Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Horreum Margi

505

Gli avversari

Flavio Sabiniano

Politico e generale dell'Impero romano d'Oriente, Sabiniano era figlio di un generale illirico, Sabiniano Magno, e sposò una nipote dell'imperatore Anastasio I, da cui ebbe Anastasio Paolo Probo Sabiniano Pompeo Anastasio, console del 517. Nel 505 fu console e nel 508 magister militum per Illyricum; aveva un esercito numeroso e ben equipaggiato, ma nei pressi di Horreum Margi fu sconfitto dagli eserciti combinati degli Unni, guidati da Mundo, e degli Ostrogoti di Pitzias; dopo la sconfitta riparò con pochi sopravvissuti nel forte di Nato.


Mundo

Di origini gepide e addirittura figlio di un re dei Gepidi, suo padre si chiamava Giesmo, mentre suo zio paterno era il re gepida Trapstila. Nato prima del 488, ebbe almeno un figlio: Maurizio. Dopo il decesso di suo padre, Mundo andò a risiedere a Sirmio con suo zio; dopo l'uccisione di suo zio in una battaglia contro gli Ostrogoti, il re ostrogoto Teodorico gli propose di unirsi al suo esercito e di seguirlo come alleato in Italia; Mundo accettò e servì gli Ostrogoti fino al 526, quando Teodorico perì; ritornò quindi nei Balcani e nel 529 passò dalla parte di Bisanzio, chiedendo all'Imperatore bizantino Giustiniano I di entrare nell'esercito bizantino; fu accolto, insieme ai suoi seguaci, con molti onori e ottenne la carica di magister militum per Illyricum. Nel 529 ottenne dei successi sugli Slavi e l'anno successivo respinse un'incursione dei Bulgari, catturando uno dei loro re e recuperando molto del bottino. All'inizio degli anni 530 era magister militum per Illyricum. Ricopriva questo incarico quando scoppiò la rivolta di Nika. Mundo era a Costantinopoli al momento della rivolta con un ricco contingente di Eruli e riuscì, con l'aiuto di Belisario a reprimere nel sangue la rivolta, uccidendo più di trentamila persone. Successivamente, quando Giustiniano dichiarò guerra agli Ostrogoti, fu mandato dall'imperatore alla testa di un esercito a soggiogare la Dalmazia. Mundo inizialmente ebbe successo, riuscendo ad espugnare Salona, ma i Goti reagirono all'aggressione inviando un esercito che riuscì nell'impresa di vincere una prima battaglia uccidendo il figlio di Mundo, Maurizio, anche lui generale. Mundo, addolorato per la dipartita del figlio, cercò la vendetta nella battaglia contro i Goti: inizialmente ebbe successo, mettendo in rotta i Goti, ma troppo preso nell'inseguirli, venne trafitto da mano nemica e morì. La sua morte era stata profetizzata da un oracolo: Capta Africa, Mundus Cum Nato Peribit.

La genesi

Tratto da: << Teoderico, re dei Goti e degl'Italiani, Gottardo Garollo, Firenze, 1879 >>

Le ragioni, che specialmente trattennero Teoderico 'dal recarsi a Roma prima del 500, io credo siano state due, cioè il non avere Fausto Nigro potuto corapiere la sua missione presso la corte orientale e l'esser sorti in Roma stessa dei serî disordini per la elezione del successore al vescovo · Anastasio. Di questi disordini parleremo in altro libro. In quanto all'accordo coll'imperatore, Teoderico stimava necessario per sè di conseguirlo, prima che visitasse Roma, perchè voleva comparire davanti al senato ed al popolo non come un usurpatore, ma come legittimo sovrano; carattere questo, che i solo imperatore gli poteva comunicare. Nel 498 Anastasio s'indusse ad accettare il fatto compiuto ed a mantenere le promesse di Zenone. In quell'anno, essendo il re rappresentato dal patrizio Festo, principe del senato romano, fu conchiuso in Costantinopoli un trattato, 1) col quale venne riconosciuta la piena validità del patto preliminare del 487 e quindi anche la legittimità della conquista d'Italia nonchè degli assegnamenti di fondi ai Goti; l'imperatore diede a Teoderico la potestà e la sollecitudine di governare l'Italia; 1) fu stabilito che ogni anno il re annunzierebbe all'imperatore il nome del console da lui creato per l'Occidente, perchè tale creazione venisse dall'imperatore confermata; 2) questi da ultimo si riservò il diritto di liberamente comunicare col senato di Roma in cose non risguardanti la civile o militare amministrazione dell'Italia. Conchiuso questo trattato, Festo ritornò in Italia, seco portando per Teoderico le insegne imperiali, che al principio della guerra Odovacre aveva spedito a Zenone. Ma il buon accordo fra le due corti non doveva durare molti anni. Esso fu presto turbato per aver Teoderico concessa la sua protezione a Mundo, un barbaro, che, passato con grossa masnada dalla sinistra sulla destra riva del Danubio, si era stabilito in una località della valle del Margo (Morawa), di dove s'era poi messo a tribolare con quotidiane rapine le circostanti popolazioni. 4) La risoluzione di Teoderico di proteggere questo brigante non va considerata isolatamente, ma in rapporto con un suo importante progetto, alla effettuazione del quale la corte di Costantinopoli avrebbe certo tentato di opporsi. Era il progetto di togliere ai Gepidi, per riunirle all'Italia, la regione e la città di Sirmio, ossia quella parte di Pannonia, che i Goti aveano nel 454 occupata col permesso di Marciano e che, se non di fatto, di diritto almeno apparteneva all'impero orientale. Da questo Teoderico, volendo occupar Sirmio, si aspettava non soltanto una protesta a parole, ma anche un intervento armato in favore dei Gepidi; egli dichiarò quindi suo federato Mundo, il quale, se non impedire affatto, avrebbe almeno potuto per qualche tempo arrestare la marcia delle truppe imperiali per là valle del Margo, dove correva la via più breve dall'interno dell'impero alla confluenza della Sava e del Danubio. Due erano allora i re dei Gepidi: Traserico, figlio di quel Triopstila, che, nel 488, aveva tentato di attraversare ai Goti la strada verso l'Italia, e Gunderit, altro figlio probabilmente dello stesso Triopstila. Sirmio era tenuta dal primo. Teoderico volle anzitutto indurlo colle buone a ritirarsi oltre il Danubio. Traserico, per guadagnar tempo, si finse non alieno dall'accondiscendere al di lui desiderio; però, intanto che con promesse teneva lui a bada, non solo chiedeva aiuti all' altro re, ma ogni cosa riferiva alla corte bizantina. Teoderico, conosciuta tale, doppiezza, 1) chiamò sotto le armi tutta la gioventù gotica non ancora stata avvezza alla guerra e ne formò un esercito di spedizione, alla testa del quale pose i due conti Pitza ed Erduic. A questi ordinò di avanzarsi sino al confine gepido, d'intimare a quel re lo sgombero immediato del territorio e della città di Sirmio e, nel caso che non si fosse indotto a prontamente ubbidire, di costringervelo colla forza. Ordinò loro inoltre che stessero attenti al come andassero le cose sul vicino territorio dell'impero e che, se mai ricevessero avviso dell'avanzarsi di truppe da quelle parti e della incapacità di Mundo a difendersi, non indugiassero a passare la Sava. Così, nell'anno 504, mentre tutte le forze dell'impero erano occupate nel fare la guerra al re dei Persiani Cabade, 2) l'esercito gotico partì alla volta di Sirmio. I due capitani, giunti al confine gepido, in conformità alle avute istruzioni, mandarono a Traserico per intimargli lo sgombero. 3) Ma questi intanto aveva raccolte tutte le sue forze e molte era riuscito d'averne d'oltre Danubio, fra le quali ultime era un corpo considerevole di Unni. Non ubbidì, quindi all'intimazione, ma si dichiarò pronto a ricevere colle armi gl' invasori, Durò la guerra intorno a Sirmio tutto quell'anno e parte del seguente, nel quale, essendo stata terminata la guerra di Persia, Anastasio pensò a distruggere la masnada di Mundo ed a soccorrere i Gepidi. Egli diede il comando di questa impresa a Sabiniano, figlio di quel Sabiniano, che, ventott anni addietro, aveva combattuto con Teoderico. Per procurarsi un buon esercito, il romano condottiero si rivolse ai Bulgari, che, dopo di avere invasa e terribilmente devastata negli anni 499 e 502 la Tracia, aveano finito per diventare federati dell'impero. Diecimila circa ne vennero a porsi sotto le sue bandiere. Poi si procacciò un numero straordinario di carri e di bestie da tiro, per poter comodamente trasportare una quantità d'armi e di viveri. Ciò fatto, s'avanzò per la valle del Margo più che fiducioso d'aversi a coprire di gloria.

La battaglia

Non gli fu gran fatto difficile di costringer Mundo a rinchiudersi in un castello non molto distante dalla piccola città d'Horrea Margi (fra Paratjin e Stolatz), nel quale strettamente assediollo. Ma quegli, visto il pericolo, aveva, mentre era ancora in tempo, spediti corrieri a Sirmio, per avvisare della cosa i capi dell'esercito gotico, i quali subito levarono il campo, passarono la Sava e, percorrendo in breve spazio di tempo una strada di ben cento e cinquantaquattro miglia (228 chilom.), giunsero in faccia al nemico, quando già stava per impadronirsi dell'assediato castello. S'impegnò battaglia. Fu questa fierissima e terminò con una splendida vittoria dei Goti. Dei diecimila Bulgari di Sabiniano la massima parte perirono o trucidati o affogati nel Margo; pochissimi poterono col loro capitano ripararsi in un vicino castello chiamato Nato; tutte le armi e le bestie e i viveri del distrutto esercito furono preda dei vincitori.

Le conseguenze

Questi se ne ritornarono trionfanti verso Sirmio, non astenendosi però dal saccheggiare durante la marcia; fra le altre la città di Graziana s'ebbe per molto tempo a ricordare del loro passaggio. Traserico scoraggiato non si sentì più capace di prolungare la resistenza e si ritirò al di là del Danubio, abbandonando definitivamente ai Goti la parte di Pannonia da lui fino allora tenuta. I giovani, che più si distinsero in questa guerra ed i cui nomi sono rimasti alla storia, furono Tolonico, Vitige e Cipriano; quest'ultimo era uno de'pochi giovani italiani, che avevano chiesto ed ottenuto di far parte dell'esercito gotico.

Stuttura dell'esercito Ostrogoto

Al re si aspetta, come in tutto il resto della cosa pubblica, così anche nella difesa dello Stato il supremo potere. Nei bei tempi dell'impero la difesa dello Stato si divideva in terrestre e marittima; ma quest'ultima era andata sempre più decadendo e finalmente, all'epoca di Maggioriano, aveva nelle acque di Spagna ricevuto il colpo di grazia. Teoderico, come più sotto vedremo, tentò in vero di ridare all' Italia una potente flotta, ma l'esito non corrispose al buon volere. La milizia si distingue ora in mobile, confinaria e municipale. La milizia mobile è formata dall'esercito dei Goti (exercitus Gothorum), che dal re può essere spedito anche fuori dai confini del regno, per conquistare a questo nuove provincie. La milizia confinaria è composta dove intieramente di Goti, come nelle Alpi fra l'Italia e la Gallia; dove di Goti e di provinciali, come nelle Rezie, nelle quali alla difesa del confine sono chiamati anche i Breoni, e nella Dalmazia, nella Pannonia e Suavia, nelle quali provincie sono obbligati al servizio militare confinario non solamente i Barbari stanziativi fino dai tempi anteriori alla venuta dei Goti in Italia, ma anche, e ciò specialmente nella Pannonia e Suavia, i provinciali romani. La milizia confinaria delle Rezie sta agli ordini del duca delle Rezie e quelle della Dalmazia, de!la Pannonia e della Suavia stanno agli ordini di due conti goti. Il confine che più preme a Teoderico sia gelosamente guardato, siccome quello dal quale più che da ogni altro l'Italia suol venir minacciata, è il retico: perciò nella lettera di nomina del rispettivo duca parla sovratutto della necessità di non intralasciare mai la vigilanza armata sulla frontiera di quella provincia, ch' egli chiama la chiave d'Italia. La milizia municipale nelle città fortificate e nelle rocche dell'interno è formata dai Goti e dagli Italiani atti al servizio delle armi abitanti in quelle o nelle vicine campagne. Questa milizia non è soltanto tenuta a servire nel caso d'una invasione per la difesa delle città e delle rocche, ma anche in tempo di pace deve prontamente ubbi dire, quando il re le imponga di riparare le vecchie fortificazioni e di costruirne di nuove, oppure di accrescere entro alle stesse il numero delle abitazioni, affinchè in caso d'invasione tutti i difensori possano esservi colle loro famiglie comodamente ricoverati. Così ai Goti ed agli Italiani abitanti le campagne presso il castello Veruca nella regione tridentina il re ordinò di costruirsi, sotto la sorveglianza del sajone Leodifredo, nuove abitazioni sul colle dove il castello sorgeva. Eguale ordine spedì ai Goti ed agli Italiani abitanti il castello e le vicinanze di Dertona. Ai possessori del municipio di Feltre, confinanti per la valle di Ausugo (Valsugana) con quello di Trento, comandò di prender parte verso un equo compenso ai lavori per l'erezione o, meglio, riparazione delle mura d'una città vicina. Ai cittadini di Catania, che gli avevano chiesto il permesso di adoperare i sassi del rovinato anfiteatro della loro città, per riparare ai guasti che le mura di questa avevano sofferti, rispose, non solo concedendo il chiesto permesso, ma anche altamente encomiandoli, perchè di loro spontanea volontà avessero pensato ad un tale lavoro. L'esercito è composto dei Goti e degli altri Barbari, che in compagnia di quelli sono venuti in Italia. Ogni goto ed ogni altro barbaro di condizione pari ai Goti, giunto che sia all'età di diciott' anni, incomincia a far parte dell'esercito (exercitualis vir). La fanteria è divisa in corpi di mille uomini ciascuno, i cui capi si chiamano millenarî. Si trova pure il titolo di prefetto o preposto, che probabilmente corrisponde a quello antico di legato o comandante di legione. I cavalieri sono tutti armati di lancia e spada; l'arco e le frecce i Goti non gli usano che combattendo a piedi. Il re, da quando si è stabilito in Italia, non prende parte come una volta alle campagne del suo esercito fuori dei confini del regno, o perchè non istima queste così importanti da rendere necessaria la presenza della sua persona, o perchè gli piace di seguire l' esempio dei successori del grande Teodosio, i quali mai non credettero alla dignità loro conveniente di cambiare la porpora col balteo: il carattere di Teoderico però fa ammettere senz'altro il primo di questi due motivi. Egli lascia il comando dell'esercito in guerra ai più nobili e valorosi fra i Goti, i quali perciò assumono i titoli di conti e duchi. Si deve peraltro notare che il titolo di conte non è più usato così di frequente come una volta nel linguaggio militare: esso ha ormai perduta la sua primiera importanza; al suo posto è subentrato il titolo di duca : « ducato » (ducatus) è l'espressione per indicare il comando d'un intiero esercito. È una eccezione rarissima il trovare qualche italiano nelle file dell'esercito gotico: nè questo conviene ascrivere all' ignavia degli Italiani d'allora, molti dei quali, per quanto la nazione fosse in basso caduta, dovevano pure sentirsi a scorrer caldo nelle vene il sangue; ma bensì all'intenzione di Teoderico di conservare intatto il carattere nazionale dei Goti. Il patrizio Liberio e Cipriano sono i soli italiani che noi sappiamo aver combattuto assieme coi Goti; di un terzo, il conte Giuliano, non si può dire con tutta certezza se sia stato un italiano o un goto portante nome italiano. In una lettera del successore di Teoderico viene assai lodato il valore militare da Cipriano dimostrato nella guerra di Sirmio e gli si ascrive a grande merito di far imparare a' suoi figli l' arte militare e la lingua gotica. In una parola il servire nell'esercito viene considerato come un segnalato favore, che il re concede soltanto a quei pochissimi italiani di nobile stirpe, della cui fedeltà è a tutta prova sicuro. L'ordinamento inilitare dei Goti in tempo di pace è basato sulla divisione dell'esercito in corpi di mille uomini. I Goti sparsi nelle città e campagne di ciascheduna provincia formano più d'uno di simili corpi; il comando d'ogni corpo spetta anche in tempo di pace al millenario. Quando il re vuole chiamare i Goti d'una provincia sotto le armi o per farne una rivista o per mandargli alla guerra, incarica un sajone di portare i suoi ordini ai singoli millenarî della provincia ; questi comunicano gli ordini ricevuti a tutti i Goti abili al servizio militare da loro dipendenti, i quali, sotto i proprî capi radunatisi, vanno al luogo fissato dal regio editto, per esservi passati dal re in rivista, oppure unirsi ai corpi delle altre provincie e formare così l'esercito. In questo ordinamento sta bene di notare un fatto di non lieve importanza. I Barbari, che insieme coi Goti sono venuti in Italia, non possono essere confusi coi Goti; essi devono formare dei corpi militari a parte; perciò le terre ad essi assegnate sono in quelle parti del regno dove non si trovano Goti. Tanto Teoderico è geloso della pura nazionalità del suo popolo, che neppur vuole mescolarvi degli elementi affini. Da ciò si spiega perchè i Rugi abbiano potuto conservare il loro sangue purissimo; Teoderico stesso gli aveva messi nella impossibilità di alterarlo. La stessa cosa si deve dire dei Gepidi, che furono distribuiti per le terre d'oltre l'Isonzo. In tempo di pace i Goti atti alle armi devono attendere di continuo ad esercitarsi nel maneggio dell' armi e.soprattutto a fare dei loro figli buoni soldaci. Questi, che Teoderico suol chiamare i suoi giovani (juvenes nostri), devono in ogni provincia venire assiduamente istruiti nell'arte della guerra in appositi luoghi (gymnasia), perchè in essi sono riposte tutte le speranze del re e della nazione. Quando scoppia una guerra, tutti i giovani abbastanza addestrati vengono mandati contro al nemico, acciò, con questo pugnando, abbiano occasione di mostrare coi fatti quanto in quei continui esercizî hanno appreso e di meritarvi colla loro bravura, giusta l'antica consuetudine gotica, l'indipendenza dalla paterna potestà. Niun goto si può sottrarre al militare servizio, a meno che non vi sia affatto inabile o per difetti corporali portati sino dalla nascita o per l'età troppo avanzata o per ferite, che gli abbiano cagionato la perdita o l'indebolimento di qualche membro. L'inabile chiamato sotto le armi si rivolge al re e gli descrive il proprio stato : il re esamina o fa esaminare le allegazioni del petente e, se le trova vere, gli concede un onorato riposo (ocium non ignorabile), qualora abbia altre volte militato. Le armi vengono fornite ai Goti dallo Stato. I cavalli necessarî all'esercito in parte sono dei Goti stessi, in parte vengono somministrati dai grandi proprietarî, specie da quelli delle provincie meridionali: il solo patrizio Cassiodoro, il più ricco possessore del municipio di Squillace e di tutta la provincia di Lucania e Bruzzi, ne somministrava un numero assai considerevole. La sussistenza dell'esercito è regolata come sotto l'impero. Spetta cioè al prefetto del pretorio, di rado al conte del patrimonio, di provvedere alla puntuale fornitura delle razioni ai Goti, che stanno in servizio permanente ai confini, e a tutto l'esercito, quando questo venga a qualche impresa spedito. L'esercito uscito dai confini del regno dev'essere sostentato dai paesi nuovamente occupati, a meno che il re per sua bontà non voglia alquanto sollevare la triste condizione di quelli, mandando egli all'esercito grani e danari, come fece per la Gallia. Siccome poi le stesse provincie italiane, quando vengano da truppe gotiche attraversate, non vanno per lo più esenti da danni anche rilevanti, così, allorchè diviene necessario un qualche movimento di truppe, Teoderico non soltanto raccomanda caldamente al prefetto del pretorio od al conte del patrimonio di far sì che nulla abbia da mancare alle truppe, acciò queste non possano trovar scusa, se si abbandonano a furti e rapine in danno dei provinciali italiani; ma alle truppe stesse raccomanda di marciare come a gente civile si conviene, rispettando i diritti di tutti coloro, pei luoghi de' quali avessero a passare; talvolta anche assegna ai soldati uno stipendio straordinario, acciò possano senza violenza, pagando anzi bene, procurarsi dai provinciali ciò di cui per avventura abbisognino. Cosi, per esempio, fece coi militari Gepidi, quando ordinò ad essi di prendere le armi per recarsi dalle loro sedi al di là dell'Isonzo in Gallia, per ivi unirsi all'esercito di occupazione. Perchè cioè i luoghi della Venezia e della Liguria, pei quali avrebbero dovuto passare, non avessero a soffrire, fece a quelli le solite raccomandazioni e di più assegnò a ciascuno tre solidi per settimana fino al loro arrivo sul suolo di Gallia. Ma nella maggior parte dei casi il desiderio del re resta insoddisfatto ed ai poveri provinciali tocca di soffrire per l'insolenza delle barbare soldatesche. Allora egli manda delle vistose somme di danaro ai vescovi, dai quali ecclesiasticamente dipendono le località più danneggiate, perchè le distribuiscano fra i possessori a seconda dei danni patiti. Fra le consuetudini militari degli imperatori era quella di dare ogni cinque anni un dono ai soldati. Tale consuetudine continua anche sotto di Teoderico, però con un aumento e nella frequenza e nella quantità del dono; giacchè ciascun goto abile alla guerra riceve ogni anno dalla generosità del re un dono, che supera in valore ciò che per legge spetta di stipendio ai militari in tempo di guerra; così che i riceventi possono per questo solo vivere comodamente (commoda donativi). All'epoca della distribuzione dei doni, che è per lo più in estate, il re vuole che i Goti di una o più province si riuniscano in truppa e vengano alla residenza, per essere da lui passati in rivista e per ricevere il dono dalle sue mani. Egli è chiaro che simili doni sostituiscono le paghe date sotto l'impero ai soldati in tempo di pace. La misura dei medesimi non è fissa; essa dipende ogni anno dall'ammontare delle pubbliche entrate. Una spina nel cuore di Teoderico era sempre il vedere come l'Italia , mancasse di una flotta dello Stato, la quale servisse a celermente trasportare da un punto all'altro delle coste del regno una grande quantità di prodotti e all'occorrenza valesse a far fronte ad un tentativo di sbarco, quale per esempio fu quello degli imperiali sulle coste d'Apulia o quale in un tempo o nell'altro avrebbero potuto fare i Vandali, se mai gli antichi spiriti si fossero in essi risvegliati. Finalmente egli si decise di rimediare a siffatta mancanza ed ordinò al prefetto del pretorio Abondanzio di spedire artefici carpentieri per tutta l'Italia, i quali nelle selve patrimoniali e nelle private in queste verso un equo compenso ai proprietarî tagliassero pini e cipressi pella costruzione di mille navi triremi (dromones) di lungo corso. Gli ordinò inoltre di procurare alla futura flotta un sufficiente numero di marinai, dandogli facoltà di prenderli tanto fra i liberi quanto fra i servi patrimoniali quanto anche fra gli schiavi dei privati; nel quale ultimo caso i padroni, che in tal modo venissero costretti a cedere allo Stato i loro diritti, doveano essere convenientemente compensati. Tanto ai liberi poi quanto agli schiavi privati il prefetto doveva far promettere dagli ingaggiatori, oltre allo stipendio, un dono d'ingaggio di cinque solidi per ciascheduno e di più dare subito a ciascuno una caparra di tre solidi, se libero, di due, se schiavo privato, perchè di buon animo aspettasero l'istante della chiamata. In quest' ordine due cose meritano di essere particolarmente notate: l'una è la stessa misura del dono d'ingaggio tanto pei marinai liberi quanto per quelli provenienti dalla servitù dei privati; e ciò « perchè il servire allo Stato è già di per sè una specie di libertà »: l'altra è l'esclusione dall'ingaggio dei pescatori ; perchè Teoderico non vuole che « questa classe d'uomini tanto utile alla società venga distolta dalle sue occupazioni. » Abondanzio eseguì con meravigliosa prestezza gli ordini del re, tanto che questi più presto che non credeva seppe con sua grande gioja essere le navi ordinate, in luoghi diversi costruite, in istato di venir per mare condotte dove a lui più fosse piaciuto di vederle riunite. Ordinò ad Abondanzio di fare in modo che tutte le navi si trovassero riunite nel porto di Ravenna per il giorno 13 giugno, dove sarebbero terminate ed ornate ed anche accresciute di numero, come nel frattempo aveva pensato di fare. Per il legname necessario ai nuovi lavori ordinò che venisse tagliata una sufficiente quantità di piante nelle selve così patrimoniali come private, che folte adombravano l'una e l'altra riva del Po. A Vilia, conte del patrimonio, ordinò di procurare artefici carpentieri fra i servi patrimoniali. Questi e tutto il nuovo legname avrebbero dovuto trovarsi a Ravenna per lo stesso giorno 13 giugno. In vero, badando soltanto a questi ordini, all'entusiasmo, che ne traspare, ed al breve spazio di tempo in cui si succedono, si dovrebbe credere che realmente Teoderico fosse riescito a creare in poco tempo una imponente flotta italiana. Ma che si deve poi dire, quando si consideri che, turbatisi, come vedremo, fortemente i rapporti fra le corti di Ravenna e di Cartagine, Teoderico, quantunque lo desiderasse in cuor suo, non si azzardò di muover guerra ai Vandali « perchè non aveva una flotta da opporre a quella dei suoi nemici? ». e che, mentre i suoi successori, specialmente Atalarico, altro non fanno che portare alle stelle tuttociò ch' egli ha operato, non una sola volta, non dico lodano, ma neppure ricordano il maraviglioso naviglio? L'idea di Teoderico fu un lampo; essa venne con maravigliosa celerità realizzata; ma quando si trattò di dar vita a quell'immenso corpo galleggiante sulla superficie del mare col collocarvi una parte dell'esercito, allora s'accorse Teoderico che i Goti del suo tempo non erano più quelli di duecento e cinquant'anni addietro, quando sulle navi trovate nei porti del Chersoneso taurico (Crimea) correvano pei mari Nero ed Egeo portando la desolazione e la morte sulle coste dell'Asia Minore e della Grecia. Egli dovette perciò rinunziare all'idea di possedere una flotta da guerra ed accontentarsi d'avere semplicemente un grande numero di navi buone per le comunicazioni marittime, affatto inutili per la difesa delle coste.