Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Amida

4 luglio 973

L'imperatore bizantino

Giovanni I Zimisce, imperatore d'Oriente

Regnò in Costantinopoli dal 969 al 976. Il termine deriva dalla lingua armena, e significa "il piccolo". Discendente da illustre famiglia romena, i Curcuas, per la madre aveva legami coi Focas. Era nato a Ierapoli d'Armenia verso il 924. Entrato nell'esercito imperiale, seguì il cugino Niceforo Foca nelle campagne contro gli Arabi di Cilicia e di Siria; e validamente lo aiutò a salire al trono nel 963, ottenendone in compenso i più alti gradi militari. Le sue imprese contro gli Arabi gli guadagnarono fama di vero difensore dell'impero contro l'Islam. Poi venne in contrasto con Niceforo Foca, anche per gelosia, perché l'imperatrice Teofano, vedova di Romano II e ora moglie di Niceforo Foca, pare avesse nelle sue grazie il capitano. Privato di ogni carica e inviato in esilio a Calcedonia, Giovanni s'intese allora con l'amante e la notte del 10-11 dicembre 969, Niceforo Foca fu ucciso, Giovanni proclamato imperatore. Sebbene si affrettasse a dichiararsi collega e protettore dei due giovani e legittimi imperatori Basilio II e Costantino, urtò contro l'opposizione recisa del patriarca Poliuto, il quale acconsentì poi a riconoscere il colpo di stato solo a gravi condizioni: l'imperatore dovette espellere dal palazzo imperiale Teofano complice del delitto e condannare a morte gli assassini di Niceforo, poi ritirare la Novella di Niceforo Foca vincolante le libertà della chiesa. Giovanni fu allora incoronato nel Natale del 969. Vero capo del governo fu però il gran ciambellano Basilio, figlio illegittimo di Romano Lecapeno, che riorganizzò l'amministrazione con gente fedele. Il regno di Giovanni ebbe in prevalenza carattere militare. Anche la vita interna dello stato fu dominata dagli avvenimenti guerreschi, come la grande ribellione di Bardas Foca e di Leone Foca. È tuttavia da ricordare la buona amicizia con Ottone I di Sassonia, al figlio del quale, Ottone II, l'imperatore diede in sposa, nel 972, la principessa Teofano, sorella dei due imperatori legittimi; mentre un'altra sorella, Teodora, sposò egli stesso. Avvenimenti guerreschi di maggiore importanza sono la guerra con Svjatoslav principe di Kiev, sconfitto prima ad Arcadiopoli (Lüle Burgaz) in Tracia, dove si era avanzato a minacciare Costantinopoli, e poi sul Danubio a Silistria (Dorostol), e la guerra per il califfato di Baghdad, che Giovanni trionfalmente condusse, come egli stesso narra in una lettera indirizzata al re armeno Asot III (Dulaurier, Chronique de Mathieu d'Édesse, in Hist. arm., pp. 16-24), spingendosi da Antiochia fin sotto Gerusalemme. La spedizione, fu troppo rapida perché rendesse possibile la conservazione dei paesi conquistati. Ritornando dalla Siria alla capitale l'imperatore ammalò e morì il 10 gennaio 976. Con lui termina il maggiordomato bizantino iniziato da Romano Lecapeno nel 919; il governo fu ripreso poi dai legittimi imperatori.

La genesi

Zimisces, divenuto tranquillo riguardo all'Occidente, volse le sue mire ai Saraceni dell'Oriente, e pensava di liberare Gerusalemme dalle mani degl'infedeli, ed a togliere loro tutte le conquiste da essi fatte nella Siria e nella Mesopotamia: il disegno di questo principe precede di più di cento anni quello delle crociate. I diritti antichi dell'impero, sempre sostenuti sebbene invano dalle armi, talvolta sospesi dai trattati ma non mai abbandonati, legittimavano certamente la di lui intrapresa più che i motivi di religione, la quale non riguardò giammai la spada come un mezzo di stabilirsi. Sembra che i progetti di Zimisces non fossero per vero dire incogniti nell'Occidente; e certamente per favorirsi i Veneziani, che soli nell'Europa facevano allora il commercio dell'Oriente, proibirono, sotto pena della vita o di cento libbre d'oro, che si portassero ai Saraceni ferro, legname, armi, in una parola, ciò di che i medesimi avessero potuto far uso contro i cristiani; proibizione, dice Muratori, forse rinnovata, e sempre violata dall'avarizia. Il principio di questa campagna fu brillante e felice. Una bell'armata sotto la condotta del primo domestico, che la storia non nomina (forse un discendente di Melias), avendo attraversata l'Asia Minore, passò l'Eufrate, ed atterrì tutti i paesi. Devastò quindi il territorio di Edessa, prese Nisibe, s'impadronì di Diarbekir, che era l'antica Amida, ricoprì di stragi tutto il Diarbec, e si condusse dietro un popolo di prigionieri. Tutti gli abitanti della contrada l'abbandonarono, fuggirono in Bagdad, e ricolmarono di terrore questa gran città, dove tutto era già nel più gran disordine. Da qualche tempo indietro i califfi altro non avevano conservato della loro antica autorità, che il nome e la prerogativa d'essere nominati i primi nelle preghiere pubbliche. Tutte le forze del governo erano nelle mani degli emiri; ma Bocheteiar, allora emiro Supremo, in altro non si occupava, che nella caccia e nelle dissolutezze. Il popolo atterrito si radunò intorno al palazzo, e gli chiese, ad alta voce, che facesse partire le sue truppe, e pensasse ad allontanare il pericolo da cui era minacciato l'impero. Ei promise di discacciare i nemici, e domandò al califfo il denaro necessario per tale condizione. Invano il califfo Al-Mohti esclamò, che si esigeva ciò che ei non poteva dare, e che i suoi tesori non erano più nelle sue mani, Bocheteiar l'obbligò a vendere i mobili, dai quali se ne ritrasse una grossa somma, che l'emiro dissipò nei suoi piaceri senza pensare alla guerra.

La battaglia

Frattanto l'armata greca, innoltratasi verso la sorgente del Tigri, saccheggiava il territorio di Miasarekin, altre volte detta Martinopoli. Abutaglab, valoroso saraceno governatore di questo paese, radunò il maggior numero di truppe che poté, le incoraggiò, e marciò contro i Greci. Il primo domestico, fiero dei vantaggi riportati e della superiorità delle sue forze, disprezzò questo debol nemico, e s'impegnò senza precauzione in un passo angusto, impraticabile ai cavalli. Taglab lo attaccò in quel momento medesimo, tagliò in pezzi la di lui armata, e fece prigioniero lui stesso. Questa disfatta si portò dietro la perdita di tutte le conquiste fatte in quella campagna; e l'infelice generale , rinchiuso in un oscura prigione ed infermo da più di un anno indietro, morì d'una bevanda avvelenata, che il suo vincitore gli fece prendere invece di una medicina.

Le conseguenze

L'imperatore, poco avvezzo a simili affronti, si pose nella seguente primavera egli stesso in campagna, ed avendo passato l'Eufrate, mise in fuga tutti i nemici. Entrato in Nisibe la trovò deserta, perché abbandonata da tutti gli abitanti. Dopo aver devastato tutto il paese all'intorno attaccò Amida, che era stata riacquistata dai Saraceni, la forzò ad arrendersi, e trasse dagli abitanti immense somme. Marciò quindi verso Mictarsis, città così chiamata da Leone diacono, e non citata da altri, che era, come si dice, la più ricca della provincia: si arrese, e si riscattò dal saccheggio. Ei voleva anche andare in Ecatana, dove sperava di trovare immense ricchezze. Questa città era riguardata come la più opulenta dell'universo, trasportandovi i tesori da tutte le parti, e non essendo stata mai saccheggiata; ma per giungervi bisognava attraversare un paese deserto, interrotto da montagne, mancante di acque e di foraggi. Se ne tornò adunque in Costantinopoli con una prodigiosa quantità d'oro, d'argento, di stoffe preziose e d'aromi, e fece strascinare tutte queste ricchezze dietro il suo trionfo, che fu celebrato con grandi acclamazioni. Bisogna che in tale occasione fosse stato conchiuso qualche trattato col califfo di Bagdad; poiché si legge in Elmacin, che dodici anni dopo questo califfo pagava un tributo annuale all'imperatore greco. Zimisces, ricoperto di gloria, andava a cercare nel suo palazzo il riposo che gli era dovuto dopo tante fatiche; ma non vi ritrovò se non la cabala e la malizia armata contro la virtù, da cui il vincitore dei Saraceni non seppe difendersi.



Bibliografia:
"Storia degli imperatori romani da Augusto sino a Costantino Paleologo", dei Signori Lebeau e Crevier, Napoli, Stamperia e Cartiere del Fibreno, 1848