sostenere le truppe vacillanti, ma era ormai troppo tardi: l'assalto della cavalleria dei ribelli al centro e della galvanizzata fanteria sulla destra furono troppo per i poco addestrati e motivati coscritti monarchici. Alle 13, le forze del re erano in fuga.

Le conseguenze

L'inseguimento continuò fino al calar della sera. Il viceré La Serna si arrese con 60 ufficiali, e un altro migliaio di uomini venne preso prigioniero; tutta la sua artiglieria cadde nelle mani dei rivoluzionari, e circa 1800 soldati rimasero uccisi. Le forze di Sucre ebbero 309 morti e 670 feriti. Per la sua vittoria, Bolivar lo nominò "Grande maresciallo di Ayacucho". Il 10 dicembre, il generale Canterac firmò i documenti della resa, consegnando tutte le guarnigioni al suo comando. I comandanti di due forti rifiutarono l'ordine. Nel Perù meridionale, il generale Olaneta costituì un gruppo di guerriglieri fedeli alla Spagna, ma, nell'aprile successivo, Sucre sconfisse le sue truppe nella battaglia di Tumusla: tale vittoria liberò ufficialmente il Peni meridionale, che venne ribattezzato Bolivia in onore del "liberatore" Simón Bolivar, e Sucre diventò il primo presidente del Paese. L'altra guarnigione recalcitrante si asserragliò nella città portuale di Callao agli ordini del brigadier generale José Ramón Rodil: i suoi 400 uomini si arresero soltanto dopo un assedio durato poco più di un anno. La sconfitta di Ayacucho annientò le ultime ben organizzate forze spagnole in Sudamerica. Esse avevano cominciato a perdere gradualmente il controllo fin dal 1819, ma la battaglia inferse loro il coup de gràce. La marea del cambiamento montava da troppo tempo perché gli spagnoli potessero recuperare il potere e la gloria di un tempo. Se re Ferdinando fosse stato disposto a offrire qualche concreta concessione all'autonomia locale, forse avrebbe potuto conservare le sue colonie, probabilmente nella forma in cui la Gran Bretagna mantenne il Commonwealth. Evidentemente, egli non era incline per natura a una simile scelta; tuttavia, la sua temporanea destituzione a causa di una rivoluzione in Spagna (1820-1823) incoraggiò ulteriormente i sudamericani a staccarsi dalla madrepatria. Bolivar e San Martin divennero i padri dell'indipendenza dell'America Latina, ma, a differenza delle loro controparti in Nord America, non riuscirono a forgiare un Paese unito. Le troppo numerose fazioni politiche, nonché la scarsità di infrastnitture che rendeva le comunicazioni e il commercio estremamente lenti, congiurarono contro ogni sorta di governo unico nazionale. Perciò, la nascita della maggior parte degli Stati dell'America centrale e meridionale risale a questo periodo. La Spagna, un tempo la più potente nazione del mondo grazie alle ricchezze americane, scivolò nella mediocrità; probabilmente, anche una vittoria ad Ayacucho sarebbe riuscita soltanto a prolungare tale declino, non ad arrestarlo. Del suo vasto impero, la Spagna non conservò che Cuba e Portorico nell'emisfero occidentale e le Filippine in quello orientale, restando un interlocutore minore nella politica europea; dopo la sconfitta subita nel 1898, le sue ultime colonie passarono agli Stati Uniti, che la sostituirono nella ristretta cerchia delle potenze mondiali.